Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24344 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15086/2019 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Trento, piazza Cesare Battisti 26, presso lo studio dell’avv. Andrea Pizzini, che lo rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, nella persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto n. 736/2019 del Tribunale di TRENTO, pubblicato il 12 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. M.G., cittadino del *****, ha presentato ricorso al Tribunale di Trento avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona del 22 marzo 2018 che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato: di aver intrattenuto una relazione con la figlia del suo datore di lavoro, data poi in sposa ad un altro uomo e per questo suicidatasi; di essere stato aggredito da alcuni membri della famiglia della ragazza, i quali avevano poi dato fuoco alla sua casa, uccidendo suo fratello; di aver, a sua volta, ucciso il fratello della giovane; di aver lasciato il *****, diretto in un primo momento verso la Libia, anche al fine di migliorare le proprie condizioni di vita ed economiche; di temere, in caso di rientro nel Paese d’origine, sia la vendetta dei parenti della ex fidanzata sia la minaccia del gruppo estremista *****, che gli aveva fornito i soldi per il viaggio e che aveva già ucciso il padre a causa della mancata restituzione del denaro.

3. Con decreto del 12 aprile 2019 il Tribunale adito, per ciò che in questa sede ancora interessa, ha respinto la domanda di protezione sussidiaria rilevando: che andavano condivise le molteplici ragioni in base alle quali la C.T. aveva ritenuto inattendibile la vicenda narrata (scoperta della relazione clandestina, già di per sé implausibile per le diverse condizioni economiche delle famiglie, dopo ben tre anni dal suo inizio, benché gli incontri si tenessero a casa della ragazza; immotivato desiderio di vendetta dei familiari della giovane, che era comunque andata in sposa a un altro uomo senza opposizione del ricorrente; attribuzione al gruppo estremista della morte del padre, avvenuta a seguito di un incidente stradale); che inoltre le dichiarazioni rese da M.G. nel corso dell’udienza contraddicevano in parte quanto da lui riferito in sede di prima audizione: in particolare, dinanzi alla C.T. il migrante non aveva neppure accennato di aver saputo della pendenza di un accusa a suo carico per l’omicidio perpetrato (accusa, peraltro, non corroborata da alcun documento né da una precisa indicazione della fonte da cui proveniva la notizia); il giudice ha aggiunto che, comunque, anche a voler ritenere attendibile la narrazione, difettava il requisito dell’attualità del pericolo di persecuzione, prospettato in termini vaghi rispetto a una vicenda risalente al ***** e non riconducibile alla situazione generale del *****; ha infine escluso che ricorressero i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che il richiedente non aveva allegato alcun profilo di sua vulnerabilità e che la documentazione da lui prodotta (un contratto di lavoro agricolo a tempo determinato della durata di pochi mesi; attestati di partecipazione a corsi di lingua e cultura italiana organizzati – da associazioni che collaborano con la provincia autonoma di Trento – in favore di tutti i migranti accolti in un progetto per richiedenti protezione internazionale) non provava che egli si fosse effettivamente integrato in Italia.

4. M.G. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6,7 e 14, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per aver il tribunale ritenuto inattendibili le sue dichiarazioni omettendo di tener conto del certificato da lui prodotto, che attestava che la morte del fratello era avvenuta in circostanze “riconducibili a un colpo di testa”, e contravvenendo al proprio dovere di cooperazione istruttoria e per aver inoltre escluso l’attualità del pericolo a distanza di soli tre anni dal verificarsi dei fatti, senza citare le fonti da cui ha tratto informazioni sulla situazione generale del *****.

2. Col secondo mezzo denuncia, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 per aver il tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria delegittimando il suo percorso di integrazione sociale, solo perché le attività da lui svolte erano state organizzate da associazioni che offrono la stessa possibilità a tutti i migranti accolti nel progetto, e omettendo di considerare che egli aveva vissuto in ***** in una situazione di assoluta precarietà e vulnerabilità e che aveva anche vissuto in Libia per un notevole periodo di tempo.

3. Il primo motivo è infondato laddove lamenta l’omessa attivazione dei poteri officiosi del giudice: il tribunale, infatti, una volta ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non era tenuto ad alcun approfondimento istruttorio ulteriore ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass., 20 dicembre 2018, n. 33096; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794) mentre, in relazione alla fattispecie di cui alla lett. c) della medesima norma, ha indicato la fonte – il rapporto di Amnesty International – in base alla quale ha escluso che il ***** versi in una situazione di violenza indiscriminata.

3.1 Per il resto il motivo è inammissibile, posto che – a fronte dell’ampia motivazione sulla quale si fonda il capo del decreto con esso impugnato – si risolve nella mera e inaccoglibile richiesta di un nuovo giudizio di fatto, in ragione di una pretesa, complessiva erroneità delle valutazioni operate dal giudice del merito (non sindacabili nella presente sede di legittimità se non nei ristretti termini delineati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non chiarisce quale sia la decisività del certificato di morte prodotto (del quale il tribunale ha fatto menzione senza attribuirvi alcuna rilevanza) né indica specifiche ed aggiornate fonti di informazione internazionale dalla quali emerga che il ***** è teatro di un conflitto armato generalizzato.

3.3. Il secondo motivo, illustrato unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione, è inammissibile, sia perché, in buona parte, anch’esso volto ad ottenere un diverso apprezzamento nel merito delle circostanze sulle quali il tribunale ha fondato la decisione, sia perché non contrasta l’accertamento del giudice, in ordine alla mancata allegazione di specifici profili di vulnerabilità del richiedente, attraverso la precisa indicazione del come e del quando siano stati introdotti in giudizio i fatti storici (situazione di assoluta precarietà e indigenza delle condizioni di vita in *****; soggiorno in Libia) che non sarebbero stati esaminati e che si assumono decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda.

Nulla deve disporsi sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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