Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24346 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16592/2019 proposto da:

G.A.A., elettivamente domiciliato in Trento, piazza Cesare Battisti 26, presso lo studio dell’avv. Andrea Pizzini, che lo rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, nella persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 769/2019 del Tribunale di TRENTO, pubblicato il 17 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. G.A.A., cittadino della ***** proveniente da *****, ha presentato ricorso al Tribunale di Trento avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona del 20 febbraio 2018, che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato alla C.T. di aver lasciato il suo Paese d’origine per potersi prendere cura della sua famiglia, in quanto il suo negozio di alimentari, gestito all’interno di un mercato, era stato distrutto, insieme a molti altri esercizi, nel corso di un attentato che aveva cagionato anche morti e feriti, sferrato da membri dell'*****, organizzazione dedita ad attività estorsive, per reazione alla protesta dei commercianti che non volevano più versare denaro.

3. Con decreto del 17 aprile 2019 il tribunale adito ha respinto le domande di status e di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) in quanto ha ritenuto il racconto non credibile, sia per le ragioni già esposte dalla C.T., sia perché fra le dichiarazioni rese dal ricorrente dinanzi all’organo amministrativo e quelle rese in udienza v’erano numerose ed insanabili contraddizioni; ha aggiunto che, comunque, anche a voler ritenere attendibile la vicenda narrata, difettava il requisito dell’attualità del pericolo di persecuzione, peraltro prospettato in termini vaghi, atteso che gli eventi risalivano al 2016 e che lo stesso G.A. aveva dichiarato che nel suo Paese non vi erano conflitti armati, salvo quelli che vedevano coinvolta l’organizzazione terroristica di *****, aveva riferito in termini generici degli scontri fra le etnie yoruba ed hausa ed aveva precisato che la sua famiglia viveva tranquillamente nel *****, dove si era trasferita da ***** solo perché il costo della vita era più basso; il giudice ha, quindi, escluso che ***** versi in una situazione di violenza indiscriminata, tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c) cit. ed ha infine affermato che non ricorrevano i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che il richiedente non aveva allegato alcun profilo di sua vulnerabilità e che la documentazione da lui prodotta (attestazione di aver svolto per pochi giorni il lavoro di raccolta delle mele e di aver partecipato ad un corso di lingua e cultura italiana) non provava che egli si fosse effettivamente integrato in Italia, mentre era dimostrata la sua radicalizzazione in *****, dove vivevano i genitori, i fratelli, la moglie e il figlio di 9 anni.

4. G.A.A. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” tardivo, ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. A) C) e D). Deduce che, nel caso in cui fosse costretto a tornare in *****, si troverebbe esposto al concreto pericolo di rimanere vittima di attentati terroristici o di scontri interetnici o fra gruppi armati nel contesto di faide locali.

1.1. Il motivo, che non muove alcuna specifica critica alla decisione impugnata, ma si limita ad esporre in via meramente assertiva ed ipotetica la sussistenza – esclusa in concreto dal tribunale – di una serie di rischi cui G.A. andrebbe incontro in caso di rimpatrio, va dichiarato inammissibile.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6,7 e 14, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per aver il Tribunale omesso di adempiere al proprio dovere di cooperazione istruttoria, e perciò erroneamente ritenuto che i gravissimi fatti da lui narrati non fossero riconducibili a un rischio attuale di persecuzione, e per avere, inoltre, escluso la sua credibilità limitandosi ad aderire alle valutazioni della C.T.

2.1. Il motivo è infondato laddove lamenta l’omessa attivazione dei poteri officiosi del giudice: il tribunale, infatti, una volta ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non era tenuto ad alcun approfondimento istruttorio ulteriore ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass., 20 dicembre 2018, n. 33096; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794) mentre, in relazione alla fattispecie di cui alla lett. c) della medesima norma, oltre ad indicare la fonte – il sito del Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale – in base alla quale ha escluso che ***** versi in una situazione di violenza indiscriminata, ha pure tenuto conto del fatto che, secondo quanto dichiarato dallo stesso ricorrente, l’intera sua famiglia si era trasferita in un altro Stato della ***** per ragioni economiche e non per sfuggire a possibili rischi di attentati.

2.2. Per il resto il motivo è inammissibile, posto che – a fronte dell’ampia motivazione che sorregge il capo del decreto con esso impugnato – si risolve in buona sostanza nella mera, inaccoglibile richiesta di un nuovo giudizio di fatto, in quanto in quanto si limita a sostenere l’erroneità delle valutazioni del tribunale (sia in ordine all’inattendibilità delle sue dichiarazioni, sia in ordine alla inattualità del pericolo rappresentato), ancorché basate su un accertamento di merito non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nei ristretti termini delineati dall’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, e neppure cita specifiche e aggiornate fonti di informazione internazionale dalle quali emerga che ***** o il ***** siano teatro di un conflitto armato generalizzato, richiamando unicamente situazioni (terrorismo di *****, scontri per l’indipendenza del *****) che interessano altre zone del Paese.

3. Col terzo mezzo il ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, per aver il tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria omettendo di tener conto del suo percorso di integrazione sociale, del fatto che ha vissuto in Libia per un notevole periodo di tempo e che sarebbe lì rimasto se le condizioni socio-politiche del Paese lo avessero consentito e della situazione di assoluta precarietà ed indigenza in cui si troverebbe tornando in *****, dove non ha alcuna prospettiva di lavoro.

3.1 Anche questo motivo, illustrato esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione, è inammissibile, perché contrasta in via del tutto generica il giudizio comparativo compiuto dal tribunale fra l’attuale situazione del ricorrente (che non ha allegato specifici profili di sua vulnerabilità e non si è integrato in Italia) e quella in cui si troverebbe tornando nel *****, dove vive tranquillamente tutta la sua famiglia, e non specifica come e quando siano stati introdotti in giudizio i fatti storici (situazione di assoluta precarietà e indigenza delle condizioni di vita in *****; soggiorno in Libia) che non sarebbero stati esaminati e che si assumono decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda.

Nulla deve disporsi sulle spese poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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