Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24347 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13590/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avvocato *****, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura U.T.G. di Milano;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, del 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 dal cons. Dott. CAPRIOLI MAURA.

Ritenuto che:

S.A. cittadino del *****, proveniente dal ***** – proponeva ricorso avanti il Tribunale di Reggio di Milano avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver dovuto lasciare il suo Paese per timore di essere perseguitato poiché la popolazione del suo villaggio riteneva che egli frequentasse alcune persone di religione ***** e non fosse più *****.

Il Tribunale rigettava il ricorso ritenendo che la vicenda personale narrata dal ricorrente non prospettasse esistenza di persecuzione o pericolo specifico; che non sussisteva attualmente nella zona del ***** di provenienza del richiedente asilo una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa e che non concorrevano ragioni fattuali lumeggianti condizione specifica di vulnerabilità od inserimento sociale ai fini della protezione umanitaria.

Avverso detta ordinanza S.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, non si è costituito.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il richiedente si duole della mancata concessione della protezione sussidiaria malgrado il Tribunale di Milano avesse riconosciuto la grave situazioni di instabilità esistente in ***** e nel *****.

Con un secondo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 alla L. n. 110 del 2017 che ha introdotto il reato di tortura e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e all’art. 3 Cedu per avere il primo Giudice ritenuto non sussistenti gli elementi idonei alla protezione umanitaria.

Il primo motivo è inammissibile.

La censura mossa appare generica poiché si compendia nella contestazione della statuizione assunta dal primo Giudice sulla scorta della prospettazione di tesi alternative a quella esposta nel decreto impugnato, così sollecitando questa Corte di legittimità ad un inammissibile esame circa il merito della questione. Ma al riguardo il Tribunale ha puntualmente operato riferimento alle informazioni desunte da rapporti, redatti da Organizzazioni internazionali all’uopo preposte, che specificatamente indica nel decreto, afferenti alla situazione del 2017, dai quali si ricava che la stessa non appare connotata da violenza diffusa nell’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

La contestazione mossa invece si limita ad enfatizzare i momenti di criticità della citata situazione, già ricordati dalle medesime fonti utilizzate al Tribunale, ossia la presenza di gruppi terroristici dediti ad attentati e la diversa valutazione elaborata da altri Giudici italiani al riguardo.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

La censura proposta appare generica e pertanto inammissibile in quanto il ricorrente non si confronta con l’effettiva e specifica motivazione illustrata dalla Collegio con riguardo alla non concorrenza di sue condizioni di vulnerabilità oggettiva e soggettiva.

Inoltre il Tribunale ha proceduto all’apposita comparazione sulla scorta di tali dati fattuali circa le condizioni di vita del richiedente asilo in Italia ed in Patria, sottolineando come lo stesso in caso di rimpatrio avrebbe la possibilità di ricongiungersi alla propria famiglia e non avrebbe difficoltà all’inserimento nel mondo lavorativo del suo Paese.

A fronte di detta puntuale verifica, la critica si risolve in una censura sulla non corretta valorizzazione di elementi non meglio specificati e cioè in un sindacato di merito non consentito a questa Corte.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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