Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24397 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23042-2019 proposto da:

F.S., rappresentato e difeso dall’avv. MICHELE CAROTTA, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2472/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 10.8.2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da F.S. avverso il provvedimento della Commissione territoriale competente con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria. Il F. aveva dichiarato, in particolare, di essere fuggito dal *****, suo Paese di origine, perché perseguitato in ragione del suo orientamento omosessuale; aveva in particolare riferito di avere una relazione stabile con un altro uomo, di esser stato per questo motivo respinto dalla propria famiglia e denunciato alle autorità, che lo perseguivano in quanto l’omosessualità costituisce reato in *****. La storia veniva ritenuta non credibile e il Tribunale respingeva il ricorso.

Interponeva appello il F. e la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza oggi impugnata, n. 2472/2019, rigettava il gravame, confermando la valutazione di non credibilità del racconto, soprattutto perché il richiedente, nonostante fosse consapevole del fatto che l’omosessualità costituisse reato in *****, aveva dichiarato di frequentare apertamente un gruppo di persone con inclinazione omosessuale.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione F.S. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, in ragione del fatto che egli aveva riferito una storia di persecuzione a sfondo sessuale, rientrante quindi nel paradigma previsto per la concessione della protezione internazionale maggiore.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame, da parte del giudice di merito, della sua inclinazione omosessuale, che sarebbe stata valutata dalla Corte distrettuale in modo non adeguato, senza tener conto dell’impatto che, sulla vita personale del richiedente, potrebbe avere un eventuale rimpatrio.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta il vizio della motivazione, puramente apparente e illogica perché sganciata dalla vicenda particolare da lui riferita.

Le tre censure, che per la loro intima connessione meritano un esame congiunto, sono fondate.

Il richiedente aveva dichiarato di essere perseguitato, in patria, in ragione del suo orientamento omosessuale; di aver intrattenuto una relazione con un altro uomo, per molti anni, tenendola nascosta ai suoi familiari; di aver frequentato un gruppo di persone di inclinazione omosessuale; di esser stato scoperto e denunciato, respinto dalla propria famiglia e perseguito dall’autorità, in quanto l’omosessualità costituisce reato in *****. La Corte distrettuale ha dato atto che il richiedente aveva “…dichiarato che faceva parte di un nutrito gruppo di omosessuali che si incontravano in locali riservati o anche alberghi; come in altri casi similari, a un certo punto vi è stato l’intervento della polizia, ma è riuscito a scappare “grazie a Dio”; un amico non meglio identificato gli ha suggerito di lasciare il paese e lo ha aiutato perché la polizia “stava cercando gli altri” e non ha detto come sapesse anche di lui solo in seguito ha giustificato la cosa, dicendo che forse i suoi amici ne hanno rivelato l’identità; inoltre, alle domande dell’intervistatore relative all’orientamento e alla pratica sessuale ha dato risposte quanto mai vaghe (p. es. “facevano le cose di nascosto per cui non ci eravamo dati un nome… passavamo la notte e facevamo le nostre cose etc.); della relazione con un compagno che sarebbe durata ben 15-20 anni si è limitato a dire che non vivevano insieme, ma si vedevano quando ne aveva voglia, e che purtuttavia la cosa non sarebbe mai stata notata neppure dai familiari. In un simile contesto, la tessera dell'***** (doc. 2) non è un riscontro decisivo” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Tale motivazione si risolve in una serie di affermazioni assolutamente sganciate dalla vicenda particolare riferita dal richiedente la protezione internazionale. In particolare, nessun rilievo può avere il fatto che la storia possa assomigliare ad altre, posto che la circostanza che l’omosessualità sia reato in ***** – non revocata in dubbio dalla Corte di merito – evidenzia ex se il trattamento ingiustamente discriminatorio riservato agli omosessuali, e rende tutte le loro storie inevitabilmente somiglianti, non essendo necessario alcun ulteriore circostanza, al di là della mera inclinazione sessuale dell’individuo, per far scattare la persecuzione. Ne’ può aver rilievo il fatto che l’omosessualità sia stata vissuta, in un contesto fortemente omofobo, in modo riservato, se non addirittura di nascosto; non stupisce, quindi, che la famiglia non fosse a conoscenza dell’orientamento omosessuale del ricorrente. Ne’, per concludere, può rilevare il fatto che una persona di inclinazione omosessuale abbia, anche in una società culturalmente arretrata, la legittima aspirazione a coltivare la propria libera scelta sessuale, frequentando -pur nella consapevolezza del rischio conseguente- altri omosessuali. Argomentando diversamente, si finirebbe per affermare il principio per cui, in presenza di fenomeni repressivi delle più intime esplicazioni della personalità umana – la libera scelta sessuale rientra di certo in tale ambito – la persona sia tenuta a vivere la propria scelta di nascosto, frustrando quindi le proprie inclinazioni personali in ragione dell’esigenza di rispettare una norma sostanzialmente ingiusta.

Sul tema, va dunque ribadito, con fermezza, che la circostanza che nel Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale sia previsto il reato di omosessualità rende di per sé il predetto soggetto vulnerabile in ragione del suo orientamento sessuale, che non è frutto di scelta consapevole ma di inclinazione naturale. Proprio l’esistenza di una legislazione contraria alla libera e piena esplicazione dei diritti fondamentali della persona nel Paese di origine – tra i quali rientra certamente quello di coltivare di una relazione affettiva, etero od omosessuale, che costituisce elemento essenziale e ineludibile della piena estrinsecazione della personalità umana – espone infatti il richiedente la protezione non soltanto al rischio, ma alla certezza di subire, a causa del suo orientamento sessuale, un trattamento umanamente degradante, in ogni caso non paritetico e comunque non in linea con gli standard internazionali in tema di diritti umani.

Sul punto, questa Corte ha affermato, con principio che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, che “Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza (nella specie, *****) è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15981 del 20/09/2012, Rv. 624006; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 26969 del 24/10/2018, Rv. 651511).

In termini analoghi, cfr. anche Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2875 del 06/02/2018, Rv. 647344, proprio relativa ad un cittadino del ***** accusato di omosessualità, la quale ha affermato che ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere la protezione internazionale, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenza o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi ad accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2 e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero.

Nel caso di specie, la Corte di Appello non si è attenuta ai precedenti di questa Corte, poiché ha dato per scontato il fatto che in ***** l’omosessualità costituisca reato, ma ha poi ritenuto di poter sindacare le modalità con cui, in concreto, il ricorrente aveva dichiarato di aver vissuto il proprio orientamento sessuale, dimenticando totalmente i dati concreti della storia, la cui veridicità è stata esclusa non già in funzione di contraddizioni incidenti su dati di fatto oggettivi e rilevabili, bensì in ragione, da un lato, della sua somiglianza ad altri racconti, evidentemente riferiti da altri migranti di orientamento omosessuale provenienti dal medesimo contesto territoriale di origine, e, dall’altro lato, da astratte considerazioni sulla credibilità che un omosessuale possa decidere di vivere di nascosto la propria inclinazione naturale, pur sapendo di vivere in un contesto omofobo, frequentando tuttavia circoli omosessuali, nonostante il rischio di essere arrestato. Ragionando in tal modo il giudice di merito non si è avveduto di aver indirettamente legittimato la persecuzione perpetrata ai danni dell’omosessuale sulla sola base della sua naturale inclinazione sessuale, che costituisce, come già detto, uno dei più intimi profili di esplicazione della personalità umana, e che dunque, in quanto tale, non può in nessun caso legittimare un trattamento discriminatorio.

Merita di essere affermato il seguente principio: “La valutazione sulla credibilità del racconto del richiedente la protezione internazionale che dichiari di essere omosessuale non può in nessun caso essere condotta in relazione alle modalità con cui egli abbia riferito di essersi reso conto del proprio orientamento sessuale, o di averlo vissuto nella sua dimensione intima, o di aver deciso di manifestarlo, o non manifestarlo, all’esterno, in quanto la libera scelta sessuale costituisce uno dei principali profili in cui si realizza l’esplicazione della personalità umana. Ne’ rileva la circostanza che, in un contesto in cui l’omosessualità costituisca reato, la scelta sessuale sia stata vissuta in maniera esplicita o riservata, non potendosi richiedere alla persona di inclinazione omosessuale, in ragione del solo fatto che egli viva in un contesto sociale che discrimini l’omosessualità, o in un Paese che addirittura la preveda come reato, di assumere, o non assumere, una determinata condotta, in relazione ad una scelta che deve rimanere libera. Ne consegue che la valutazione di credibilità della storia debba essere condotta a prescindere dal profilo dell’omosessualità, e dunque in base a riscontri oggettivi direttamente inerenti ai fatti concreti riferiti dal richiedente”.

Da quanto precede deriva l’accoglimento dei tre motivi di ricorso, la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Venezia, in differente composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Venezia, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 1 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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