Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24411 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4150-2020 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI E L’IMMIGRAZIONE UNITA’ DI DUBLINO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.M.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, del 28/11/2019 R.G.N. 60288/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso proposto da A.M. avverso il provvedimento con il quale il Ministero dell’Interno Unità Dublino, aveva disposto il suo trasferimento in *****;

a fondamento del decisum osservava che risultava violato il termine di sei mesi previsto dall’art. 29 del regolamento n. 604/2013 entro i quali doveva essere disposto il trasferimento del richiedente verso lo Stato competente;

era infatti emerso che la ***** aveva accettato di prendere in carico il ricorrente il 9/1/2018, ma il Ministero aveva presentato ricorso in data 21/9/2018, decorso il termine semestrale previsto dalla richiamata disposizione, senza che nelle more fosse intervenuto il trasferimento, né un provvedimento di sospensione del trasferimento medesimo ai sensi dell’art. 27, par. 3.

CONSIDERATO

CHE:

1. con unico motivo di ricorso, il Ministero deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 29 Reg. U.E. n. 604 del 2013 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si duole che il giudice del merito abbia tralasciato di considerare che il punto 2 dell’art. 29 del Regolamento, così dispone: “Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito”;

si deduce che alla stregua della documentazione versata in atti, l’Amministrazione aveva fornito piena prova della irreperibilità del resistente presso il domicilio indicato in questura, essendosi così verificata la fattispecie della fuga, disciplinata dalla disposizione all’esame;

2. il motivo non è ammissibile;

il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione;

risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (vedi Cass. 29/11/2016 n. 24298);

nello specifico il Ministero non si è attenuto ai surrichiamati principi, avendo del tutto genericamente argomentato in ordine ad una proroga del termine per disporre il trasferimento, sulla base del prospettato stato di irreperibilità del richiedente che – ritenuto assimilabile all’ipotesi di fuga contemplata dal punto 2 dell’art. 29 del Regolamento citato – ha dedotto di avere comprovato documentalmente;

la deduzione appare del tutto generica, non supportata dalla produzione documentale alla quale fa riferimento, in violazione dei dettami di cui all’art. 369 c.p.c., non conformata al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 e come tale inidonea a cogliere la ratio decidendi della pronuncia impugnata;

a ciò può aggiungersi che lo stesso art. 29, comma 1 – secondo cui “Il trasferimento del richiedente, o di altra persona ai sensi dell’art. 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’art. 27, paragrafo 3 – stabilisce in primo luogo che il trasferimento può essere eseguito solo quando è “materialmente possibile” (quindi non in caso di irreperibilità), sicché in tale contesto non assume neanche alcun valore decisivo la situazione di irreperibilità del richiedente e la sua eventuale equiparazione alla fuga sostenuta dal Ministero ricorrente;

alla stregua delle considerazioni esposte deve, conclusivamente, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione non avendo parte resistente svolto attività difensiva;

non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’amministrazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17;

il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile’ o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi delle norme appena richiamate – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis non può infatti aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (vedi, per tutte: Cass. 14/3/2014, n. 5955, Cass. 9/8/2016 n. 16667).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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