LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30756-2019 proposto da:
X.J., rappresentata e difesa dall’avv.to FRANCESCA GORINI, (francesca.gorinimilano.pecavvocati.it) elettivamente domiciliata a Roma presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO n. 6800/2019, depositato il 27/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. X.J., proveniente dalla Cina, ricorre affidandosi a quattro motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Milano che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, proposta in ragione del diniego lei opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.
1.1. Per ciò che qui interessa, la ricorrente aveva narrato di essere stata costretta a lasciare il proprio paese a causa della persecuzione subita per ragioni religiose, facendo parte della *****, invisa al regime vigente che aveva fatto arrestare numerosi suoi compagni di fede.
2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 722 del 1954, nonché dell’art. 4, commi 3, 4 e 5 della direttiva 2004/ 83 CE, e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3, 4 e 5 in punto di valutazione di credibilità della vicenda raccontata.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Il Tribunale, infatti, ha scrutinato i fatti narrati attenendosi al paradigma valutativo predicato dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, vagliando compiutamente le emergenze processuali e tutte le contraddizioni rilevate, con particolare riferimento alla circostanza che la ricorrente fosse ricercata dalla polizia e che avesse ottenuto nel tempo di appena due settimane il rilascio del passaporto ed il visto turistico per l’Italia (cfr. pag. 4, 5, 6, 7, 8, 9); inoltre risulta che abbia utilizzato, nell’ambito del proprio convincimento fonti informative attendibili ed aggiornate sulle condizioni della persecuzione religiosa in Cina (cfr. note a pag. 9 del decreto).
1.3. Tanto premesso, la censura maschera la richiesta di una nuova valutazione di merito, non consentita in questa sede: il motivo, dunque, si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, ove sia sostenuta, come nel caso in esame da argomentazioni logiche e coerenti, a nulla rilevando che il compendio istruttorio possa essere valutato anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, in quanto, diversamente, il giudizio di legittimità si trasformerebbe, in un non consentito terzo grado di merito (cfr. ex multis Cass. 18721/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019) 2. Con il secondo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra relativa allo Status di Rifugiati ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 722 del 1954, nonché dell’art. 4, comma 4, artt. 6, 9 e 10 Direttiva 2004/83/Ce e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 4, artt. 5,7 e 8. Lamenta che le vicende narrate avrebbero imposto il riconoscimento dello status di rifugiato, viste le violenze fisiche e psichiche subite, di cui il Tribunale non aveva tenuto conto.
3. Con il terzo motivo, (erroneamente indicato come quarto) lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 Direttiva 2004/83/CE e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, nonché l’art. 3 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria.
4. Entrambi i motivi rimangono logicamente assorbiti dalle argomentazioni già sviluppate in relazione alla precedente censura, riguardante la credibilità, la cui valutazione risulta pregiudiziale rispetto ai fatti narrati.
5. Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con particolare riferimento al percorso di integrazione sociale del richiedente la protezione umanitaria.
5.1. Deduce la mancanza di una valutazione comparativa dei diversi aspetti del caso concreto: ma, in tal modo, omette di considerare che la Corte ha precisato che anche la fattispecie “residuale” invocata era stata riferita dalla stessa ricorrente alla medesima vicenda allegata in relazione alle altre fattispecie con la conseguenza che, essendo stato ritenuto inattendibile il culto professato, la censura da una parte non è conducente perché si limita a riproporre le stesse argomentazioni già affrontate e disattese dal Tribunale e, dall’altra, è inammissibile perché contiene una non consentita critica alla motivazione ed omette del tutto di indicare il fatto storico principale o secondario che il Tribunale, secondo il vizio denunciato in rubrica, avrebbe omesso di esaminare. Il motivo, pertanto, nel complesso è inammissibile.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non sono dovute spese, atteso che il ricorso viene deciso in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021