Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24433 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29321/2019 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in Catania, piazza Abramo Lincol n. 22, presso l’avv. NUNZIA LUCIA MESSINA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il 14/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO

Che:

1.- O.E. è cittadino nigeriano. Ha raccontato di essere rimasto orfano dei genitori in giovane età; di avere subito le angherie di uno zio, cui è sfuggito trovando accoglienza da un amico di famiglia, e lavorando presso costui come saldatore, per poi sposarne la figlia; ma lo zio lo ha comunque trovato ed ha preteso che lui aderisse alla setta degli *****, e stante il rifiuto opposto, lo ha inizialmente minacciato; poi, una notte ignoti si sono presentati in casa sua ed hanno tentato di uccidere lui e la moglie; da qui la fuga, dapprima attraverso la Libia, dove il ricorrente è rimasto due anni e dove ha subito angherie e violenze, e dove la moglie è stata violentata; poi, messi da parte i soldi necessari al viaggio, in Italia.

2. – Impugna un decreto del Tribunale di Catania che, ritenuto inverosimile il suo racconto, ha rigettato le richieste di protezione sia internazionale che umanitaria.

3. – Il ricorso è basato su sei motivi e non è contrastato dal Ministero, che si è costituito ma senza notificare controricorso.

CONSIDERATO

Che:

4.- Primo e secondo motivo possono esaminarsi insieme, in quanto attengono al giudizio di credibilità.

Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 14, mentre il secondo, oltre che 3 e 5 della medesima legge, altresì della L. n. 25 del 2008, art. 8.

Il ricorrente contesta al Tribunale di avere effettuato un giudizio di inverosimiglianza del racconto in violazione dei criteri legali, e soprattutto di avere trascurato due dati: il riscontro delle dichiarazioni del ricorrente con quelle della moglie, per il quale era stata chiesta autorizzazione e la situazione del paese di origine. Entrambi accertamenti imposti dall’obbligo di cooperazione istruttoria in capo al giudice di merito.

I motivi sono infondati.

Va ribadito che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. 14674/2020).

Il Tribunale ha, con motivazione adeguata, ritenuto intrinsecamente non credibile il racconto, e dunque non era tenuto a cercare riscontri esterni alla sua narrazione, compreso il confronto con le dichiarazioni della moglie; peraltro non è allegato il loro contenuto e dunque non si può stabilire se un tale confronto potesse tornare utile: infine, la valutazione del paese di origine, in questo contesto ovviamente, presuppone credibilità del racconto.

5. – Terzo, quarto e quinto motivo possono anche essi valutarsi insieme, in quanto pongono una medesima questione, sia pure con censure di contenuto diverso: ossia la rilevanza che ha avuto il periodo trascorso in Libia.

Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 46 del 2017, art. 35 bis, il quarto omesso esame di un fatto rilevante, il quinto violazione della L. n. 286 del 1998, art. 5, in tema di protezione umanitaria: doglianza comune a tutti e tre i motivi è costituita dal rilievo del passaggio in Libia: la ratio decidendi è stata nel senso di escludere un tale rilievo in quanto nel paese di transito non era dimostrato che il ricorrente avesse un lavoro stabile ed una residenza.

Questo assunto viene contestato in due modi: intanto si prospetta una interpretazione lata della nozione di “paese di origine” sostenendo che vi rientri anche quello di transito, se ivi il soggiorno è stato sufficientemente lungo.

In secondo luogo, si osserva come il transito in una diversa nazione ha rilievo per il vissuto, ossia per le violenze o le vessazioni ivi subite, non già per l’assenza di una residenza e di un lavoro stabili.

I motivi sono parzialmente fondati.

Non lo sono nella parte in cui prospettano la tesi che per paese di origine debba intendersi anche quello di transito, quando il soggiorno è stato significativamente lungo: il paese di origine è esclusivamente quello di provenienza, in quanto è rispetto a quest’ultimo che va valutato il rimpatrio; quello di transito è estraneo ad una tale valutazione, non è il paese in cui va deciso se rimpatriare o meno lo straniero.

E’ invece fondata la censura relativa al rilievo da dare al paese di transito, rispetto alla ratio della decisione: quest’ultima ha escluso che il soggiorno in Libia potesse rilevare ai fini della protezione umanitaria per via del fatto che in Libia il ricorrente non aveva né residenza né lavoro stabile; e tuttavia il paese di transito rileva in una duplice maniera: da un lato per le violenze che il ricorrente assume di aver subito e che naturalmente incidono sulla sua vulnerabilità, anche ai fini del rimpatrio in un paese diverso (da quello di transito) (Cass. 2558/2020), per altro verso per la durata che il soggiorno ha avuto in quel paese (Cass. 13758/2020).

L’apprezzamento del periodo trascorso in Libia va pertanto condotto alla stregua di tali criteri.

6. – Il sesto motivo è assorbito, attendendo alla valutazione delle condizioni del paese di origine (Nigeria) da effettuarsi in seguito alla rivalutazione delle condizioni sopra evidenziate.

7.- Il ricorso va accolto in tali termini.

P.Q.M.

La Corte accoglie terzo, quarto e quinto motivo nei termini di cui in motivazione. Rigetta primo e secondo, assorbito il sesto. Cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di Catania, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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