LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18094-2020 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE PIZZI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO;
– intimata –
avverso il decreto n. cronol. 2664/2020 del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 16/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 16/4/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano in ordine alle istanze avanzate da S.M. nato in Gambia il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto, era stato sequestrato dai ribelli i quali si erano appropriati del camion carico di legname che stava guidando. Gli abitanti del villaggio non avevano creduto alla sua storia e gli avevano chiesto di ripagare il camion andato perduto. Per questo motivo, temendo di essere ucciso era fuggito.
Il Tribunale di Milano in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.
Avverso il decreto del Tribunale di Milano il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 46 del 2017), art. 35-bis comma 11 lett. A, del D.Lgs. n. 251 del 2007, perché il Tribunale non ha disposto l’audizione del ricorrente, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonostante la espressa istanza del ricorrente sebbene mancante la videoregistrazione dell’audizione svoltasi davanti alla competente Commissione Territoriale.
Il primo motivo di ricorso, attinente ad una questione di rito, è infondato e deve essere respinto in quanto risulta dal provvedimento impugnato che Il Tribunale territoriale, in mancanza della videoregistrazione delle dichiarazioni rese davanti alla competente Commissione Territoriale non eseguita per motivi tecnici, ha fissato e regolarmente tenuto l’udienza di comparizione delle parti in data 31/7/2018 alla quale era presente il difensore. Non sussiste, d’altra parte, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. sez. 1 n. 17717 del 18), per cui rettamente il Tribunale, dopo aver adempiuto all’obbligo di disporre l’udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia nullità del decreto ex art. 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione sussidiaria e violato il dovere di cooperazione istruttoria.
Il motivo è inammissibile. Infatti, quanto al dovere di cooperazione istruttoria, il Giudice in base a numerose puntuali informazioni sui siti online citati ha ritenuta l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nel Gambia, zona di provenienza del ricorrente. A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), il tribunale di merito ha ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria e precisato come il Gambia non risulta dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.
Inoltre nell’ipotesi in cui il giudice – come nel caso concreto – abbia, bensì, fondato la decisione su fonti aggiornate, ma il ricorrente deduca che tali fonti non siano le ultime concernenti la zona di provenienza, ciò non si traduce, di per sé, in un motivo di nullità della pronuncia impugnata, salvo che il richiedente deduca e dimostri -riproducendone il contenuto essenziale nel ricorso – che da queste ultime fonti emergano specifici elementi di accresciuta instabilità e pericolosità non considerati (Cass., 30/10/2020, n. 23999). Nella specie, il ricorrente non ha adempiuto tale onere, con specifico riferimento alla regione di provenienza.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia nullità del decreto ex art. 161 c.p.c., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione umanitaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il terzo motivo è inammissibile.
E’ noto, infatti, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; come precisato da Cass. 2 luglio 2020, n. 13573); ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è in particolare necessario che il richiedente fornisca elementi idonei a far desumere situazioni di vulnerabilità o che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza.
Tuttavia, detto onere, nella specie, non risulta assolto.
Ne’, a motivo della domanda di protezione umanitaria, risultano allegate situazioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte ai fini delle protezioni maggiori, avendo il ricorrente rappresentato esclusivamente l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale italiano che il Tribunale ha ritenuto non sufficiente a concedere la richiesta protezione. (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019.) Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta/prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021