LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Giudo – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7109/2019 R.G. proposto da:
CREDITO FONDIARIO S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.
B.R., in qualità di mandataria con rappresentanza della BANCA CARIGE S.P.A. – CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabiola Giovannelli, con domicilio eletto in Roma, via Licinio Stolone, n. 119, presso lo studio dell’Avv. Mariannina Maiolo;
– ricorrente –
contro
B.P. e P.P., rappresentati e difesi dall’Avv. Roberto Catalano, con domicilio eletto in Roma, viale di Villa Grazioli, n. 15;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 7786/18 depositata il 5 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
Rilevato che con decreto ingiuntivo n. 511/14, emesso l’8 aprile 2014, il Tribunale di Viterbo, su ricorso della Banca Carige S.p.a. – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, intimò a B.P. e P.P. il pagamento della somma di Euro 45.376,15, a titolo di saldo debitore di un conto corrente intestato al B. e garantito dalla P.;
che con sentenza del 9 febbraio 2017 il Tribunale di Viterbo accolse l’opposizione proposta dal B. e dalla P., revocando il decreto ingiuntivo, dichiarando la nullità delle polizze di assicurazione sulla vita sottoscritte dagli opponenti, dichiarando compensato il saldo del conto, ricalcolato a seguito della dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali che prevedevano il tasso d’interesse e la commissione di massimo scoperto, con il credito relativo alla restituzione delle somme investite nelle polizze dichiarate nulle, e condannò gli opponenti al pagamento della somma di Euro 19.283,04, oltre interessi;
che il gravame interposto dal B. e dalla P. è stato parzialmente accolto con sentenza del 15 dicembre 2018, con cui la Corte d’appello di Roma ha esteso la dichiarazione di nullità alla polizza *****, intestata all’attore, condannando la Banca al pagamento delle somme di Euro 15.000,00 in favore del B. e di Euro 23.000,00 in favore della P., oltre interessi;
che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, il Credito Fondiario S.p.a., in qualità di mandatario con rappresentanza della Banca Carige;
che il B. e la P. hanno resistito con controricorso.
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 2967 c.c., ed al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, sostenendo che, nel ritenere non provato il credito relativo al saldo del conto corrente, a causa della mancata produzione in giudizio degli estratti conto relativi al periodo 1 ottobre 2012-10 febbraio 2014, la sentenza impugnata ha erroneamente richiamato la relazione depositata dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, dalla quale non risultava affatto la mancanza dei predetti documenti, ma solo la difformità del saldo da quello allegato a sostegno della domanda;
che, ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale ha omesso di esaminare gli estratti conto, dai quali emergeva che il saldo allegato a sostegno della domanda corrispondeva a quello in atto al 30 settembre 2012, con l’aggiunta degl’interessi maturati al 10 febbraio 2014 e la detrazione dell’importo ricavato dal realizzo delle polizze di assicurazione, non essendo stata compiuta alcuna operazione dopo il 30 settembre 2012, in quanto il conto era stato chiuso e l’esposizione era stata trasferita a sofferenza;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., e del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, ribadendo che la Banca aveva pienamente assolto il proprio onere probatorio, mediante la produzione degli estratti conto relativi al periodo *****, che avevano costituito oggetto di esame da parte del c.t.u. e di discussione tra le parti;
che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono inammissibili;
che la ricorrente lamenta infatti l’errata valutazione della relazione depositata dal c.t.u. e l’omesso esame degli estratti conto prodotti in giudizio, in tal modo sollecitando un nuovo apprezzamento del materiale probatorio acquisito agli atti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);
che la predetta disposizione, riformulando il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento processuale un vizio specifico, consistente nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, emergente dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, escludendo pertanto la possibilità di far valere l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. I, 26/09/2018, n. 23153; Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892);
che nella specie, anche a voler ravvisare il fatto storico pretermesso dalla sentenza impugnata nella chiusura del conto corrente e nel trasferimento del relativo saldo a sofferenza in data corrispondente a quella risultante dall’ultimo estratto conto prodotto in giudizio, le censure proposte dalla ricorrente dovrebbero considerarsi prive di specificità, non essendo accompagnate dalla indicazione della fase processuale e dell’atto nel quale la predetta circostanza sarebbe stata fatta valere;
che la parte che in sede di legittimità intenda far valere il vizio di motivazione, sia pure nei limiti imposti dal testo vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è tenuta infatti, ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ad indicare non solo il fatto storico il cui esame è stato omesso e le ragioni per cui esso deve ritenersi idoneo ad orientare diversamente la decisione, ma anche il dato testuale o extratestuale da cui lo stesso emerge, nonché come e quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. III, 10/08/2017, n. 19987; Cass., Sez. VI, 27/11/2014, n. 25216);
che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021