LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Giudo – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10811/2020 R.G. proposto da:
O.O., rappresentato e difeso dall’Avv. Emiliano Amadore, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Messina depositato il 18 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
Rilevato che O.O., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso il decreto del 18 febbraio 2020, con cui il Tribunale di Messina ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;
che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
Considerato che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente censura il decreto impugnato per violazione di legge, nella parte in cui ha escluso la credibilità delle dichiarazioni da lui rese in ordine alla sua appartenenza al gruppo indipendentista ***** ed al suo coinvolgimento in una strage commessa dalle forze armate governative, sulla base di contraddizioni riguardanti aspetti secondari della vicenda da lui narrata e senza tener conto della sua giovanissima età e della sua condizione di analfabeta;
che il motivo è infondato;
che, nel valutare le dichiarazioni rese dal ricorrente, il Tribunale ha correttamente applicato i criteri previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, avendo posto in rilievo non solo l’inattendibilità intrinseca della narrazione, ma anche la discordanza della stessa rispetto alle informazioni disponibili in ordine alla situazione generale dell’area di provenienza, ed avendo evidenziato, a tal fine, la genericità delle risposte fornite in ordine alle caratteristiche ed alle iniziative del movimento politico al quale il ricorrente aveva dichiarato di appartenere ed allo svolgimento di fatti ai quali aveva dichiarato di aver partecipato, la diversità della versione dei fatti riferita nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, le incongruenze del racconto e la mancanza di corrispondenza di aspetti non secondari con i dati desumibili da fonti internazionali autorevoli ed accreditate;
che, avuto riguardo alla gravità delle carenze rilevate, riferibili ad aspetti della vicenda narrata la cui percezione non richiede un particolare grado di maturità personale o un apprezzabile livello culturale, deve escludersi che la predetta valutazione risulti inficiata dall’omessa considerazione dell’età che il ricorrente aveva all’epoca dei fatti e della sua mancanza d’istruzione, trattandosi di elementi certamente rilevanti, ai sensi del citato art. 3, nell’ambito della disamina complessiva della vicenda allegata a sostegno della domanda, ma non aventi nella specie portata decisiva, ai fini dell’accertamento dell’effettiva esposizione del richiedente al rischio di persecuzione prospettato;
che la valutazione in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese da quest’ultimo, condotta sulla base dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, costituisce d’altronde un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto che ha costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancanza assoluta, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione, nella specie neppure dedotti, restando esclusa la possibilità di far valere la mera insufficienza di motivazione o di prospettare una diversa lettura ed interpretazione delle predette dichiarazioni (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13578; 7/08/2019, n. 21142; Cass., Sez. III, 19/06/2020, n. 11925);
che con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando il decreto impugnato per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di un’istruttoria limitata alla situazione dell’area nordoccidentale della Nigeria ed all’attività terroristica di matrice islamica, senza tener conto del conflitto in atto nella parte sudorientale del Paese, nella quale operano i movimenti indipendentisti del *****, e della conseguente esposizione di esso ricorrente ad una situazione di violenza indiscriminata o al rischio di un arresto arbitrario e della condanna a morte o di un trattamento inumano o degradante in conseguenza delle condizioni del sistema carcerario nigeriano;
che il motivo è infondato;
che il giudizio d’inattendibilità formulato dal Tribunale in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente deve ritenersi di per sé sufficiente ai fini dell’esclusione della configurabilità delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le quali, pur non presupponendo l’esposizione del richiedente ad una persecuzione diretta, grave e personale, richiesta esclusivamente per il riconoscimento dello status di rifugiato, postulano pur sempre un certo grado di individualizzazione del rischio, derivante dalla concreta prospettiva di subire una condanna a morte, l’esecuzione della pena capitale o un trattamento inumano o degradante, in collegamento con la vicenda personale allegata a sostegno della domanda;
che nella specie la predetta possibilità è stata prospettata in via meramente astratta ed ipotetica, quale conseguenza di un’attività politica il cui svolgimento è stato ritenuto peraltro non credibile da parte del decreto impugnato, con la conseguenza che deve escludersi la sussistenza dei requisiti di attualità e concretezza del rischio necessari ai fini dell’applicazione della misura di protezione;
che, ai fini dell’esclusione della sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di provenienza del ricorrente il Tribunale ha invece richiamato informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, dalle quali ha desunto l’esistenza di profonde diversità tra le diverse aree geografiche della Nigeria, per quanto riguarda le condizioni di sicurezza e le criticità nel rispetto dei diritti umani, precisando che mentre nell’area nordoccidentale del Paese si registrano numerosi attacchi posti in essere da gruppi terroristici d’ispirazione islamica, in quella meridionale si verificano soltanto scontri non riconducibili alla nozione di conflitto armato;
che nel censurare il predetto apprezzamento, anch’esso configurabile come un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2020, n. 23942; 15/07/2020, n. 15047; Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105), il ricorrente invoca altre fonti d’informazione, riguardanti la violenta repressione avviata dal Governo nigeriano nei confronti del movimento indipendentista del *****, le quali, tuttavia, oltre a non risultare più recenti di quelle indicate nel provvedimento impugnato, non possono ritenersi idonee ad orientare in senso diverso la decisione;
che dalle predette informazioni non risulta infatti che gli scontri tra gl’indipendentisti e le forze armate governative abbiano raggiunto una diffusione ed un livello d’intensità tale da rappresentare una minaccia per la vita o l’incolumità personale di chiunque risieda nell’area interessata, mentre l’eventualità di un diretto coinvolgimento del ricorrente nelle ostilità dev’essere esclusa in virtù della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese in ordine all’appartenenza al movimento indipendentista;
che con il terzo motivo il ricorrente deduce, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, senza tener conto della situazione di violenza in atto nella sua regione di origine e della condizione di esso ricorrente, caratterizzata da giovane età, analfabetismo, mancanza di mezzi di sostentamento, di relazioni familiari e di una rete sociale di protezione;
che il motivo è infondato;
che a fondamento della decisione il Tribunale ha infatti rilevato che dagli accertamenti compiuti non erano emersi profili di vulnerabilità personale del ricorrente, né sotto il profilo del livello d’integrazione sociale da lui raggiunto in Italia, né sotto quello della situazione in atto nell’area di provenienza, aggiungendo che il ricorrente aveva omesso di allegare fatti ulteriori e diversi, rispetto a quelli già presi in esame ai fini della pronuncia in ordine alle altre domande di protezione;
che tali considerazioni si pongono perfettamente in linea con il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di protezione umanitaria, secondo cui la natura residuale ed atipica di tale misura, se da un lato implica che il suo riconoscimento debba costituire il frutto di una valutazione autonoma, da condursi caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al diniego delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle domande di protezione c.d. maggiore (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21123);
che i poteri ufficiosi d’indagine riconosciuti al giudice di merito ai fini dello accertamento della condizione di vulnerabilità personale che giustifica l’applicazione della misura in questione non dispensano infatti il richiedente dall’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto azionato, e quindi di fornire elementi idonei a far ritenere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13573);
che ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, non è d’altronde sufficiente la mera allegazione della situazione di grave difficoltà economica e sociale in cui il richiedente verrebbe a trovarsi ove fosse rimpatriato nel paese di provenienza, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico, non essendo ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire parametri di benessere economico e sociale a cittadini stranieri (cfr. Cass., Sez. II, 10/09/2020, n. 18783; Cass., Sez. I, 7/02/2019, n. 3681);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021