Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24470 del 10/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30240-2019 proposto da:

COMUNE di RIPOSTO (CT), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 53, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MINGIARDI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TANZARELLA;

– controricorrente –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA DOMUS A RL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 964/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE PARISE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 964/2019 depositata il 2-5-2019 e notificata il 4-7-19, pronunciando sull’opposizione alla stima promossa da C.L.A. nei confronti del Comune di Riposto e della Cooperativa Edilizia Domus Aurea a r.l. all’esito della determinazione da parte della Commissione provinciale espropri dell’indennità di espropriazione definitiva con deliberazione del 26-3-2009, in riferimento all’area espropriata con Det. n. 9 del 2007, ha determinato in Euro 313.000 la somma dovuta a titolo di indennità di espropriazione, oltre interessi decorrenti dalla data del decreto di esproprio, nonché ha determinato in Euro 41.830,52 la somma dovuta a titolo di indennità di occupazione temporanea legittima, oltre interessi dal dovuto, condannando il Comune di Riposto a depositare presso la Cassa Depositi e Prestiti l’ulteriore somma necessaria ad integrare il deposito già effettuato a seguito del decreto di esproprio.

2. Avverso detta sentenza il Comune di Riposto propone ricorso affidato a tre motivi, resistito con controricorso da C.L.A.. La Cooperativa Edilizia Domus Aurea a r. L. è rimasta intimata.

3. Con il primo motivo il Comune ricorrente lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., per non avere la Corte d’appello indicato i dati oggettivi e le fonti sui quali è stata fondata la valutazione del valore venale, non consentendo, così, il controllo sulla congruità della stessa valutazione.

3.1. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficienza ed illogicità della motivazione e l’errore su elementi storici di fatto decisivi per la determinazione del valore venale dell’area espropriata. Censura la determinazione del valore del fondo effettuata dal C.T.U. con metodo sintetico-comparativo mediante l’individuazione del valore di permuta del terreno stesso, senza confrontare i dati con i valori delle numerose cessioni volontarie dei terreni ricadenti nella stessa zona del Peep Altarello. Deduce che proprio il C. aveva accettato nel 2002 un prezzo di cessione pari al valore venale di Euro 41,32/mq., prossimo a quello di Euro 52/mq. determinato dalla Commissione Provinciale Espropri, e produce relazione tecnica del responsabile dell’area tecnica del Comune con allegati, da cui risultano i dati delle suddette cessioni volontarie avvenute nel 2001 e nel 2002. Ad avviso del Comune ricorrente, la Corte d’appello, recependo acriticamente le conclusioni del C.T.U. in ordine ai rilievi dell’Ente, è incorsa nel vizio di omesso esame di fatti storici decisivi.

3.2. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) in punto regolamento spese di lite, dovendo essere riformata la sentenza impugnata in relazione alla corretta valutazione del valore del terreno espropriato.

4. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono in parte manifestamente infondati e in parte inammissibili.

Le censure sono infondate nella parte in cui è denunciato il vizio di motivazione, che si assume essere apparente, mentre non ricorre affatto detto vizio, essendo chiaro e lineare il percorso argomentativo posto a base del convincimento espresso nella sentenza impugnata (Cass. S.U. n. 8053/2014). La Corte di merito ha dato conto dei metodi seguiti dal C.T.U. e ritenuti corretti (pag. 7 e 8 sentenza), nonché ha dato conto dei rilievi critici formulati dall’opponente e dalla Cooperativa (pag. 9, 10 e 11 sentenza). E’ lo stesso ricorrente ad indicare le banche dati consultate dal C.T.U. (rivista “Il consulente Immobiliare” e “Quotazioni dell’osservatorio del Mercato Immobiliare”) e l’indicazione delle fonti informative si ravvisa sufficientemente specifica, non essendo al riguardo necessario che siano anche precisati in dettaglio i vari dati esaminati.

Le censure sono inammissibili nella parte in cui il Comune ricorrente, nel dolersi della asserita mancata indicazione delle fonti e anche della mancata considerazione dei valori di cessioni volontarie risalenti (2002), non allega di aver sollevato quelle osservazioni nel giudizio di merito e nell’ambito del subprocedimento di consulenza. Dalla motivazione della sentenza impugnata non è dato evincere che questi profili siano stati oggetto di rilievi critici alla C.T.U. da parte del Comune, mentre la Corte di merito ha dato atto delle critiche alla C.T.U. svolte dall’opponente e dalla cooperativa, esaminandole.

L’Ente ricorrente non indica dove, come e quando ha dedotto quei rilievi nel giudizio di merito, difettando così la censura di autosufficienza (Cass. 16347/2018), ed, inoltre, ha prodotto in allegato al ricorso per cassazione una relazione tecnica, senza dedurre di averla ritualmente depositata nel giudizio di merito, in relazione alla quale il controricorrente ha eccepito che si tratta di eccezioni e rilievi critici nuovi, mai svolti prima.

5. Il terzo motivo resta assorbito.

6. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza nel rapporto processuale con la parte costituita e sono liquidate come in dispositivo, mentre nulla deve disporsi nei confronti della parte rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore di C.L.A. delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro7.900, di cui Euro100 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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