Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24482 del 10/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27804/2015 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

L.P.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO LUCIANI, MASSIMO TOGNA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4149/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/05/2015 R.G.N. 2427/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa città con la quale era stata accolta la domanda di L.P.D., finalizzata all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento irrogato nei suoi confronti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito PCDM), ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, per il raggiungimento della massima anzianità contributiva.

La Corte territoriale evidenziava come il licenziamento fosse avvenuto nel giugno 2010, allorquando l’orientamento della Presidenza, definito come generale, consisteva nel procedere alternativamente ai licenziamenti per il raggiungimento dell’età massima di lavoro presso la P.A. e a quelli per raggiungimento dei massimi contributivi.

Era solo nell’agosto 2010 – aggiungeva la Corte d’Appello – che l’Amministrazione aveva provveduto ad approvare il ridimensionamento del proprio assetto organizzativo ed a adottare il piano preventivo di rideterminazione e riordino dei fabbisogni del personale che aveva reso soprannumerarie alcune posizioni. Poiché anche nel caso di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, il licenziamento doveva sorreggersi su corrispondenti interventi organizzativi, la Corte di merito confermava la sentenza di prime cure e precisava che, essendo stata nel frattempo posta in pagamento la pensione diretta ordinaria di anzianità, in sede di esecuzione avrebbe dovuto procedersi alla ricostruzione giuridica della carriera e dello stato di servizio della lavoratrice, con eventuale compensazione delle reciproche poste debitorie e creditorie.

2. La PCDM ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della L.P., poi illustrato da memoria.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la PCDM denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3), del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11 e art. 74, conv. in L. n. 133 del 2008, nonché della L. n. 102 del 1999, art. 17, comma 35-novies e decies e del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11.

Essa ricostruisce l’evolversi degli atti interni destinati a quanto oggetto del contendere precisando che:

– con circolare n. 10 dei 20 ottobre 2008 erano stati indicati i criteri generali sulla cui base occorreva poi procedere ai collocamenti a riposo;

– detti criteri erano stati ribaditi nella successiva circolare del 18.11.2008 con la quale era stato previsto che i collocamenti a riposo sarebbero stati disposti per “preservare il necessario equilibrio tra dotazioni organiche e consistenza del personale in servizio”;

– la circolare 14.9.2009 aveva previsto il collocamento in pensione del personale dirigente al compimento del 65^ anno o della massima anzianità contributiva;

– il Decreto 29 ottobre 2009, pubblicato sulla G.U. del 30.12.2009 n. 302, aveva operato una ricognizione della pianta organica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aumentata in modo frammentario a seguito del trasferimento di personale da altri Ministeri;

– il successivo Decreto 5 agosto 2010, aveva rideterminato la dotazione dirigenziale, con soppressione di 7 posti di dirigente di prima fascia e 48 posti di dirigenti di seconda fascia.

La PDCM sostiene quindi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che le scelte riorganizzative dovessero necessariamente seguire il recesso, in quanto semmai l’ordine delle norme faceva precedere i recessi (art. 72) alla ridefinizione delle piante organiche (art. 74) e conclude nel senso che il recesso ai sensi dell’art. 72, comma 11, in presenza di criteri applicativi determinati in via generale e portati a conoscenza di tutti gli interessati, non necessiterebbe, anche in ragione di quanto stabilito dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11, di ulteriore motivazione.

Il secondo motivo afferma invece la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1 (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che la Corte territoriale avrebbe indebitamente esteso il proprio controllo al merito della scelta riorganizzativa adottata.

2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione e sono infondati.

3. Questa Corte ha così ricostruito, secondo una rielaborazione dei dati tratta dalla motivazione di Cass. 23 settembre 2016, n. 18723, l’evolversi della disciplina inerente alla questione oggetto di causa:

– la facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della massima anzianità contributiva è stata prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, poi convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario, prevedeva: “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti (…) sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei compatti sicurezza e difesa (a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello degli “affari esteri”, n.d.r.), tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali”;

– l’art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dalla L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 6, comma 3, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del “compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni”;

– entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima anzianità contributiva, nell’altro della massima anzianità di servizio, senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell’obbligo motivazionale, mentre la determinazione di specifiche modalità applicative era espressamente prevista solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei rispettivi ordinamenti;

– successivamente, il D.L. 10 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 35-novies, convertito dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, applicabile alla fattispecie ratione temporis, sostituiva dell’art. 72, comma 11. Si faceva riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; si confermava il preavviso; si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all’esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; si prevedeva l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale, mentre l’adozione di specifici criteri e modalità applicative continuava ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri;

– tale assetto è rimasto immutato anche nelle successive novelle, fino all’intervento del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento (…) risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale (…)”;

– infine va richiamato il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui “in tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.

4. Nel ricostruire la disciplina del recesso per raggiungimento della massima anzianità contributiva, questa Corte ne ha ancorato l’esercizio all’esistenza, a base della decisione, di ragioni giustificative ulteriori rispetto al mero realizzarsi del presupposto contributivo e da indicare attraverso la motivazione del recesso, direttamente o, poi, dopo l’entrata in vigore del cit. D.L. n. 98 del 2011, art. 16, per relationem rispetto ad atti riorganizzativi e criteri generali.

Ciò è stato affermato nei casi, come quello di specie, riguardanti un periodo in cui la normativa primaria non richiamava espressamente obblighi motivazionali (in tal senso, Cass. 6 giugno 2016, n. 11595), ma analogo requisito si è ritenuto implicitamente sussistere, pur essendo possibile adempiervi con il richiamo ai criteri applicativi generali precedentemente determinati, dopo l’art. 16 cit. (Cass. 18 ottobre 2017, n. 24583).

Il ricorrere di ragioni giustificative è stato riconnesso all’esigenza di evitare che, attraverso l’esercizio di tali atti di recesso, si potessero determinare surrettizie forme di discriminazione per età (Cass. 24583/2017 cit.) ed è stato in tale direttrice ulteriormente declinato come funzionale al controllo di legalità sull’appropriatezza della risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita, al fine di assicurare che le scelte assunte, secondo quanto disposto dall’art. 6 della Direttiva 2000/78/CE, “siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”.

Si è poi avuto cura di precisare come tale ragione di recesso, per quanto in sé di natura obiettiva, non fosse da porre in inevitabile consequenzialità soltanto con riduzioni di personale, ma potesse sorreggersi, ad esempio, su più generali interventi di ricambio generazionale, ove riconnessi alla “necessità di adeguare all’evolversi delle tecnologie il bagaglio di conoscenze del personale o di assicurare una classe dirigente che sia in grado di confrontarsi con nuove e diverse tematiche organizzative” (così ancora Cass. 24583/2017 cit.).

Sottolineandosi come lo stesso atto generale di organizzazione interna, richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 16, non debba essere necessariamente correlato ad un provvedimento di riduzione degli organici, essendo sufficiente per giustificare il recesso che lo stesso indichi le condizioni in presenza delle quali la facoltà deve essere esercitata e le ragioni della scelta operata, la quale non può essere sindacata nel merito (così ancora Cass. 24583/2017) ferma restando ovviamente la possibilità di disapplicazione qualora negli atti generali fossero assunti in violazione di legge o manifestassero sintomi di eccesso di potere.

4. In tale quadro e venendo al caso di specie, sottoposto come detto ratione temporis alla disciplina antecedente a quella del D.L. n. 98 del 2011, la motivazione specifica del recesso rispetto al caso interessato era dunque necessaria.

La Corte territoriale ha in proposito giustamente ritenuto che non fosse idonea una giustificazione fondata sul richiamo – si cita testualmente “all’orientamento, definito generale, di applicare in modo alternativo, ai fini del collocamento a riposo, “i requisiti del raggiungimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni ed il compimento del limite di età di 65 anni, in ragione della necessità di preservare l’equilibrio tra dotazioni organiche e consistenza del personale in servizio, a fronte dell’obbligo imposto dalla legge (L. n. 133 del 2008, art. 74) di ridimensionare il personale in servizio”.

L’obbligo motivazionale di cui si è detto, deve evidentemente avere riguardo sia ai profili riorganizzativi o razionalizzatori, sia alla coerenza del recesso operato rispetto alle posizioni di chi acquisisca il massimale contributivo.

Nel caso di specie la necessità di ridimensionamento dell’organico, prima dell’agosto 2010, faceva capo ad atti palesemente generici, in cui si manifestava l’esigenza di ridurre i costi del personale o di adeguare le piante organiche ai fabbisogni reali. D’altra parte, il criterio dell’alternanza tra massima anzianità contributiva e massima età di servizio, ove coniugato con quelle generiche esigenze o intenti, finisce per valorizzare parametri diametralmente in conflitto con l’esigenza di svincolare le scelte di recesso da mere ragioni di età, per le ragioni sopra evidenziate e poste al centro della giurisprudenza di questa Corte. Sicché ne resta impedito il giudizio di non arbitrarietà cui la motivazione (nel regime antecedente al D.L. n. 98 del 2011) o la previa fissazione di criteri generali (riorganizzativi e di scelta) in essa meramente richiamati (nel regime successivo) sono funzionali ad assicurare. D’altra parte, è vero, come si è detto, che la concretizzazione ex post di interventi riorganizzativi in senso stretto o di razionalizzazione dell’assetto del personale, non necessariamente denuncia in sé quell’arbitrarietà.

Tuttavia è altrettanto vero che l’apprezzamento della Corte d’Appello in ordine al fondarsi della giustificazione del recesso soltanto su assai generiche esigenze di preservazione dell’equilibrio tra dotazioni organiche e consistenza del personale non consente di ritenere che la sentenza impugnata, non valorizzando, al fine di ritenere giustificato il recesso, la mera sequenza temporale, abbia reso un convincimento di merito inadeguato, anche tenuto conto che la cessazione del rapporto ebbe effetto dal 1 giugno 2010 ma l’iniziativa rispetto ad esso pacificamente risale già al 30.10.2009.

4. Infondata è anche la critica di cui al secondo motivo ed in forza della quale si assume che la Corte territoriale avrebbe, con la propria valutazione esorbitato da una valutazione di mera legittimità dell’operato datoriale, finendo per svolgere valutazioni di merito.

Infatti, la genericità delle motivazioni di cui alle circolari antecedenti il recesso è giudizio che si muove sul piano estrinseco dell’osservazione in ordine alla concretezza o meno, in un’ottica di puntuale determinazione degli strumenti di gestione del personale, delle esigenze o dei fini rappresentati. Genericità da cui scaturisce come mera consequenzialità l’insufficienza logica, ad attestare una non arbitrarietà rispetto alle esigenze antidiscriminatorie, di un criterio di scelta basato sulla sola alternanza tra personale che aveva raggiunto i limiti di età e personale munito di massima anzianità contributiva.

3. Il ricorso va quindi disatteso ed a ciò segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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