Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24489 del 10/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22008/2019 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via B Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, rappresentato e difeso dagli avvocati Carmine Lauri, Biagio Lauri;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, ope legis domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2321/2019 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 04/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– M.I., cittadino del Bangladesh, ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello che ha respinto il di lui gravame avverso il diniego della protezione internazionale ed escluso i presupposti per quella c.d. umanitaria;

– a sostegno delle domande di protezione egli ha dichiarato di essere scappato dal Bangladesh dove svolgeva attività di guardiano notturno di un negozio perché aveva contribuito a far arrestare alcune persone che avevano commesso un furto e, pertanto era stato minacciato di morte da costoro i quali dopo la scarcerazione lo avevano cercato per vendicarsi; la corte d’appello ha ritenuto che nella vicenda riferita, ed a prescindere dalla credibilità della stessa, non erano comunque ravvisabili i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato né quelli della protezione sussidiaria ai sensi della lettera A e B, non risultando l’appellante colpito da condanna a morte o dal rischio di subire torture o trattamenti inumani da parte dell’autorità; parimenti la corte ha escluso la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C, così come la protezione umanitaria per la quale nessun allegazione idonea risultava essere stata fatta dal richiedente asilo;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di due motivi cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in relazione al motivo d’appello con il quale si era denunciata la nullità dell’ordinanza impugnata per non avere il giudice di primo grado considerato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, l’inserimento portato avanti dal ricorrente;

– con il secondo motivo si denuncia in via subordinata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., per nullità della sentenza in ragione dell’omessa motivazione ovvero della motivazione apparente sempre con riguardo al diniego della protezione umanitaria, per essersi la corte territoriale limitata ad affermare di non poter valorizzare l’inserimento lavorativo del richiedente;

– i due motivi attengono entrambi alla statuizione sfavorevole sulla c.d. protezione umanitaria e possono essere esaminati congiuntamente;

– essi sono infondati perché la corte ha previamente dato atto dell’orientamento giurisprudenziale in forza del quale occorre procedere ad una valutazione comparativa tra le condizioni del Paese di accoglienza e quelle del Paese di provenienza (cfr. Cass. 4455/2018 seguito da Cass. Sez. Un. 29459/2019) ai fini della verifica della sussistenza o meno delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; successivamente la corte distrettuale ha espressamente valutato sia l’integrazione documentata sia la condizione di instabilità politica del Paese di provenienza e sulla scorta di detta verifica ha concluso che il ricorrente non fosse esposto nel caso di rimpatrio forzato in Bangladesh al rischio di violazione del nucleo intangibile dei diritti umani;

– tale motivazione non è né nulla né apparente secondo il criterio distintivo utilizzabile poiché, stante alla sua esplicitazione consente un effettivo controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio (cfr. ex multis, Cass. 13248/2020);

– va, infine, dato atto che il ricorrente non ha indicato quali diversi elementi di fatto egli aveva allegato per sostenere una conclusione diversa sul punto;

– in definitiva, stante l’infondatezza di entrambi i motivi, il ricorso va respinto;

– nulla va disposto sulle spese perché il controricorso non ha i requisiti minimi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamati nell’artr. 370 c.p.c. ed è quindi inammissibile (cfr. Cass. 5400/2006; 12171/2009; 9983/2019);

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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