LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21499/2019 proposto da:
I.J., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE LUFRANO;
– ricorrente –
contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE ANCONA IN PERSONA DEL PRESIDENTE PRO TEMPORE;
– intimata –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 11/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere e Presidente Dott. FELICE MANNA.
RITENUTO IN FATTO
I.J., cittadino del Ghana nato nel *****, proponeva ricorso avverso il provvedimento col quale la Commissione territoriale di Ancona aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria.
Con Decreto n. 7638 del 2019, il Tribunale di Ancona rigettava la domanda, ritenendo non credibili le ragioni che avrebbero indotto il richiedente ad abbandonare il suo Paese (i parenti della sua ragazza – aveva sostenuto – l’avevano accusato di averne cagionato la morte inducendola ad assumere farmaci in funzione abortiva). Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, il Tribunale escludeva anche la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonché, per difetto di allegazioni specifiche in merito, quella umanitaria.
Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso, affidato a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno si è limitato a depositare un “atto di costituzione”, in vista dell’eventuale discussione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa o “errata” applicazione del D.Lgs. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2 e art. 276 c.p.c., perché l’udienza di discussione si è tenuta davanti ad un G.O.T. (Giudice onorario di Tribunale), come tale non facente parte della sezione specializzata e non componente del Collegio che ha poi deciso il ricorso.
1.1. – Il motivo è infondato.
Le S.U. di questa Corte hanno recentemente chiarito che non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta (sentenza n. 5425/21).
2. – Il secondo motivo censura il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver escluso che nel Paese di provenienza del richiedente vi fosse una situazione di violenza indiscriminata. Sostiene parte ricorrente che il Tribunale non avrebbe esercitato a tal fine i propri poteri di cooperazione istruttoria, accertando la reale condizione del Paese di provenienza e indicando le fonti di informazione.
2.1. – Il motivo è infondato.
In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (n. 4037/20).
Nel caso in esame, mentre il provvedimento impugnato ha citato le fonti qualificate impiegate nell’assumere le necessarie informazioni sul Paese d’origine (report Easo 18.5.2017, Amnesty International 2016-2017 e Refworld: v. pagg. 2 e 3), il ricorso non indica se e quali diverse o più aggiornate fonti depongano in senso diverso, limitandosi ad operare enunciazioni di carattere generale che nessuna attinenza hanno con il caso concreto e la situazione specifica del Ghana.
3. – Il terzo mezzo espone la violazione e falsa applicazione del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato scrutinio specifico delle condizioni di vulnerabilità del ricorrente, in caso di rimpatrio forzoso. Il Tribunale, si sostiene, avrebbe dovuto compiere un apprezzamento giuridico differenziato da quello riguardante le protezioni maggiori, con riferimento al mancato rispetto dei diritti umani e all’instabilità politica del Paese di provenienza.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
Occorre premettere che la protezione umanitaria, al pari del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha carattere essenzialmente individuale, per cui non se ne possono ritenere esistenti le condizioni sulla base della pura e semplice allegazione di fattori contrari genericamente riferibili al Paese di provenienza, e tali da coinvolgere potenzialmente chiunque vi si trovi a vivere. Correttamente, pertanto, il giudice di merito pretende, al riguardo, l’allegazione specifica di (ancorché non tipizzati) elementi di vulnerabilità personale.
Nella specie, il Tribunale ha così motivato il diniego della protezione umanitaria: “con riferimento alla valutazione prognostica dell’elevata vulnerabilità determinata per effetto dello sradicamento del richiedente dal contesto socio-economico nazionale, va precisato che nulla è stato allegato”, e che “pertanto, in base ad una valutazione tra vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata a quella vissuta prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, è dato di esprimere un giudizio prognostico negativo”.
A fronte di tale motivazione parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare come e in quali atti del processo avrebbe, invece, allegato elementi fattuali specifici e rilevanti ai fini della concessione della protezione umanitaria. Al contrario, il ricorso si limita a considerazioni di carattere generale, senza minimamente addurre nulla di riferibile alla personale situazione del richiedente.
4. – In conclusione il ricorso va respinto.
5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto una rituale attività difensiva.
6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021