Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24499 del 10/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4027/2019 proposto da:

S.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Esposito, per procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli depositato il 13 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29 gennaio 2021 dal relatore Dott. Marco Vannucci.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino del Gambia, ha narrato di avere lasciato il Paese per il timore di avere ulteriori problemi con la giustizia, a seguito del suo arresto, e successivo rilascio dopo due giorni, perché denunciato dai clienti del suo datore di lavoro dopo la fuga di quest’ultimo con una ingente somma consegnatagli dai medesimi, che ritenevano complice esso ricorrente. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Napoli che, proceduto a libero interrogatorio ed acquisita documentazione di lavoro, gli ha negato il riconoscimento sia della protezione sussidiaria sia di quella umanitaria.

Ha ritenuto il tribunale che dalle dichiarazioni del r.a. e dalle COI aggiornate sullo Stato del Gambia non emerga alcun rischio di danno grave come qualificato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nelle varie ipotesi previste da tale norma; e che, quanto alla protezione umanitaria, debba escludersi che il r.a. versi in situazione di particolare vulnerabilità, sotto il profilo oggettivo (la situazione del Gambia) e sotto quello soggettivo (egli, che svolgeva in patria il mestiere di carpentiere, non poteva dire di aver raggiunto un grado sufficiente di integrazione nel nostro Paese).

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi ad un motivo.

Il Ministero è rimasto intimato.

RITENUTO

Che:

1.- Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in relazione al diniego della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché la “illogicità e mancanza della motivazione”.

2. Il ricorrente deduce in primo luogo, con riguardo alla protezione sussidiaria, che erroneamente il tribunale ha ritenuto insussistente in Gambia una situazione di violenza indiscriminata, e in ogni caso la minaccia alla sua vita era individuale, stante la volontà di vendetta nei suoi confronti da parte dei clienti del suo datore di lavoro, tanto più pericolosa per la incapacità delle autorità statali del Gambia di prevenire e reprimere il crimine, e per la corruzione notoriamente ivi diffusa.

Tali doglianze sono inammissibili.

Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria, assumendo informazioni sul paese di origine da una fonte attendibile ed aggiornata (Report EASO marzo 2017) che è stata esplicitamente menzionata nella decisione (Cass. n. 22527/2020). A tale motivato accertamento di fatto il ricorso oppone del tutto genericamente la propria valutazione di segno opposto, facendo altrettanto generico riferimento a imprecisati “recenti reports internazionali” da lui richiamati in primo grado che dovrebbero supportare il suo assunto. Sotto questo profilo, la doglianza di violazione del disposto normativo si risolve invece in una richiesta di revisione del giudizio di fatto rettamente espresso dal giudice di merito, richiesta evidentemente estranea alla verifica di legittimità.

Quanto alla minaccia individuale cui il ricorrente avrebbe inteso sfuggire con l’espatrio, le deduzioni del ricorrente non si confrontano con la ratio decidendi, come sopra riassunta, che fa leva sulle risultanze delle stesse dichiarazioni del ricorrente, che, da un lato, escludono che siano state poste in essere dai privati danneggiati dalla sottrazione del denaro ad opera del datore di lavoro del ricorrente iniziative di qualsiasi genere nei confronti di quest’ultimo, dall’altro ammettono che al rilascio del medesimo dopo due giorni dall’arresto la autorità giudiziaria non abbia fatto seguire qualsivoglia azione nei suoi confronti.

3. – Lamenta inoltre il ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché (peraltro contraddittoriamente) la “illogicità e mancanza” della motivazione, deducendo che ha errato il tribunale a non riconoscere la protezione umanitaria, perché egli è perfettamente integrato nel tessuto sociale italiano, come si evince dalla documentazione allegata in primo grado (contratto lavoro a tempo determinato) e come sarebbe risultato se fosse stato convocato personalmente.

La doglianza è inammissibile in quanto con essa si sollecita la revisione del giudizio di fatto operato dal tribunale, il quale ha (peraltro, all’esito della audizione personale del ricorrente) ritenuto che non è sufficiente a dimostrare l’integrazione sociale un rapporto di lavoro a tempo determinato già cessato.

Il motivo di ricorso è peraltro anche qui generico, limitandosi a riferimenti di massima ai presupposti della protezione umanitaria e al dovere di integrazione istruttoria d’ufficio senza specifici riferimenti ad alcuna circostanza rilevante ai fini della decisione.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso si impone dunque.

Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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