LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13083/2019 proposto da:
B.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Clementina Di Rosa, per procura speciale estesa in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Napoli depositato il 29 marzo 2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29 gennaio 2021 dal relatore Dott. Marco Vannucci.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino del Gambia, in sede di audizione innanzi alla Commissione territoriale ha narrato che egli, che in patria svolgeva il lavoro di sarto, aveva lasciato il Paese per sottrarsi alle vessazioni cui lo sottoponeva lo zio paterno, con il quale la sua famiglia condivideva l’abitazione, dopo la morte di suo padre.
Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Napoli che, dato atto della sua mancata comparizione, gli ha negato il riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, sia di quella umanitaria.
Ha ritenuto il tribunale che i seri dubbi di credibilità espressi dalla Commissione circa le dichiarazioni del richiedente per le molteplici lacune riscontrate nonostante le domande rivoltegli, non sono state colmate nel ricorso giurisdizionale (né in sede di udienza di comparizione, non essendo comparso il predetto), non avendo egli fornito precisazioni apprezzabili né in ordine alla descrizione delle vessazioni cui era sottoposto, né sul contesto familiare e sui motivi di tale condotta dello zio, né ancora sulle ragioni per le quali esso richiedente avesse preferito l’espatrio ad altre soluzioni pur praticabili; e che, conseguentemente, vi era anche un difetto assoluto di concretezza nel rischio di danno grave richiesto dall’art. 2, lett. g); che, inoltre, dalle COI aggiornate sullo stato del Gambia non emerge alcuna situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato interno come qualificata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); che infine, quanto alla protezione umanitaria, deve escludersi che il richiedente versi in situazione di particolare vulnerabilità, in assenza di – sue specifiche allegazioni al riguardo, diverse da quelle – generiche ed indimostrate – relative alla generale violazione dei diritti umani, non essendo peraltro di per sé sufficiente per giustificare il riconoscimento della protezione la costituzione di un rapporto di lavoro in Italia.
Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a quattro motivi.
Il Ministero si è costituito tardivamente al solo scopo di partecipare alla eventuale discussione del ricorso.
RITENUTO
Che:
1. – Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione al diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14, contestando, da un lato, la genericità delle sue dichiarazioni, dall’altro deducendo la erroneità dell’accertamento circa la situazione attuale del Gambia, che risulta invece caratterizzata da insicurezza ed instabilità, come da reports già prodotti al tribunale e da pronunce di altri giudici di merito.
1.1. Tali doglianze sono inammissibili.
Quanto allo status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), il motivo non si confronta con la ratio decidendi relativa alla inattendibilità del racconto circa le ragioni dell’espatrio, limitandosi al riguardo ad affermare apoditticamente la coerenza e specificità delle dichiarazioni, con l’implicita quanto inammissibile richiesta di riesame del motivato accertamento in fatto espresso dal giudice di merito. Dal quale peraltro deriva, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la insussistenza di un dovere del giudice di integrazione istruttoria d’ufficio circa la sussistenza di un pericolo individualizzato (cfr. tra molte: Cass. n. 24575 del 2020).
Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria, assumendo informazioni sul paese di origine da plurime fonti attendibili ed aggiornate che sono state esplicitamente menzionate nella decisione (Cass. n. 22527de1 2020). A tale motivato accertamento di fatto il ricorrente oppone genericamente la propria valutazione di segno opposto, facendo altrettanto generico riferimento al contenuto imprecisato di due reports (***** e Amnesty International) da lui richiamati in primo grado che dovrebbero supportare il suo assunto. Sotto questo profilo, la doglianza di violazione del disposto normativo (in sé peraltro inapprezzabile anche sul piano della previsione astratta, dal momento che una situazione di instabilità non equivale al conflitto armato) si risolve in effetti in una richiesta di revisione del giudizio di fatto rettamente espresso dal giudice di merito, richiesta evidentemente estranea alla verifica di legittimità.
2. – Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lamentando l’erroneo diniego della protezione umanitaria. La doglianza è inammissibile in quanto, limitandosi a fare generico riferimento a categorie astratte senza alcuna precisazione in ordine ad eventuali specifiche allegazioni espresse nel giudizio di merito, si risolve in una richiesta inammissibile di revisione del giudizio di fatto rettamente operato dal tribunale.
3. Anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente torna a censurare il diniego della protezione umanitaria sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, non si sottrae ai rilievi sopra esposti. Il ricorrente lamenta l’omesso approfondimento d’ufficio della situazione socio-politica del Gambia deducendo che, pur non versando in una situazione di conflitto armato, il Paese è tuttora teatro di violazioni di diritti umani di libertà. Tali deduzioni, da un lato, lungi dal prospettare una violazione del disposto astratto della norma, si pongono in diretto contrasto con l’accertamento di merito compiuto dal tribunale; dall’altro, fanno riferimento a situazioni di vulnerabilità che non risultano attinenti alla condizione personale del ricorrente, come emergente dalle sue allegazioni.
4. Del pari inammissibile è infine il quarto motivo, con il quale il ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), senza tuttavia precisare di quali specifici fatti materiali, che risultino essere stati allegati e quindi discussi nel giudizio di merito, sia stato omesso l’esame.
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso si impone dunque.
Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione della parte intimata.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021