Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.24632 del 13/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4774/2018 proposto da:

STUDIO B. – Commercialisti Associati di B. rag. E., S. Dott.ssa F., Bo. Dott. R., D.L. Dott. A., S. Dott. An. e M. Dott.ssa C., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini n. 55, presso lo studio dell’avvocato Roberto Mastrosanti, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Nuzzo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LIRI INDUSTRIALE S.p.a., in Liquidazione in Amministrazione Straordinaria, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 140, presso lo studio dell’avvocato Maria Limongi, rappresentata e difesa dall’avvocato Mauro Battistella, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2479/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/2021 dal Consigliere Dott. Paola Vella;

lette le conclusioni scritte D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che chiede che la Corte rigetti il ricorso, con le conseguenze di legge.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 21.11.2017, ha accolto l’appello proposto dall’Amministrazione Straordinaria di Liri Industriale s.p.a. in liquidazione contro la sentenza del Tribunale di Torino con la quale era stata rigettata la domanda L. Fall., ex art. 67, comma 2, avanzata dall’appellante nei confronti dello Studio B. Commercialisti Associati per sentir dichiarare inefficace il pagamento eseguito in suo favore da Liri ancora in bonis nel semestre anteriore al 30.3.2010, data di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo, poi revocata, cui avevano fatto seguito, senza soluzione di continuità, la dichiarazione di insolvenza, intervenuta il 2.8.2010, e la sottoposizione alla procedura di A.S. ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 3.

1.1. A differenza del primo giudice, secondo cui l’art. 49, comma 2, del D.Lgs. cit. (che prevede che i termini stabiliti dalla legge fallimentare per l’esercizio delle azioni revocatorie si computano a decorrere dalla data della dichiarazione dello stato di insolvenza) è norma di stretta interpretazione, la corte del merito ha ritenuto applicabile anche all’A.S. il principio, di matrice giurisprudenziale, della consecuzione fra procedure, recepito a livello normativo a partire dal 2012, con l’entrata in vigore della L. Fall., art. 69 bis (non applicabile, ratione temporis, al caso di specie).

1.2. La sentenza è stata impugnata dallo Studio B. con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49, comma 2 e L. Fall., art. 67, comma 2, “in relazione alla retrodatazione del dies a quo per il calcolo del periodo sospetto alla data di ammissione a procedura di concordato preventivo”.

1.3. Con ordinanza interlocutoria n. 16682 del 5/8/2020 la sezione sesta – prima di questa Corte ha disposto la trattazione in pubblica udienza del ricorso, ritenendo necessario “approfondire la rilevanza del disposto di cui del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49, comma 2 (rubricato “Azioni revocatorie”) laddove, nello statuire che “I termini stabiliti dalle disposizioni indicate nel comma 1, si computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza”, aggiunge che “Tale disposizione si applica anche in tutti i casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua la dichiarazione di fallimento”, senza alcuna menzione del caso, pur contemplato dall’art. 3, comma 2, D.Lgs. cit., in cui l’impresa soggetta ad amministrazione straordinaria di cui va dichiarato lo stato di insolvenza sia stata in precedenza “ammessa alla procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata””.

1.4. Fissata la pubblica udienza del 25/03/2021, il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte (D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito nella Legge di Conversione n. 176 del 2020); entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con l’unico motivo di ricorso lo Studio B. sostiene che l’inapplicabilità del principio della c.d. consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e quella di amministrazione straordinaria sarebbe resa evidente dal fatto che il D.Lgs. n. 270 del 1999, pur contemplando, all’art. 3, l’ipotesi di amministrazione straordinaria di impresa già ammessa al concordato preventivo, non ne fa menzione nel successivo art. 49 – recante la disciplina delle azioni revocatorie (consentite dal comma 1, solo in presenza di autorizzazione alla esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salva l’ipotesi di conversione della procedura in fallimento) – il quale nel comma 2, si limita a stabilire che i relativi termini si computano a ritroso dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, anche quando ad essa segua la dichiarazione di fallimento.

3. Il motivo è infondato.

3.1. La disposizione da cui il ricorrente pretende di inferire l’inapplicabilità del principio generale di consecuzione tra procedure all’ipotesi di amministrazione straordinaria susseguente a concordato preventivo (art. 49, comma 2, cit.) è in realtà ispirata dalla specifica ratio, palesata nella Relazione al D.Lgs. n. 270 del 1999, di chiarire che il dies a quo del computo a ritroso del c.d. periodo sospetto va individuato nella data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza (e non del decreto di apertura dell’amministrazione straordinaria) anche nel caso in cui ad essa faccia seguito la sentenza dichiarativa di fallimento. Ciò rende ragione della sua inconferenza ai fini della supposta deroga (implicita) al suddetto principio generale.

3.2. E’ vero del resto, come efficacemente osservato dal pubblico ministero, che l’argomento della completezza della disciplina giuridica – compendiato nel brocardo ubi lex voluit – non è sufficiente a risolvere la questione interpretativa posta dal ricorrente.

3.3. Occorre dunque richiamare la copiosa e costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, nel caso in cui si susseguano più procedure concorsuali, il computo a ritroso del periodo sospetto ai fini delle azioni revocatorie fallimentari decorre dalla data di ammissione alla prima di esse (Cass. ord. n. 13838 del 2019; sent. n. 5527 del 2006), in quanto “la consecuzione tra procedure concorsuali è un fenomeno generalissimo, consistente nel collegamento tra procedure di qualsiasi tipo, volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa” (manifestatasi indifferentemente come crisi o insolvenza, trattandosi di una distinzione di grado del medesimo fenomeno), in base al quale le varie procedure restano avvinte da un rapporto di continuità causale e unità concettuale (Cass. nn. 7324/2016, 8439/2012), anche se non di rigorosa continuità cronologica (Cass. n. 15724 del 2019), purché lo iato temporale non sia irragionevole (Cass. nn. 9290/2018, 9289/2010, 8013/1992, 3741/1988), in una logica unitaria che consente di saldare i presidi “di tutela insorti con la prima procedura a vantaggio dei creditori concorsuali riaggregati nella seconda” (Cass. ord. n. 30694/ 2019; cfr. anche Cass. nn. 6045/2006, 18437/2010, 8439/2012, 7324/2016).

3.4. L’assunto di Studio B. risulta, peraltro, smentito dal mero rilievo che il principio della consecuzione ha matrice giurisprudenziale ed è stato applicato costantemente allorché nessuna delle norme della legge fallimentare che disciplinano le azioni di inefficacia, richiamate dall’art. 49 cit., retrodatavano il termine di decorrenza del c.d. periodo sospetto alla data di apertura della procedura minore, ove seguita dal fallimento.

3.5 Va aggiunto che la portata generale del principio ha condotto alla sua applicazione non solo nei casi di consecuzione fra più procedure minori e fallimento (Cass. nn. 21900/2013, 13445/2011, 2167/2010, 28445/2008, 2437/2006, 17844/2002, 10792/1999, 12536/1998), ma anche in quello di successione fra sole procedure minori (Cass. n. 8534/2013), nonché alla sua estensione anche all’ipotesi del susseguirsi tra accordi di ristrutturazione del debito e concordato preventivo (Cass. n. 10106/2019); ciò senza contare che questa Corte, in più di un’occasione, l’ha pacificamente ritenuto riferibile anche all’amministrazione straordinaria (Cass. nn. 9581/1997, 11090/2004, 13838/2019).

3.6. Va escluso poi che, come pure sostenuto dal ricorrente, il principio sia stato elaborato in ragione di una lacuna normativa in materia di fallimento (che sarebbe stata colmata nel 2012 con l’introduzione dell’art. 69 bis, comma 2) non riscontrabile, invece, nell’amministrazione straordinaria, in quanto del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49, comma 2, sarebbe “una norma specifica in tema di computo dei termini per il calcolo del periodo sospetto anche in caso di consecuzione di procedure”: la disposizione, infatti, si limita a chiarire che la decorrenza a ritroso di tale periodo a partire dalla dichiarazione di insolvenza rimane ferma anche se successivamente venga dichiarato il fallimento, ma, come riconosce lo stesso Studio B. (finendo dunque con l’ammettere che anche nell’amministrazione straordinaria v’e’ la medesima “lacuna”) “manca di qualsiasi riferimento all’ipotesi di consecuzione tra concordato preventivo ed amministrazione straordinaria” (cfr. pag. 14 del ricorso).

3.7. Del resto, non è esatto ritenere che la “lacuna” della legge fallimentare sia stata “colmata” con l’entrata in vigore L. Fall., art. 69-bis, comma 2 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 33, comma 1, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012) che, pur costituendo riconoscimento a livello normativo del principio, è espressamente riferito alla sola fattispecie della consecuzione fra concordato preventivo e fallimento; vero e’, piuttosto, che la norma, nel prevedere la decorrenza dei termini di cui alla L. Fall., artt. 64,65, art. 67, commi 1 e 2 e art. 69, non più dalla data di ammissione al concordato bensì da quella di pubblicazione della relativa domanda (Cass. nn. 8970/2019, 4482/2021), ha inteso estendere la nozione di consecuzione anche all’ipotesi (mai contemplata dalla giurisprudenza) in cui tale domanda sia stata dichiarata inammissibile ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 2 e la procedura minore non si sia, di fatto, neppure aperta (Cass. n. 639/2021).

3.8. Da ultimo, va rilevato che l’amministrazione straordinaria appartiene indubitabilmente al novero delle procedure di insolvenza e che comunque il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49, subordina la proponibilità delle azioni di inefficacia previste dalla legge fallimentare all’autorizzazione, ottenuta dal Commissario Straordinario, all’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, ovvero ad una fattispecie di liquidazione concorsuale, che non si vede perché dovrebbe fare eccezione alla regola generale ed essere sottratta all’applicazione del principio della consecuzione 3.9. Così ricostruito il quadro ermeneutico, resta da precisare che il ricorrente non contesta l’accertamento, in fatto, dell’unitarietà del fenomeno della crisi di Liri Industriale, la cui dichiarazione di insolvenza è intervenuta lo stesso giorno (e in conseguenza) della revoca del concordato preventivo “risultato subito impraticabile”, in quanto il Commissario giudiziale nella relazione L. Fall., ex art. 172, “stimava realisticamente l’attivo come insufficiente a coprire persino i debiti in prededuzione e privilegiati” (v. pag. 17 del controricorso).

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo.

5. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U., 23535/2019, 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2021

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