Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.24650 del 14/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4833/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

T.L., rappresentato e difeso dall’avv. Antonietta Epifanio presso il cui studio, sito in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 99, è

elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 1319/9/15, pronunciata il 15.7.2015 e depositata il 16.7.2015;

Udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio in data 28 maggio 2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Cardino Alberto, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

T.L., già dipendente dell’Istituto per il Commercio Estero, a seguito di sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale riceveva dall’ex datore di lavoro un’integrazione del T.F.R. di Euro 188.194,24, al lordo della trattenuta di Euro 74.347,39, corrisposta direttamente dal sostituto d’imposta all’Agenzia delle Entrate. Il Consiglio di Stato riformava la sentenza anzidetta e l’I.C.E. otteneva dal T. la restituzione dell’intero importo erogato, comprensivo di quanto direttamente versato all’Erario.

La richiesta di rimborso dell’imposta indebitamente versata, avanzata dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 veniva rigettata dall’ufficio territoriale di Arezzo nella considerazione che egli avrebbe dovuto seguire la procedura di deducibilità prevista dall’art. 10, lett. d) bis del TUIR.

Tale provvedimento veniva annullato dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo che accoglieva il ricorso proposto dal T. e la Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 1319 depositata il 16.7.2015, rigettava l’appello dell’Ufficio.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste il contribuente con controricorso.

La trattazione del ricorso, già fissata nell’adunanza camerale del 17 settembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c. – a seguito di richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte – è stata rinviata all’udienza pubblica del 28 maggio 2021.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevato che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, proposta da parte controricorrente, per violazione dell’art. 365 c.p.c. e art. 366 c.p.c., n. 5, per mancanza in atti del mandato con il quale l’Agenzia delle entrate abbia conferito all’Avvocatura il compito di rappresentarla e difenderla nella presente controversia, è infondata.

Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha precisato che “per la rappresentanza e difesa in giudizio, le Agenzie fiscali, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 72 possono avvalersi, secondo la disciplina di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che, in forza di tali disposizioni, si pone con esse in un rapporto di immedesimazione organica, ben diverso da quello determinato dalla procura ad litem, che trova fondamento nell’intuitus fiduciae e nella personalità della prestazione. Ne consegue che gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede, senza bisogno di mandato, neppur quando le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, come nel caso di ricorso per cassazione, e che, avendo la difesa dell’Avvocatura dello Stato carattere impersonale, ed essendo quindi gli avvocati dello Stato pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, l’atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l’atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante della difesa” (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 30.5.2018, n. 13627; nonché Sez. 5, 30.5.2018, n. 13627).

2. Passando, quindi, alla disamina dei motivi di ricorso, con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d)-bis nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che il legislatore, per dare soluzione alle problematiche sottese alla restituzione delle somme versate dal sostituto di imposta, ha previsto per il contribuente una modalità specifica attraverso il meccanismo dell’onere deducibile; meccanismo, che rispettando il principio della capacità contributiva e dell’autonomia degli anni di imposta, non si porrebbe in via alternativa rispetto alla domanda di rimborso D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 38 il quale sarebbe viceversa previsto per le ipotesi di errore materiale, duplicazione totale o parziale dell’obbligo di versamento, inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, ossia per le ipotesi in cui il prelievo alla fonte è viziato esclusivamente sotto il profilo tributario per vizi inerenti alla debenza stessa delle imposte e non anche in conseguenza delle particolari vicende per cui il reddito, al quale la ritenuta accede è stato indebitamente erogato.

3. Detto motivo non appare meritevole di accoglimento. Invero, come già affermato da questa Corte, (cfr. Sez. 5, sent. n. 13400 del 30.06.2016) “al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, attuale art. 10, lett. d)-bis come sostituito dalla L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 174, con effetto dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, consente espressamente di effettuare la deduzione degli emolumenti restituiti, oltre che nel periodo di imposta di restituzione, anche nei periodi di imposta successivi, ovvero di richiederne il rimborso secondo apposite modalità. L’art. 10, comma 1, lett. d)-bis vigente ratione temporis (nell’anno di imposta 2008) consentiva il recupero delle imposte trattenute al momento della erogazione delle somme, successivamente restituite, operando la deduzione nei limiti della capienza del reddito imponibile dichiarato nel periodo di imposta di restituzione. L’impossibilità di recuperare per intero, mediante il meccanismo dell’onere deducibile, le imposte trattenute e non dovute, non esclude ed anzi legittima il ricorso alla procedura di rimborso dei versamenti diretti prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 atteso che il presupposto del diritto al rimborso è integrato non solo dalla inesistenza originaria dell’obbligo di versamento, ma anche dalla inesistenza sopravvenuta, sempre che sia osservato il termine di decadenza previsto dal citato art. 38 (in senso analogo, con riferimento alla inesistenza sopravvenuta dell’obbligo di versamento derivante dalla incompatibilità della norma nazionale impositiva con il diritto comunitario Sez. U, Sentenza n. 13676 del 16/06/2014, Rv. 631442)”.

4. E’ stato altresì affermato (Sez. 5, n. 25564 del 27/10/2017), che, la norma in esame riconosce al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), ma “il mancato esercizio di tale facoltà non preclude affatto il ricorso all’ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza” (stabilito, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2). L’azione di rimborso di somme indebitamente versate, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 avente portata generale in materia tributaria (…) non può, infatti, salvo espressa disposizione contraria, “ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente”; principio ulteriormente riaffermato con altra decisione (Sez. 5, ord. n. 12912 del 17/01-10/4/2019).

5. Ciò posto, appare agevole rilevare come dal quadro normativo di riferimento emerga che, oltre all’assenza di una specifica disposizione di divieto e/o preclusione, non sussiste affatto un principio di diritto, interpretativo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 che imponga la riconduzione del rimborso di imposte indebitamente versate nell’alveo delle previsioni di cui all’art. 10, comma 1, lett. d)-bis, del TUIR, ovvero che la restituzione delle imposte indebitamente pagate sia compiuta necessariamente e soltanto attraverso il meccanismo dell’onere deducibile. Ciò a conferma indiretta del diritto a riscuotere in moneta corrente il quantum chiesto a rimborso, ma con termini e modalità avulsi dal rispetto delle disposizioni previste in materia; in maniera più semplice è come dichiarare che a fronte di una certa somma incassata in contanti nelle forme di legge si è disposti a restituirla mediante compensazione con propri redditi, ovviamente, se esistenti e capienti, trattandosi, in effetti, di compensazione virtuale, in quanto, nell’ipotesi di assenza o incapienza di redditi nell’anno della restituzione al sostituto, al sostituito, come dimostrato negli atti del giudizio, rimarrebbe solo una perdita con conseguente indebito arricchimento da parte dell’erario.

6. Va poi evidenziato come secondo questa Corte resti ferma la possibilità che, qualora, sia stato versato al fisco più di quanto dovuto, la domanda di rimborso possa essere presentata tanto dal sostituto d’imposta, che ha effettuato il versamento, quanto dal sostituito, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”), (cfr., tra le altre, Cass. n. Sez. 6, 16/07/2015, n. 14911; Sez. 6, n. 16105 del 29.09.2015; Sez, 5 12/3/2014, n. 5653 e, da ultimo Cass. Sez. L, 25.7.2018 n. 19735 e Sez. L, 29.1.2018 n. 2135).

7. Come evidenziato da questa Corte, del resto, (Cass. Sez. 3, n. 21699 del 20/10/2011) l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza e dunque di prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e dunque giuridicamente di un pagamento non dovuto. Quali che siano i rimedi esperibili dal contribuente/lavoratore nei confronti dell’amministrazione finanziaria, è evidente, infatti, che il solvens non può ripetere dal lavoratore accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, e cioè di quanto versato, sia pure in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva, suscettibile di riforma o cassazione nell’ambito degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento, ad un terzo (ente fiscale). In tal senso cfr. altresì Cons. Stato, sez. III, n. 3984/11.

8. Va infine evidenziato che il principio affermato da Cass., sez. V, n. 23886 del 19/11/2007 (secondo cui il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegua la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete in via principale il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso) riguarda i rapporti tra sostituto d’imposta, sostituito e fisco (cfr. in tal senso Cass. n. 239/06), ma non afferma che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (l’amministrazione finanziaria). In tale ultimo senso, v. altresì, Cons. Stato, sez. VI, n. 1164/09.

9. Va peraltro aggiunto che costituisce principio giurisprudenziale consolidato di questa Corte quello secondo cui “nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38)…., regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune; per cui da tanto consegue che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria, idonea, come tale, ad orientare anche l’interprete e, dall’altro, che le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione” (cfr. Cass. Sez. 5, n. 28684 del 3 dicembre 2008).

10. In tale situazione, non appare condivisibile la sussistenza dell’asserito contrasto giurisprudenziale segnalato dall’Avvocatura generale dello Stato, né la prospettata necessità di una rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, apparendo alquanto consolidato il principio della alternatività del rimedio attribuito dalla legge al contribuente, che per errore proprio (o del datore di lavoro) abbia versato imposte non dovute, potendo far valere il diritto alla deduzione ex art. 10 comma 1, lett. d)-bis, TUIR ovvero richiedere D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38 il rimborso delle imposte indebitamente versate entro il previsto termine decadenziale; facoltà riconosciuta in via principale al contribuente, ma anche al sostituto d’imposta. Detto principio risulta condiviso anche dalla Corte dei Conti, la quale, con sentenza in data 02/02/2016, n. 55, della Sezione prima centrale d’appello, ha ritenuto che “la restituzione al sostituto delle somme non spettanti al sostituito deve avvenire al lordo delle ritenute IRPEF effettuate e versate dal sostituto medesimo. In sostanza, “la somma lorda pagata in più e successivamente restituita diviene per il dipendente o pensionato onere deducibile, ai sensi dell’art. 10, lett. d-bis), del TUIR e può essere riconosciuta direttamente dal sostituto d’imposta (fino alla capienza del reddito di lavoro dipendente o di pensione) per effetto dell’art. 51, comma 2, lett. h) del TUIR” (cfr., sulla ripetibilità al lordo, Corte dei Conti Sez. I n. 310 e n. 830 del 2013; Sez. III n. 840 del 2013; conf. sentenze nn. 1149, 869 e 867 tutte del 2014; ma anche: Sezione II, sent. n. 660/2014 e 456/2012; Sez. III, sent. n. 840/2013).

11. Per le ragioni sin qui esposte non si ravvisano gli estremi per rimettere la questione all’esame delle Sezioni unite di questa Corte, non sussistendo in seno a questa S.C. il dedotto contrasto giurisprudenziale. Nessun contrasto appare peraltro emergere con le decisioni rese sullo stesso tema dal Consiglio di Stato, le cui decisioni riguardavano fattispecie assolutamente diverse da quella in esame.

12. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che “l’istanza di rimborso del contribuente non è stata mai accompagnata dalla prova dell’avvenuta integrale restituzione all’I.C.E. dell’importo al lordo delle ritenute effettuate”; fatto indispensabile per poter dar seguito al rimborso della somma al contribuente, “anche al fine di tutelare la posizione del sostituto d’imposta.

13. Detta censura è inammissibile. Dalla riconosciuta alternatività della legittimazione ad agire per la ripetizione delle imposte indebitamente versate discende la sostanziale autonomia dei rapporti tra sostituto e sostituito rispetto al rapporto fiscale e, conseguentemente, la mancanza di interesse specifico dell’Agenzia ricorrente per detto rapporto tra le parti, tenuto conto anche del riconoscimento dello sgravio delle ritenute fiscali operato dall’ente datore (ICE) nel 2019 (v. memoria).

14. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, del resto contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, mentre nel caso di specie l’asserita omissione dedotta dalla ricorrente non risulta né controversa, né decisiva.

15. Va peraltro osservato che la doglianza della ricorrente si rivela inammissibile sotto altro profilo, in quanto non coglie in alcun modo la ratio decidendi della sentenza impugnata, con cui veniva meramente esclusa la pretesa dall’Ufficio di accordare al contribuente, in assenza di una previsione normativa ed in ossequio ad una prassi amministrativa, il semplice rimedio previsto dall’art. 10, lett. d-bis, TUIR.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al rimborso delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in Euro 2.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché il 15% per spese generali forfettarie ed oneri accessori.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021

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