LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15906/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** s.r.l., in persona del curatore pro tempore, ammesso al gratuito patrocinio, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Pirrelli, elettivamente domiciliato in Roma alla via L.
Mantegazza n. 24, presso il Dott. G.M.;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 73/7/13 della Commissione tributaria regionale della Puglia, pronunciata in data 26 settembre 2013, depositata in data 19 dicembre 2013 e non notificata;
Letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore generale Mucci Roberto, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. L’Ufficio Controlli di Bari emetteva avviso di accertamento n. RF3030201606/2008, a seguito di un processo verbale di constatazione redatto al termine di una verifica fiscale condotta da funzionari dell’Agenzia delle entrate, col quale recuperava a tassazione maggiori ricavi derivanti dell’attività di “lavori generali di costruzione edifici” e costi indeducibili T.U.I.R. ex art. 109, rettificando il reddito d’impresa da Euro 144.028,00 in Euro 188.579,00. La ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio muoveva dal controllo degli stati di avanzamento lavori di cui al T.U.I.R., art. 93, comma 6, relativi ai singoli cantieri di lavoro per opere ultrannuali. Dai suddetti controlli i funzionari verificatori riscontravano che la Società verificata aveva operato una sottofatturazione nel corso degli anni 2003, 2004, 2005 e 2006 per un totale di Euro 71.325,55; detti ricavi furono quindi ripartiti per le suddette annualità.
2. La società propose ricorso avverso l’atto accertativo, nonché avverso la cartella contenente l’iscrizione a ruolo, a titolo provvisorio in pendenza di giudizio, di Iva, Irpeg ed Irap relative all’anno di imposta 2003.
La Commissione tributaria provinciale di Bari, con la sentenza n. 7/13/11, accoglieva i ricorsi riuniti, ritenendo corretto l’operato della contribuente nella contabilizzazione dei ricavi e sufficientemente documentati i costi, in quanto dalle fatture si desumeva la certezza e l’inerenza di detti costi con l’attività esercitata dalla Società verificata.
3. L’ufficio proponeva appello, lamentando la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36; la violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al TUIR, art. 93 e al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); la violazione e falsa applicazione del TUIR, art. 109.
La Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza del 19 dicembre 2013, n. 73/7/13, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata.
4. L’Agenzia delle entrate ora ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza d’appello e la curatela fallimentare della società contribuente resiste con controricorso.
Il sostituto procuratore generale, Mucci Roberto, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 93 (T.u.i.r., nel testo applicabile ratione temporis) e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe errato nel sostenere che fosse inverosimile la tesi dell’ufficio, secondo cui la società D. avrebbe conseguito ricavi extracontabili, atteso che oggetto dell’appalto erano lavori pubblici e non privati.
Invero, la ricorrente deduce di aver contestato alla società contribuente l’erronea contabilizzazione delle rimanenze finali, da imputare a ricavi di esercizio secondo i criteri dettati dal T.u.i.r., art. 93, e non la percezione di utili in nero.
Pertanto, secondo la ricorrente, non vi sarebbe stata alcuna confusione, come invece erroneamente ritenuto dai giudici di appello, tra il momento dell’effettuazione dell’operazione ai fini dell’Iva e il periodo di competenza dei ricavi ai fini dell’imposta sul reddito, ricavi che secondo i verificatori sarebbero stati tutti regolarmente contabilizzati.
1.2. Il motivo è fondato e va accolto.
Ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, commi 1, 2, 4 e 5, vigente ratione temporis, “1. Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, salvo il disposto del comma 4.
2. La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati. (…) 4. I corrispettivi liquidati a titolo definitivo dal committente si comprendono tra i ricavi e la valutazione tra le rimanenze, in caso di liquidazione parziale, è limitata alla parte non ancora liquidata. Ogni successiva variazione dei corrispettivi è imputata al reddito dell’esercizio in cui è stata definitivamente stabilita.
5. In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 4 le imprese che contabilizzano in bilancio le opere, forniture e servizi valutando le rimanenze al costo e imputando i corrispettivi all’esercizio nel quale sono consegnate le opere o ultimati i servizi e le forniture possono essere autorizzate dall’ufficio delle imposte ad applicare lo stesso metodo anche ai fini della determinazione del reddito; l’autorizzazione ha effetto a partire dall’esercizio in corso alla data in cui è rilasciata”.
Come rilevato da questa Corte “Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93 (prima art. 60) che ha sostanzialmente riprodotto la disciplina dettata dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 63, applicabile anche alle imprese a contabilità semplificate, pone al comma 1, in riferimento alle opere pattuite come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale nei contratti di appalto, la regola generale secondo la quale è reddito di ciascun esercizio la variazione del valore delle rimanenze finali, ma al comma 2 contempla l’ipotesi nella quale siano intervenute liquidazioni di corrispettivi in base a stati di avanzamento, stabilendo che i relativi importi costituiscono ricavi, i quali, pertanto, vanno imputati all’esercizio. Ne consegue l’obbligo della fatturazione e contabilizzazione di tali importi, che, in caso di irregolarità, legittimano l’accertamento in rettifica” (Cassazione civile sez. trib., 20/11/2009, n. 24511).
Inoltre, con una recente pronuncia in tema di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 92 e 93, questa Corte ha ulteriormente chiarito che “la valutazione delle giacenze relative a commesse ultrannuali deve essere effettuata con il criterio della percentuale di completamento che determina la suddivisione dell’utile totale che scaturisce dall’operazione nei vari esercizi di svolgimento della stessa ed in proporzione ai lavori eseguiti per ciascun periodo, al fine di evitare la concentrazione dell’imponibile nell’ultimo esercizio” (Cassazione civile, sez. VI, 28/09/2018, n. 23629).
Pertanto, la C.t.r. ha errato nel ritenere che la natura pubblica dell’appalto escludesse la possibilità di rettificare, ai fini fiscali, il valore delle rimanenze finali di ciascun esercizio e, quindi, dei ricavi dichiarati; sulla base di tale considerazione erronea, il giudice di appello ha, dunque, ritenuto che l’accertamento di maggiori ricavi fosse dovuto ad una confusione dell’ufficio tra il momento di effettuazione delle operazioni ai fini dell’Iva ed il periodo di competenza ai fini delle imposte dirette, senza verificare se, nella fattispecie al suo esame, fosse corretto l’accertamento dell’ufficio in ordine alla circostanza che la società contribuente non avesse dichiarato i ricavi in base ai criteri di computo delle rimanenze finali previsti dal T.u.i.r., art. 93.
2. Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (T.u.i.r., nel testo applicabile ratione temporis), degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo la ricorrente, la C.t.r., nel confermare l’annullamento dell’accertamento in riferimento ai costi indeducibili, non avrebbe tenuto conto del corretto riparto dell’onere probatorio, secondo cui spetta al contribuente dimostrare esistenza, inerenza e competenza dei costi dedotti, nonché della circostanza che l’amministrazione finanziaria aveva disconosciuto i costi indicati in una serie di fatture, sulla base di molteplici elementi indiziari, che avrebbero comportato l’onere del contribuente di fornire adeguata prova contraria.
2.2. Il motivo è fondato e va accolto.
In particolare, nel caso di specie, l’Ufficio ha disconosciuto le fatture relative a prestazioni ricevute dalla DO.GI. Costruzioni s.r.l. (relative a presunti lavori eseguiti sul cantiere di Castellaneta Marina), durante gli anni oggetto di accertamento, relativi ad un contratto di sub-appalto tra la ***** s.r.l. e la DO.GI. Costruzioni s.r.l.
L’ufficio, dall’esame della documentazione relativa a tali prestazioni, aveva rilevato che l’Ente appaltante identificato nella “T.I.E. – Turismo Ionio Europa – s.r.l.” e la “***** Srl” avevano la stessa compagine sociale; il contratto di sub-appalto non risultava registrato e non vi era certezza sulla data della stipulazione; la descrizione dell’oggetto della prestazione indicata nelle fatture era generica e sintetica e non permetteva di valutare e misurare lo stato di avanzamento dei lavori; dalla descrizione riportata sulle fatture non era possibile valutare né misurare il tipo di lavoro eseguito sul cantiere; per la Società DO.GI. Costruzioni s.r.l., la Commissione tributaria provinciale di Bari, con sentenza del 3 marzo 2010, n. 33/14/10, passata in giudicato, aveva accertato l’indebita deduzione di costi relativi ad operazioni inesistenti per l’anno di imposta 2003, derivante dalle risposte ai questionari inviati dall’Amministrazione Finanziaria ai vari fornitori; la DO.GI. Costruzioni s.r.l., esercente l’attività di lavori generali costruzione edifici, aveva dichiarato nei pochi anni di attività redditi esigui di poche migliaia di Euro, a fronte di un volume di affari di milioni di Euro, rimborsi IVA per centinaia di migliaia di Euro e costi per il personale irrisori.
Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare la prova indiziaria fornita dall’amministrazione finanziaria ed, ove avesse ritenuto assolto l’onere probatorio da parte dell’ufficio, avrebbe dovuto valutare se il contribuente aveva fornito idonea prova contraria (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28246 del 11/12/2020, secondo cui “Ai fini del diritto alla deduzione di costi inerenti TUIR ex art. 109 e della detrazione di Iva D.P.R. n. 633 del 1972 ex art. 19, è necessaria la regolare tenuta delle scritture contabili e delle fatture che, ai fini dell’Iva, sono idonee a rappresentare il costo dell’impresa e che devono contenere oggetto e corrispettivo di ogni operazione commerciale, sicché, in caso di operazioni ritenute dall’Amministrazione inesistenti, spetta a quest’ultima l’onere di dimostrare, attraverso la prova logica (o indiretta) o storica (o diretta) e anche con indizi integranti presunzione semplice, la fittizietà dell’operazione e non al contribuente la sua effettività, essendo questi chiamato a fornire la prova contraria soltanto quando sia assolto l’onere probatorio gravante sulla prima”).
In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021