Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24661 del 14/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26796 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:

ASD Olimpic Nuoto Napoli s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Vincenzo M.

Cesaro e Bruno Cantone, per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Calabria, n. 56, presso lo studio del primo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 2372/17/2014, depositata in data 7 marzo 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato all’Associazione sportiva dilettantistica Olimpic Nuoto Napoli (di seguito: l’Associazione) un avviso di accertamento con il quale aveva contestato, relativamente all’anno di imposta 2007, che la stessa aveva svolto solo attività istituzionale non commerciale, con la conseguenza del disconoscimento della detraibilità dell’Iva sugli acquisti e del credito Iva relativo all’anno precedente; veniva, inoltre, contestato, in via solidale con il locatore, l’omesso assoggettamento ad Iva del canone di locazione dell’immobile utilizzato; era, inoltre, irrogata la conseguente sanzione; avverso l’avviso di accertamento la contribuente aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributarie provinciale di Napoli; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Associazione aveva proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale ha dichiarato inammissibile l’appello principale dell’Associazione per difetto di specificità dei motivi e per mancanza di critica della sentenza appellata ed ha, inoltre, accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate; in particolare, ha ritenuto che, sebbene l’Associazione avesse documentato di avere istituito una contabilità separata per l’attività commerciale dalla stessa svolta, tuttavia, aveva detratto integralmente l’Iva pagata ai fornitori senza avere proceduto alla registrazione con la separata indicazione della parte riconducibile all’attività commerciale e di quella, non detraibile, relativa all’attività istituzionale non commerciale;

l’Associazione ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

con ordinanza del 17 settembre 2020 la Corte ha emesso ordinanza con la quale ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per l’acquisizione dei fascicoli di merito.

CONSIDERATO

che:

preliminarmente va rilevato che la controricorrente non ha depositato l’avviso di ricevimento relativo alla notifica del controricorso alla ricorrente, sicché lo stesso è da ritenersi inammissibile;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, per avere erroneamente dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Associazione;

il motivo è inammissibile;

parte ricorrente prospetta, con la ragione di censura in esame, la non corretta applicazione della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in quanto, a differenza di quanto ritenuto dal giudice del gravame, l’appello era stato proposto nel rispetto di: “tutti i criteri specifici ritenuti essenziali dalla norma che regolamenta l’impugnazione in materia tributaria” e, a tal proposito, evidenza che: “basta sul punto la mera lettura di singoli passi del ricorso di appello per smentire di fatto l’errata conclusione che ha condotto alla dichiarazione di inammissibilità, ove si veda che prima di tutto la costruzione dell’atto è formulata per singoli e specifici motivi che contengono la violazione della norma di legge di riferimento”;

viene inoltre evidenziato che “l’atto contiene la critica alla sentenza di primo grado”;

va quindi osservato che, secondo questa Corte (Cass. civ., 4 dicembre 2020, n. 27784; Cass. civ., 15 gennaio 2019, n. 707), nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione;

comunque, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci;

in questo ambito, dunque, nel processo tributario, la declaratoria di inammissibilità dell’appello non può essere pronunciata se il contribuente, a supporto dell’appello, abbia riproposto le ragioni di contestazione all’atto impositivo contenute nell’atto introduttivo del giudizio e sia chiaramente deducibile, dal complesso dell’impugnazione, la volontà di contestare la decisione del giudice di primo grado e, ponendosi, in tal modo, in contrapposizione con le ragioni sulle quali si era fondata la suddetta decisione, prospettando una critica specifica alle argomentazioni della sentenza di primo grado;

nel caso di specie, la sentenza censurata ha ritenuto che l’atto di appello del contribuente non conteneva alcuna specifica critica alla sentenza impugnata e, con riferimento a questa ragione di censura, parte ricorrente, al di là delle affermazioni dirette a confutare la valutazione compiuta dal giudice del gravame di inammissibilità dell’atto di appello, nulla di analitico evidenzia in ordine al contenuto specifico dell’atto di appello da cui potere evincere che lo stesso si poneva, comunque, in termini di contrapposizione, seppure in via implicita, al contenuto della decisione del giudice di primo grado;

né rileva, a tal fine, il passo dell’atto di appello riportato dal contribuente con il quale evidenziava che la decisione del giudice di primo grado non era corretta in quanto dalla documentazione allegata si evinceva che si trattava di associazione sportiva che svolgeva attività commerciale e che” pertanto, aveva diritto alla detrazione;

invero, dall’esame del fascicolo di primo grado, acquisito da questa Corte con l’ordinanza 17 settembre 2020, si evince che il giudice di Primo grado aveva ritenuto che “nel caso di specie si è in presenza di un utilizzo promiscuo del contratto di locazione sottoposto ad Iva da parte della associazione che svolge l’attività sportiva di scuola di nuoto principale in esenzione di Iva e l’attività commerciale nell’ambito della stessa struttura sportiva e negli stessi locali in fitto”;

la decisione del giudice di primo grado, dunque, si era basata proprio sulla natura promiscua dell’attività svolta dall’Associazione e, per tale ragione, si era ritenuto di dovere riconoscere il diritto alla detrazione dell’Iva per gli acquisti e per il canone di locazione per la parte imputabile all’esercizio commerciale, escludendo, tuttavia, il diritto alla detrazione unicamente per il credito Iva esposto nella dichiarazione relativa all’anno precedente, poiché nella determinazione dello stesso non si era seguita la normativa contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 19-ter;

la volontà di censurare la sentenza del giudice di primo grado, come rappresentata dalla ricorrente con il presente motivo di censura attiene, dunque, ad un profilo, prospettato con il primo motivo di appello, che non ha riguardo al contenuto specifico delle ragioni su cui si era basata la decisione, e, di conseguenza, correttamente il giudice del gravame ne ha evidenziato la genericità;

d’altro lato, si evince dall’esame del secondo motivo dell’atto di appello, la ricorrente si era limitata ad illustrare i presupposti normativi che presiedono alla detraibiilità dell’Iva, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, senza riferimento alcuno alle ragioni della decisione e senza tenere conto del fatto che, come già evidenziato, il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto alla detrazione, seppure con i limiti di cui all’art. 19-ter, cit., in caso di svolgimento di attività promiscua;

anche il terzo motivo di appello, con il quale parte ricorrente considera la disciplina contenuta nell’art. 19-ter, cit., compie una generica illustrazione dei presupposti applicativi della previsione normativa in esame, pur presa in considerazione dal giudice di primo grado ed applicata, sebbene in parte, in senso favorevole all’Associazione, risultando, sotto tale profilo, assolutamente generica e priva di contenuto critico alla pronuncia di primo grado, l’affermazione conclusiva secondo cui: “atteso che la sentenza impugnata ha, correttamente, individuato l’associazione appellante come un soggetto non “consumatore finale” non si comprendono le ragioni per cui gli onorevoli giudici in prime cure aditi abbiano inteso il credito scaturente dalla dichiarazione Iva per l’anno di imposta 2006 non utilizzabile”;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 18 e 19, per avere ritenuto, in modo contraddittorio, che, da un lato, vi era prova dell’istituzione di una separata rilevazione dei costi e dei ricavi con riferimento all’attività commerciale esercitata, oltre a quella istituzionale, e, d’altro lato, che non poteva essere riconosciuta nessuna detrazione, neanche se presente nella contabilità differenziata;

evidenzia, quindi, parte ricorrente, che, non risultando alcuna contestazione sulla inattendibilità della contabilità ed essendo stata accertata la tenuta della contabilità separata, il mancato riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva era contrario alla previsione di cui all’art. 19, cit.;

il motivo è infondato;

la sentenza censurata ha preso atto della circostanza che la ricorrente svolgeva marginalmente anche attività commerciale e, a tal proposito, aveva provveduto ad istituire il registro dei corrispettivi nonché a separare la rilevazione dei costi e dei ricavi;

tuttavia, nella sentenza in esame è stata, altresì, presa in considerazione la circostanza che, nel procedere alla detrazione dell’Iva, la società non aveva compiuto una separata registrazione indicando quali operazioni erano da ricondurre all’attività commerciale, quindi detraibile, e quali all’attività istituzionale, quindi non detraibile;

sotto tale ultimo profilo, la sentenza hai tenuto conto della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-ter, secondo periodo, secondo cui “L’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente nell’esercizio dell’attività commerciale o agricola e dell’attività principale è ammessa in detrazione per la parte imputabile all’esercizio dell’attività commerciale o agricola”;

dunque, proprio in considerazione del fatto che l’Associazione, quale ente non commerciale, svolgeva anche attività commerciale, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, il giudice del gravame ha ritenuto che non risultava quali operazioni, per le quali era stata corrisposta l’Iva, erano riconducibili all’attività commerciale o a quella non commerciale;

non sussiste, dunque, alcuna violazione della previsione normativa in esame;

ulteriore profilo da esaminare attiene alla questione della formazione del giudicato interno relativo alla contestazione del mancato assoggettamento ad Iva del canone corrisposto per la locazione dell’immobile da parte di terzi;

sul punto, si osserva che, stando al contenuto della sentenza di primo grado, l’avviso di accertamento riguardava, da un lato, l’omesso assoggettamento ad Iva del canone di locazione e, dall’altro, la non detraibilità dell’Iva sugli acquisti;

la sentenza di primo grado aveva accolto parzialmente il ricorso limitatamente alla questione della detraibilità dell’Iva, sicché la stessa aveva risolto in senso sfavorevole alla contribuente la questione della pretesa relativa all’omesso assoggettamento all’Iva del canone di locazione;

il giudice del gravame ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, che aveva proposto impugnazione limitatamente alla statuizione della sentenza di primo grado ad essa sfavorevole relativa alla detraibilità dell’Iva, mentre ha dichiarato inammissibile l’appello principale della contribuente sulla questione risolta in senso sfavorevole alla medesima dal giudice di primo grado;

sicché, la statuizione di inammissibilità del motivo di appello proposto dalla contribuente, e la conseguente dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di ricorso proposto in questo giudizio, comporta la formazione del giudicato sfavorevole alla contribuente sulla questione relativa all’omesso assoggettamento all’Iva del canone di locazione;

ne consegue il rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la inammissibilità della costituzione della controricorrente;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021

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