LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 29523 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
M.P.A., titolare dell’omonima ditta, rappresentato e difeso per procura speciale per atto pubblico del 31 marzo 2021 allegato alla memoria di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Michele Angelo Lupoi, elettivamente domiciliato in Roma, via C.
Poma, n. 2, presso lo studio dell’Avv. Gregorio Troilo;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, n. 62/18/13, depositata in data 22 ottobre 2013;
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12 aprile 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a M.P.A. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2000, aveva rettificato il reddito di impresa, procedendo ad indagini bancarie sui conti correnti riferibili al contribuente, accertando, di conseguenza, una maggiore Irap, Irpef e Iva, e applicando le conseguenti sanzioni; avverso l’avviso di accertamento il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, avendo ritenuto che l’amministrazione finanziaria non aveva assolto all’onere di prova contraria; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto, per quanto di interesse, che: già in altra controversia, relativa ai medesimi presupposti su cui si era basato l’avviso di accertamento oggetto di controversia, sebbene relativo ad altra annualità, era stato accertato che non vi era prova che il contribuente svolgesse attività di impresa consistente nel commercio di autoveicoli; anche nella presente controversia non era stato imputato al contribuente di svolgere attività di commercio di autovetture, ma era stata presunta l’esistenza della suddetta attività senza alcuna specifica indicazione delle caratteristiche della medesima; inoltre, al fine di assolvere all’onere della prova di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in caso di accertamenti bancari, era sufficiente che il contribuente indicasse il nominativo dei destinatari dei singoli prelevamenti, spettando, di conseguenza, all’amministrazione finanziaria l’onere di contestare la completezza, veridicità e l’idoneità probatoria degli stessi, non potendosi limitare a negare la rilevanza giuridica delle indicazioni offerte dal contribuente;
avverso la sentenza del giudice del gravame ha quindi proposto ricorso per la cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura, illustrato con successiva memoria;
il contribuente ha resistito depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 55, per avere ritenuto che non sussistesse la prova che il contribuente svolgesse attività di impresa consistente nel commercio di autoveicoli e per avere, inoltre, ritenuto che, con riferimento ai prelevamenti da conti correnti bancari, è sufficiente che il contribuente dia prova mediante la mera indicazione dei beneficiari;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto riguardano la questione della corretta applicazione al caso di specie della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, sono fondati;
non correttamente il ricorrente deduce, nella memoria, che i motivi di ricorso non attingono adeguatamente la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito nei giudizi di merito;
in realtà, nel ricorso, parte ricorrente individua specificamente i diversi passaggi sui quali si è basata la decisione del giudice del gravame che, in sostanza, ha ritenuto che non risultava fornita alcuna prova in ordine al fatto che il contribuente svolgesse attività di impresa consistente nel commercio di autoveicoli e che, comunque, l’onere della prova da parte del contribuente circa la regolarità delle movimentazioni bancarie può dirsi assolto sulla base della mera indicazione dei nominativi dei destinatari dei singoli prelevamenti;
e’, quindi, con specifico riferimento ai suddetti profili, sui quali si è basata la decisione del giudice del gravame, che parte ricorrente ha prospettato le ragioni di censura contenuta nei motivi di ricorso in esame, evidenziando la correttezza dell’accertamento presuntivo basato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie riconducibili al contribuente;
a tal proposito, va premesso che, con riferimento all’applicazione delle regole presuntive di accertamento del maggior reddito e della maggiore Iva, questa Corte ha più volte precisato che tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. civ., 25 novembre 2020, n. 26678);
si e’, altresì, precisato, (Cass. civ., 30 marzo 2018, n. 7951; Cass. civ., 26 settembre 2018, n. 22931) che la sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014, ha effetti unicamente con rifermento alla applicabilità del regime di presunzione per i prelevamenti effettuati su un conto corrente dal professionista e dal lavoratore autonomo, restando invariata, comunque, la presunzione legale con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo;
in sostanza, il regime di presunzione legale, sia relativamente ai versamenti che ai prelevamenti operati sul conto corrente, si applica senza limitazione qualora il contribuente abbia svolto attività di impresa, mentre le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti;
con riferimento al caso di specie, parte ricorrente evidenzia che è lo stesso contribuente che aveva redatto la dichiarazione dei redditi riportando sia il quadro Irap che il quadro RG, sicché l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria ha avuto a suo fondamento quanto derivava dalla stessa prospettazione del medesimo contribuente con la compilazione della dichiarazione dei redditi, avendo egli stesso assunto la qualificazione di soggetto svolgente l’attività di impresa;
il giudice del gravame, invero, ha unicamente ragionato in ordine alla mancanza di prova dello svolgimento dell’attività di impresa, senza considerare, come detto, il fatto decisivo che era proprio la dichiarazione dei redditi compilata dal contribuente che legittimava l’amministrazione ad applicare il regime delle presunzioni fondate sugli accertamenti bancari di cui al D.P.R. n. 600 del 1972, art. 32, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51;
né rileva quanto dedotto dal controricorrente sia nel controricorso che in memoria, profilo peraltro seguito dal giudice del gravame, in ordine alla circostanza che lo stesso non aveva svolto alcuna attività commerciale nel settore automobilistico;
invero, il regime delle presunzioni in esame trova una sua applicazione per il fatto, di per sé rilevante, che colui che svolge l’attività di impresa deve dare prova delle ragioni giustificative delle movimentazioni bancarie allo stesso riferibili, circostanza che, come detto, risulta basata sulla stessa dichiarazione presentata dal contribuente;
non rileva, inoltre, l’ulteriore profilo, evidenziato nel controricorso e ribadito in memoria, del difetto di contraddittorio, costituendo ragione di difesa del tutto avulsa dal contesto della decisione e, inoltre, privo di autosufficienza, non risultando che la questione era stata prospettata nei precedenti giudizi di merito;
con riferimento, poi, alla questione dell’onere della prova cui è tenuto il contribuente, questa Corte (Cass. civ., 9 marzo 2021, n. 6405) ha più volte precisato che: “in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione”;
e’ stato, in particolare, precisato (Cass. civ., 6 ottobre 2020, n. 21401; Cass. civ., 29 luglio 2016, 15857) che, per superare tale presunzione, il contribuente deve in particolare “dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili”;
pertanto, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che, al fine dell’assolvimento dell’onere di prova gravante sul contribuente, fosse sufficiente la mera indicazione dei soggetti beneficiari;
in conclusione, i motivi sono fondati, con conseguente accoglimento del ricorso e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche ai fini della liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021