LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17382/2018 proposto da:
AMAG MOBILITA’ S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO N. 18, presso lo studio dell’avvocato MARINA ZELA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA GIANATTI;
– ricorrente –
contro
B.M., D.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TRONTO 32, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MUNDULA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO BRANZOLI;
– controricorrenti –
e contro
FALLIMENTO ***** S.P.A., IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 210/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/04/2018 R.G.N. 1100/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/03/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI Roberto, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. con sentenza n. 210 depositata il 3.4.2018 la Corte di appello di Torino, confermando la pronuncia del Tribunale di Alessandria, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da ***** s.p.a. in liquidazione a D.R. e B.M. ritenendo non sussistenti i requisiti di cui all’art. 45, comma 8, del Regolamento allegato al R.D. n. 148 del 1931 (“danno recato all’azienda con dolo nei contratti di lavoro, provviste, accolli e vendite o altro ramo del servizio) con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, della L. n. 300 del 1970, ex art. 18, presso la società cessionaria AMAG Mobilità s.p.a.;
2. la Corte distrettuale, per quel che interessa, rilevato che in data 18.7.2016 la società ***** era stata dichiarata fallita ma che il servizio pubblico locale non era stato mai interrotto (essendo stato stipulato, dapprima, un contratto di affitto di azienda tra ***** e AMAG per il periodo 13.6 – 31.12.2016 poi prorogato sino al 31.3.2017, e poi una cessione di ramo di azienda tra le stesse parti), ha ritenuto che i lavoratori dovevano ritenersi trasferiti presso la società cessionaria, dovendosi applicare l’art. 2112 c.c., non potendo ritenersi ricorrenti i requisiti previsti dalla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, per derogare alla disciplina che impone la continuità dei rapporti di lavoro; invero, il citato comma 5, va interpretato nel senso che, anche in caso di dichiarazione di fallimento, sia necessario che l’attività non sia continuata;
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la società AMAG affidandosi a un articolato motivo di ricorso, illustrati da memoria. Resiste B.M.; D.R. e il Fallimento ***** in liquidazione sono rimasti intimati.
4. Il procedimento è regolato dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, secondo cui “Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma dell’art. 374 c.p.c., art. 375 c.p.c., u.c. e art. 379 c.p.c., la Corte di Cassazione procede in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei (difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale) faccia richiesta di discussione, orale”. Ne’ i difensori delle parti, né il Procuratore Generale hanno fatto richiesta di discussione orale.
5. Il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, chiedendo la declaratoria di estinzione del procedimento per D.R. e l’inammissibilità del ricorso promosso nei confronti di B.M..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va rilevato che le parti hanno depositato copia del verbale di conciliazione concluso in sede sindacale in data 10.2.2020 tra AMAG Mobilità s.p.a. e D.R., ove risulta che la società rinuncia a proseguire il giudizio nei confronti del suddetto lavoratore, il quale accetta la rinuncia, con intenzione delle parti di abbandonare il giudizio pendente avanti la Cassazione e di compensare le spese di lite. Con il detto verbale, quindi, le parti si sono date reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio, idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere fra le parti che va dichiarata in questa sede.
2. Con l’unico motivo di ricorso la società denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, in relazione all’art. 12 preleggi, R.D. n. 267 del 1942, artt. 104, 104-bis, 105, ai principi generali dell’ordinamento, i precedenti giurisprudenziali in materia, nonché la stessa direttiva 2001/23/CE (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto “inoperativa” la deroga alla continuità dei rapporti di lavoro introdotta dalla L. n. 428 citata, art. 47, comma 5, in quanto il presupposto della “non prosecuzione o cessazione dell’attività” accomunerebbe “tutte” indistintamente le tipologie di imprese elencate nella prima parte della norma comprese quelle per le quali è intervenuta dichiarazione di fallimento. La Corte distrettuale ha omesso di considerare che tutte le fattispecie ivi contemplate (ad eccezione dell’amministrazione straordinaria) hanno carattere liquidatorio (dunque alieno da qualsiasi provvedimento di continuazione dell’attività aziendale); che la continuazione dell’attività esula dalla finalità stessa del fallimento, volto tipicamente alla liquidazione del patrimonio dell’impresa e al soddisfacimento della massa, in vista del prioritario interesse dei creditori; che le numerose sentenze della Corte di Giustizia europea adottate in questi anni hanno distinto le fattispecie connotate da procedure concorsuali con finalità liquidatoria dalla crisi d’impresa, precisando che solamente in quest’ultimo caso si è di fronte ad un procedimento che, lungi dal tendere alla liquidazione dell’impresa, mira al contrario favorire la prosecuzione della sua attività nella prospettiva di una futura ripresa (sentenza Spano, 7.12.1995; causa C-472/93); che le modifiche apportate dalla L. n. 166 del 2009, art. 19-quater; introducendo al suddetto art. 47, il comma 4-bis, hanno introdotto una diversificazione delle tutele tra situazioni che possono evolvere verso la continuazione dell’attività (tra cui l’amministrazione straordinaria “in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività”) e fattispecie preordinate alla liquidazione dei beni dell’imprenditore (tra cui l’amministrazione straordinaria “nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata”), tra le quali va annoverato la dichiarazione di fallimento, che integra una procedura liquidatoria per antonomasia.
3. Il ricorso è fondato.
3.1. preliminarmente, va rammentato che il paragrafo 1 dell’art. 5, della Direttiva 2001/23/CE prevede che le tutele approntate per i lavoratori in caso di trasferimento d’impresa agli artt. 3 e 4 dello stesso strumento (dedicati al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda, che trova il corrispondente normativo nell’art. 2112 c.c.), sono inapplicabili se ricorrono tre requisiti, ossia: nei casi in cui l’impresa cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura d’insolvenza analoga ove la procedura sia stata aperta al fine di liquidare i beni del cedente, purché dette procedure si svolgano sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (in questo senso, univoca la giurisprudenza comunitaria: Corte di giustizia dell’UE, sentenze: 16.5.2019, Christa Plessers e a., C-509/17, p. 38; 22.6.2017, Federatie Nederlandse Vakveniging e a., C-126/16, p. 44). Il Paragrafo 2 della medesima Direttiva, invece, riespande – quasi interamente – il quadro di garanzie dei lavoratori, prevedendo che, in caso di procedure di insolvenza (a prescindere dalla carattere liquidatorio della procedura ma purché sottoposta al controllo di un’autorità pubblica), si applichino gli artt. 3 e 4, con alcuni temperamenti (a scelta degli Stati membri, il mancato passaggio dei debiti del cedente e/o la modifica delle condizioni di lavoro dei dipendenti da concordarsi con le organizzazioni sindacali. Cfr. con riguardo a procedure non caratterizzate da carattere liquidatorio bensì da finalità di risanamento delle imprese, CGUE sentenze: 7.12.1995, Spano e a., C-472/93; 25.7.1991, d’Uro e a., C-362/89, citate dalla sentenza impugnata, che avevano, entrambe, ad oggetto non una procedura fallimentare bensì procedure che disciplinavano l’amministrazione straordinaria delle grandi aziende in crisi).
3.2. Con riguardo al diritto interno e alla giurisprudenza di questa Corte, è stato recentemente sottolineato (cfr. Cass. n. 10414 del 2020), con riguardo alle garanzie da assicurare ai lavoratori di aziende in crisi, che della L. n. 428 del 1990, art. 47, contiene una diversità di disciplina, ai fini dell’applicazione o meno dell’art. 2112 c.c., tra procedure che presuppongono la cessazione dell’attività d’impresa o, comunque, la sua non continuazione (di cui del medesimo art. 47, comma 5) e n. procedure non liquidative (di cui dell’art. 47, comma 4-bis, inserito dal D.L. n. 135 del 2009, art. 19, conv. in L. n. 166 del 2009" al fine di dare esecuzione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee giugno 2009 nella causa C-561/07) e si è rilevata la simmetria con le deroghe consentite, rispettivamente, dal paragrafo 1 e dal paragrafo 2 dell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE.
Invero, si è affermato che il legislatore ha inteso limitare ai soli casi di procedure concorsuali liquidative nel corso delle quali non sia stata disposta o sia cessata l’attività (ossia all’ipotesi dell’art. 47, comma 5, a differenza della L. n. 428 del 1990, comma 4 bis) la deroga al generale principio della continuità dei rapporti di lavoro di tutti i dipendenti addetti all’azienda trasferita.
E’ stato, inoltre, ritenuto conforme al diritto comunitario l’inclusione, nell’ambito della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, del concordato preventivo) ove sia accertata l’impossibilità della continuazione dell’attività, in quanto in tal e caso la procedura riveste necessariamente un fine liquidatorio, con la conseguente possibilità della disapplicazione dell’art. 2112 c.c., nei confronti dei lavoratori con i quali sia proseguito il rapporto di lavoro con la società cessionaria (cfr. Cass. n. 31946 del 2019).
3.3. In coerenza con la normativa di fonte comunitaria e di diritto interno, anche, come interpretata, nei rispettivi ambiti, dalla Corte di Giustizia Europea e da questa Corte, le procedure fallimentari concernenti le imprese cedenti rientrano pienamente (ed anzi prioritariamente) nel campo di applicazione della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5 (e, corrispondentemente, nel paragrafo 1 dell’art., 5, della Direttiva 2001/23/CE) essendo ontologicamente ed esclusivamente preordinate alla liquidazione della società dichiarata fallita, rappresentando – eventuali segmenti di prosecuzione dell’attività imprenditoriale, quali l’affitto o la vendita del ramo di azienda – solamente strumenti orientati ad una funzione liquidatoria, finalizzati a conservare il valore di avviamento sul mercato per incrementare il più possibile il compendio aziendale per la distribuzione ai creditori. Nell’ambito della procedura fallimentare, invero, là eventuale continuazione dell’impresa non è più nella sua piena, esplicazione ed e’, comunque, sempre finalizzata alla esclusiva liquidazione dei beni.
Le procedure fallimentari sono, invero, espressamente richiamate nel paragrafo 1 del comma 5 della Direttiva 2001/23/CE e soddisfano ontologicamente tutti e tre i requisiti ribaditi dalla Giurisprudenza comunitaria come innanzi illustrati (ossia, l’impresa cedente sia oggetto di una procedura fallimentare – o di una procedura d’insolvenza analoga -, la procedura sia stata aperta al fine di liquidare i beni del cedente, la procedura si svolga sotto il controllo di un’autorità pubblica competente); non vi, e’, dunque, alcun bisogno di verificarne la ricorrenza, come può, invece, accadere, per i casi di amministrazione straordinaria o di concordato preventivo ove può mancare il fine liquidatorio potendo essere orientato, il piano predisposto dal giudice, o alla soddisfazione dei creditori attraverso la continuità aziendale ovvero alla liquidazione del patrimonio.
Il testo del comma 5 della L. n. 428 del 1990, art. 47; interpretato conformemente alla norma comunitaria di cui reca, attuazione nonché alla giurisprudenza della Corte di giustizia Europea, consente pianamente di includere tutte le procedure fallimentari nell’ambito delle imprese che possono disapplicare l’art. 2112 c.c..
La disposizione normativa recita: “5. Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante”.
In simmetria con il paragrafo 1 dell’art. 5 della Direttiva comunitaria 2001/23/CE, il suddetto comma 5 consente solamente alle procedure aventi finalità liquidatorie del patrimonio la possibilità di disapplicare l’art. 2112 c.c., è quindi nelle ipotesi di dichiarazione di fallimento (ontologicamente volta alla liquidazione del patrimonio aziendale al fine di soddisfare i creditori) e di “procedure di insolvenza analoghe” (par. 1 Direttiva) individuate, dal legislatore nazionale, in quelle di “omologazione, di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata”, ove la precisazione della continuazione dell’attività in tali casi si impone – per rispetto del dettato comunitario, da interpretarsi in senso restrittivo (CGUE 22.6.2017, citata) – perché, a differenza del fallimento, si tratta di procedure che, per loro natura, possono essere finalizzate (a seconda delle situazioni in cui versa l’impresa) alla liquidazione del patrimonio ovvero al risanamento mediante ristrutturazione.
La conferma della correttezza di tale interpretazione è fornita della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis, lett. b bis, che, nell’ambito delle ipotesi in relazione alle quali sono consentite deroghe all’art. 2112 c.c. (deroghe di portata più ristretta rispetto a quelle consentite nei casi previsti dal successivo comma, 5; cfr., sul punto, Cass. n. 10414 del 2020, citata), include “l’amministrazione straordinaria, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività”.
Quindi, nel contesto dell’art. 47, comma 5, in caso di trasferimento di imprese o parti di imprese il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso, il principio generale è (per i lavoratori trasferiti alle dipendenze del cessionario) l’esclusione delle tutele di cui all’art. 2112 c.c., salvo che l’accordo preveda condizioni di miglior favore (la regola è dunque l’inapplicabilità, salvo deroghe); diversamente, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente che non abbiano come finalità la liquidazione dei beni il comma 4-bis prevede, come regola, l’applicazione dell’art. 2112 c.c., e, dunque, l’accordo con le organizzazioni sindacali non consente di incidere sulla continuità del rapporto di lavoro ma può riguardare esclusivamente le “condizioni di lavoro”, nel contesto di un rapporto di lavoro comunque trasferito.
Deve ritenersi, dunque, che, a fronte di espressioni che possono apparire sintatticamente equivoche, deve essere privilegiato il significato conforme al diritto dell’Unione e alla interpretazione che dello stesso fornisce la CGUE, che, peraltro, nel caso di specie è anche più coerente con l’interpretazione logico-sistematica e con la voluntas legis.
4. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, venendo risolta una questione di diritto di particolare importanza, in funzione nomofilattica va enunciato seguente principio di diritto:
“Nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, ai fini dell’operatività degli effetti previsti dalla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5 (esclusione dei lavoratori eccedentari dal passaggio presso il cessionario), in caso di trasferimento di imprese o parti di imprese il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare non accorre il requisito della cessazione dell’attività di impresa, di essa costitutivo, da riferire esclusivamente alla procedura di amministrazione straordinaria”.
5. In conclusione, il ricorso va accolto (con riguardo al controricorrente B.M.), la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino, diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese, del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara cessata la materia del contendere tra AMAG Mobilità s.p.a., Fallimento ***** e D.R. e compensa tra le parti le spese di lite. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello, di Torino, in diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021