LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19546/2019 proposto da:
O.E., rappresentata e difesa dall’Avvocato ROBERTO MAIORANA, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 1000/2019 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 26/4/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 9/3/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che O.E., nata in *****, aveva proposto nei confronti dell’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dalla stessa.
O.E., con ricorso notificato il 25/6/2019, ha chiesto la cassazione della sentenza.
Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria limitandosi ad affermare la mancanza dei relativi presupposti omettendo, tuttavia, di citare le fonti informative sulla situazione politica, economica e sociale della Nigeria che avrebbe dovuto consultare e valutare.
2.1. Il motivo è fondato. Questa Corte, in effetti, ha più volte affermato (cfr. le ordinanze n. 13449 del 2019, n. 13450 del 2019, n. 13451 del 2019, n. 13452 del 2019) che il giudice di merito, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte in concreto utilizzata nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione.
2.2. La decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti. La corte d’appello, invero, ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta dalla richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e cioè per la sussistenza nel suo Paese d’origine di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona, sul rilievo che in Nigeria ed, in particolare, nella zona da cui proviene la richiedente, non è ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata determinata da conflitto armato.
2.3. Ora, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), una volta che il richiedente abbia allegato (com’e’ rimasto incontestato nel caso in esame), i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019 la quale ha cassato con rinvio la decisione di merito ritenendo che il mero riferimento a “fonti internazionali” non fosse sufficiente ad escludere che la situazione di rischio generalizzato e di conflitto riguardasse zone diverse dal distretto di provenienza del richiedente).
2.4. Il giudice di merito, in effetti, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, ha il dovere di procedere a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, in motiv.), e non può, dunque, limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 9231 del 2020).
3. La sentenza impugnata, invece, si è limitata ad affermare che in Nigeria non sussiste una situazione di pericolo generalizzato ma non ha indicato, con la dovuta precisione, le fonti informative che, a tal fine, ha eventualmente consultato, esponendosi, così, alle censure della ricorrente.
4. Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando l’omesso ed errato esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale e l’omessa valutazione delle allegazioni di parte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha negato ogni rilevanza alla condizione di omosessualità della richiedente sul rilievo che la stessa aveva intrattenuto solo una relazione fugace trascurando, così, di considerare il rischio che la richiedente, per effetto della scoperta di tale relazione, potesse subire atti persecutori nel suo Paese d’origine.
5.1. Il motivo è fondato. Come questa Corte ha già rilevato, ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza è di per sé rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta, con la conseguente necessità di acquisire le prove necessarie per accertare, oltre alla dedotta omosessualità del richiedente, anche la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale (cfr. Cass. n. 25885 del 2019; Cass. n. 11172 del 2020). Qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come reato, in effetti, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo, ciò che impone al giudice la verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del Paese di provenienza dello straniero (Cass. n. 26969 del 2018). Più in particolare, è doveroso accertare se lo Stato di provenienza non possa o non voglia offrire adeguata protezione alla persona omosessuale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c) e dunque se, considerata la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, in relazione a quanto previsto dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 8, lett. d), la minaccia grave ed individuale alla propria vita o alla persona e dunque l’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psicofisica la propria condizione personale (Cass. n. 11172 del 2020).
5.2. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 25/1/2018 C-473/16), alla luce dell’art. 13, par. 3, lettera a), della Direttiva 2005/85 e dell’art. 15 par. 3, lettera a), della Direttiva 2013/32, ha, del resto, evidenziato che, in relazione all’omosessualità, le dichiarazioni del richiedente asilo sul proprio orientamento sessuale devono essere raccolte da un intervistatore competente e valutate dal giudice secondo i criteri procedimentali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comparate con COI aggiornate e pertinenti, e possono essere sufficienti da sole a dimostrare l’appartenenza al gruppo sociale a rischio persecutorio, ovvero la circostanza che nel paese d’origine il soggetto è stato percepito come tale. Il giudicante, evitando indebite invasioni nella vita privata (ad es. interrogatori sui dettagli delle pratiche sessuali, produzione di foto e video) e non lasciandosi condizionare da stereotipi (ad es. essere o non essere iscritti ad una associazione LGBT), deve accertare la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, e valutare quindi se questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, reale o percepito, atti persecutori e minacce gravi ed individuali alla propria vita o alla persona e dunque sia nell’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica (Cass. n. 11176 del 2019; Cass. n. 9815 del 2020).
5.3. La sentenza impugnata, lì dove ha ritenuto irrilevante l’orientamento sessuale addotto dalla richiedente sul rilievo che quest’ultima, dopo aver ammesso di aver intrattenuto in Nigeria “una fugace esperienza omossessuale”, aveva, poi, affermato che tale orientamento non corrispondeva “più al suo intimo sentire” e che, dunque, pur a fronte di un orientamento sessuale astrattamente idoneo, come quello omosessuale, a costituire ragione di persecuzione perché “non tollerato in Patria”, non v’era motivo di temere “il ripetersi in futuro di occasioni persecutorie per quella specifica ragione, né di temere la persecuzione a posteriori di vicende ormai lontane nel tempo verosimilmente obliterate e di nessuna rilevanza sociale”, si è posta, evidentemente, in contrasto con i principi esposti. La corte territoriale, infatti, non ha adeguatamente valutato se la richiedente, in caso di rientro nel Paese di origine, possa subire, in ragione della sua condizione, ove veritiera alla luce dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 3, comma 5 (ancorché, in ipotesi, non più corrispondente alla “suo intimo sentire”), atti di persecuzione o trattamenti degradanti.
6. Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 10 Cost., nonché l’omesso esame delle fonti informative, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di consultare ed indicare eventuali fonti informative utilizzate, aggiornate al momento della decisione, erroneamente negando la sussistenza di un clima di violenza indiscriminata, che invece risulta attestata dalle fonti internazionali.
7. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, il difetto di motivazione ed il travisamento dei fatti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con una motivazione apodittica e pressoché apparente, ha negato la protezione sussidiaria senza, tuttavia, attivare i suoi poteri istruttori in ordine alle condizioni del paese di origine della richiedente.
8. Con il quinto motivo, la ricorrente, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché dell’art. 10 Cost., e l’omessa valutazione della condizione di omosessuale della ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha tenuto conto della condizione di omosessualità della ricorrente in relazione al contesto di degrado, povertà e mancata protezione dei diritti fondamentali riguardo alla garanzia di un livello di vita accettabile e dignitoso, che caratterizza la Nigeria, ove detto orientamento sessuale è peraltro punito penalmente.
9. Con il sesto motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998 e l’omessa valutazione dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria, sopravvenuti rispetto alla proposizione della domanda, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il grado d’integrazione sociale non costituisca elemento valutabile, in contrasto con il dato normativo e con i più recenti orientamenti di legittimità.
10. Gli ultimi quattro motivi, nella misura in cui non trattano censure già proposte nei primi due, restano assorbiti.
11. Il ricorso dev’essere, quindi, acconto, e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Firenze la quale, in diversa composizione, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.
PQM
La Corte così provvede: accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021