LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –
Dott. ACIERNO Maria – Presidente di sez. –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19638-2020 proposto da:
STABILIMENTO BALNEARE TIRRENO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SANTI APOSTOLI 66, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CELLAMARE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO ZUNARELLI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI FIUMICINO, REGIONE LAZIO, AGENZIA DEL DEMANIO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7592/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 06/11/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2021 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto Dott. SALVATO Luigi, il quale chiede che la Corte dichiari il ricorso inammissibile.
FATTI DI CAUSA
1. Lo Stabilimento balneare Tirreno s.r.l., titolare di concessione demaniale marittima nel Comune di *****, impugnò davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la Det. Dirig. 5 febbraio 2018, n. 17298, con la quale l’Amministrazione comunale di Fiumicino aveva rigettato la sua domanda di riduzione del canone di concessione nella misura del 50 per cento, ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 03 convertito, con modifiche, nella L. 4 dicembre 1993, n. 494, e ulteriormente modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, dall’art. 1, comma 296.
Il TAR rigettò il ricorso.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto appello la società ricorrente e il Consiglio di Stato, con sentenza del 6 novembre 2019, ha rigettato l’appello, con compensazione delle spese.
Ha osservato il Giudice amministrativo che, a norma del citato art. 03, i canoni delle concessioni demaniali marittime aventi ad oggetto aree e specchi d’acqua sono ridotti del 50 per cento “in presenza di eventi dannosi di eccezionale gravità che comportino una minore utilizzazione dei beni oggetto della concessione, previo accertamento da parte delle competenti autorità marittime di zona”. La sentenza di primo grado – recependo e facendo proprio il parere dell’Agenzia del demanio, già recepito dal Comune di Fiumicino, benché in un primo tempo esso avesse fornito un’interpretazione diversa, favorevole alla parte ricorrente – aveva ritenuto che la norma non potesse trovare applicazione nella specie, perché il fenomeno di erosione era da considerare ordinario, siccome in corso già da dieci anni.
Tale valutazione è stata condivisa dal Consiglio di Stato, il quale ha confermato che l’applicazione della norma suindicata presuppone, appunto, un evento dannoso di eccezionale gravità; criterio che distingue il D.L. n. 400 del 1993, art. 03 dall’art. 45 c.n., che collega la riduzione del canone di concessione ad un criterio proporzionale, “rapportato agli effettivi metri quadrati sottratti dall’utilizzo da parte del concessionario”. L’art. 03 cit., quindi, non potrebbe trovare applicazione in relazione ad un fenomeno, come quello erosivo, che ha una sua connotazione fisiologica; né la valutazione dell’Amministrazione sul punto è apparsa al Consiglio di Stato illogica o contraria al dettato della legge.
La sentenza d’appello ha concluso nel senso che la riduzione del canone nella misura richiesta “presuppone un’ufficiale attività di verificazione da parte del Comune dell’eventuale correlazione tra l’evento dannoso (il fenomeno erosivo) e la minore utilizzabilità del bene in concessione, che, nella specie, non risulta essere stata posta in essere, non essendo a ciò sufficienti mere perizie di parte”.
3. Contro la sentenza del Consiglio di Stato propone ricorso lo Stabilimento balneare Tirreno s.r.l., con atto affidato a due motivi e affiancato da memoria.
Il Comune di Fiumicino e l’Agenzia del demanio non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, violazione degli artt. 103 e 111 Cost., dell’art. 362 c.p.c., dell’art. 110c.p.a. e del D.L. n. 400 del 1993, art. 03" nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 45 c.n. e della L. n. 241 del 1990, art. 3 oltre ad abnormità della decisione.
Sostiene la società ricorrente che il Consiglio di Stato, senza un’apparente motivazione, avrebbe interpretato il testo dell’art. 03 cit., confrontandolo con l’art. 45 c.n., in modo da compiere una sostanziale soppressione della prima disposizione, tale per cui detto art. 03 non sarebbe mai applicabile “in presenza di una conclamata e fisiologica erosione della costa”. Il Consiglio di Stato, in altri termini, avrebbe creato una norma ex novo, in modo da fissare un criterio più stringente per l’accesso alla riduzione d& canone stabilito dalla legge, pronunciando in questo modo “un siliogismo sbagliato nelle sue minime premesse”. Di qui l’invasione della sfera del legislatore attraverso la creazione di una norma inesistente. La sentenza impugnata, inoltre, non avrebbe tenuto conto del concreto svolgimento del procedimento amministrativo, nel quale il Comandante della Capitaneria di porto di Roma e la stessa Agenzia del demanio, che partecipava al tavolo tecnico, avevano dato atto dell’eccezionalità del fenomeno erosivo della spiaggia conseguente alle mareggiate, per cui il diritto alla riduzione del canone avrebbe dovuto essere riconosciuto. Errata sarebbe, poi, l’interpretazione dell’art. 03 cit. e dell’art. 45 cit.; mentre quest’ultimo, infatti, presuppone “una stabile e durevole riduzione della concessione, se non la sua estinzione”, il D.L. n. 400 del 1993, art. 03 consente al titolare della concessione di decidere se continuare a fruirne ad un canone dimezzato o meno, in tal modo dando luogo ad un fenomeno che di per sé non è irreversibile. Il provvedimento amministrativo impugnato, infine, sarebbe caratterizzato da assenza di motivazione.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui al motivo precedente, lamentando eccesso di potere del Consiglio di Stato che, secondo la società ricorrente, avrebbe invaso il territorio di competenza della discrezionalità amministrativa, compiendo “una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, sostituendo di fatto la propria volontà a quella dell’Amministrazione competente”.
La sentenza impugnata, osserva la parte ricorrente, avrebbe trascurato che il Comune di Fiumicino si era già espresso in senso favorevole e che il Consiglio di Stato non avrebbe fornito alcuna spiegazione delle ragioni per cui c’era poi stato un evidente capovolgimento di prospettiva che aveva condotto al rigetto del ricorso.
3. I motivi di ricorso sono entrambi inammissibili, con le specificazioni che seguono.
3.1. Inammissibile è il primo motivo, nel quale si prospetta, in sostanza, un eccesso di potere giurisdizionale per avere il giudice amministrativo asseritamente invaso la sfera della discrezionalità del legislatore, creando una norma inesistente.
Come queste Sezioni Unite hanno qià affermato, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errores in iudicando o in procedendo, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale (sentenza 4 dicembre 2020, n. 27770, confermata dalla recentissima sentenza 7 luglio 2021, n. 19244, secondo cui l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete).
Nel caso di specie, al contrario, il Consiglio di Stato non ha creato, come vorrebbe la società ricorrente, una norma inesistente, ma ha svolto un’attività di interpretazione e ricostruzione sistematica delle disposizioni vigenti, pervenendo alla conclusione secondo cui non poteva essere invocato il diritto alla riduzione del 50 per cento del canone previsto dal D.L. n. 400 del 1993, art. 03 convertito con modifiche dalla L. n. 494 del 1993, art. 1, comma 1. Tale norma, infatti, riconduce il diritto suindicato all’accertata presenza di “eventi dannosi di eccezionale gravità che comportino una minore utilizzazione dei beni oggetto della concessione, previo accertamento da parte delle competenti autorità marittime di zona”.
Il Consiglio di Stato, confermando la valutazione del giudice di primo grado, ha ritenuto che tale situazione in fatto non fosse esistente e ha ravvisato nella “eccezionale gravità” dell’evento dannoso il criterio distintivo tra la norma citata e l’art. 45 c.n., escludendo quindi l’applicazione del D.L. n. 400 del 1993, art. 03 in presenza di un fenomeno di erosione che è stato valutato come “fisiologico nel contesto territoriale di riferimento”.
Questa valutazione, come ha lucidamente osservato il Procuratore generale nelle sue conclusioni per iscritto, “in tesi potrebbe essere erronea”; ma tale erroneità, ove pure esistente, costituirebbe un error in iudicando “concernente altresì l’apprezzamento della fattispecie concreta che, in quanto tale, non trasmoda nell’eccesso di potere”. Quanto al fatto che la valutazione dell’Agenzia del demanio, poi recepita dai giudici amministrativi, sarebbe contraddittoria rispetto alla pregressa valutazione della stessa Amministrazione, secondo cui il fenomeno erosivo era eccezionale, le Sezioni Unite osservano trattarsi di un profilo di merito che certamente esula dai confini del sindacato previsto avverso le sentenze dei giudici amministrativi.
3.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, che prospetta un eccesso di potere per violazione del limite della discrezionalità amministrativa.
Rileva il Collegio che – fermo restando quanto si è detto a proposito del primo motivo – l’eccesso di potere giurisdizionale consistente nello sconfinamento nella sfera del merito si ha quando il giudice amministrativo compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto, oppure quando la sentenza dimostri la volontà del giudice di sostituire la propria valutazione a quella dell’Amministrazione procedente.
Ciò premesso, si osserva che la costante giurisprudenza di questa Corte ha da tempo stabilito che, poiché la pronuncia di rigetto del giudice amministrativo si esaurisce nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce all’atto amministrativo (conservando l’autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, eccetto la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice), non è ipotizzabile in tale tipo di pronuncia uno sconfinamento nella sfera del merito e quindi della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (v. la sentenza 9 novembre 2001, n. 13927, ribadita, tra le altre, dalle ordinanze 17 dicembre 2018, n. 32619, 13 marzo 2019, n. 7207, e 7 maggio 2021, n. 12152).
D’altra parte, la sentenza impugnata non ha neppure adottato una motivazione diversa da quella della P.A., essendosi limitata a ritenere incensurabili le valutazioni dell’Agenzia del demanio; per cui, come correttamente osservato dal Procuratore generale, è esclusa ogni ipotesi di sconfinamento, rimanendo eventuali errori di apprezzamento dei dati processuali circoscritti nell’ambito degli errores in iudicando.
4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quelli versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021