Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24846 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Esnestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25667/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.A., titolare dell’azienda agrituristica “Antiqua Tempora di G.A.”, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Stiscia, elettivamente domiciliata presso lo studio del Rag. Vincenzo Castellano in Roma viale Regina Margherita n. 176/B/2, giusta mandato a margine del ricorso;

-controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 228/2012, depositata il 22 marzo 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco.

FATTI DI CAUSA

G.A., titolare dell’Azienda agrituristica indicata in epigrafe, impugnava in primo grado l’avviso di accertamento n. ***** emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di Avellino, con cui venivano recuperate a tassazione maggiori imposte (Iva, Irpef, Irap) per l’anno di imposta 2005, per indebita detrazione di costi e omessa contabilizzazione di ricavi. L’accertamento si fondava sul calcolo della farina acquistata e fatturata, da cui veniva detratto il quantitativo utilizzato per la preparazione di pane, pizza, dolci, taralli. Il rimanente si presumeva utilizzato per la preparazione di primi piatti sulla base di 200 grammi a piatto. Emergeva così il dato di 6.553 piatti ottenuti, di cui 4.585 non fatturati (corrispettivo stimato Euro 13,82 per ciascun menù).

La Commissione tributaria provinciale di Avellino accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente, confermando l’accertamento solo per i costi indebitamente detratti ed annullandolo per il resto, spese compensate (sentenza n. 319/01/10 del 24.9.2010). Appellava l’Agenzia delle entrate, e la contribuente proponeva appello incidentale sulla compensazione delle spese.

La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio, determinando i maggiori ricavi tassabili in Euro 4.120,8, e rigettava l’appello incidentale della contribuente. La sentenza ricalcola, riducendolo, il quantitativo di farina acquistato ed il numero di piatti ricavabili e riduce anche ad Euro 3,40 il corrispettivo per ciascun piatto.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, e chiede annullarsi la sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

La contribuente resiste con controricorso e chiede rigettarsi il ricorso avverso, con ogni consequenziale statuizione, anche in ordine alle spese di lite. Deposita inoltre memoria con cui illustra ulteriormente i motivi del controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso denunzia il vizio di motivazione insufficiente ed illogica su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1, perché la sentenza impugnata, pur ritenendo corretto il metodo utilizzato per l’accertamento, ha effettuato una rideterminazione dei quantitativi in maniera indimostrata, senza specificare in alcun modo i motivi per cui non ha ritenuto validi i conteggi analiticamente effettuati dagli accertatori e riportati in atti.

2.- Il secondo motivo di ricorso denunzia vizio di ultrapetizione perché la contribuente non aveva censurato in giudizio il calcolo mediante cui era stato determinato in Euro 13,84 per ogni piatto di pasta il valore del fatturato evaso.

3.- Il primo motivo di ricorso è fondato. In tema di insufficiente motivazione, infatti, questa Corte ha ribadito costantemente che “ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa” (Cass. n. 1236/2006 – Cass. n. 15964/2016).

3.1- Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha determinato apoditticamente in kg. 1.617 la quantità di farina acquistata precisando “né i 1405 denunciati dalla parte né le 2180 accertate dall’Agenzia delle entrate”. Non specifica però in base a quale calcolo sia giunta a questa conclusione, omissione ancora più rilevante a fronte del conteggio analitico depositato dall’Agenzia delle entrate, che viene disatteso senza però indicarne le ragioni. La questione assume importanza decisiva nella fattispecie, perché la sentenza riconosce la correttezza del metodo di accertamento utilizzato, che indica come dividendo proprio la quantità complessiva di farina acquistata. Pertanto la sentenza non adempie esaurientemente alli obbligo motivazionale sul punto, (trova applicazione ratione temporis il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anteriore alla modifica intervenuta con il D.L. 22 giugno 2012 n. 83); consegue la decisione di cassazione con rinvio.

4.- Il secondo motivo di ricorso è infondato. Infatti è consolidato il principio per cui ricorre il vizio di ultrapetizione quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (cfr. Cass., ord., 13 novembre 2018, n. 29200; Cass., ord., 10 maggio 2018, n. 11304).

4.1- Nel caso in esame, la contribuente ha impugnato in toto l’accertamento, contestando sia la quantità di farina acquistata, sia “la ricostruzione dei redditi di impresa, sulla base dei menù somministrati dall’azienda e sul valore degli stessi”, come precisato dalla stessa sentenza impugnata. Pertanto la decisione del giudice a quo sul punto appare rispettosa del principio di diritto di cui al punto che precede.

5.- In conclusione, per le ragioni esposte, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, ed il secondo rigettato; consegue la cassazione della sentenza, nei limiti di cui sopra, con rinvio al giudice a quo, che dovrà rinnovare la valutazione in fatto, e cui si ritiene opportuno delegare anche il regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia per un nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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