Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24851 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Esnestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7001/2014 R.G. proposto da:

Gelateria Imperiale di R.P. & C. s.n.c.;

P.R.;

rappresentati e difesi dagli Avvocati Andrea Radice e Michele Vincelli, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, via Filippo Corridoni n 19, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 127/66/13, depositata il 1 agosto 2013.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco nella camera di consiglio del 6 marzo 2020.

RILEVATO

CHE:

1.1- La Gelateria Imperiale di P.R. & C. s.n.c. e P.R. in proprio ricorrono per cassazione, con quattro motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 127/66/13 depositata il 1 agosto 2013 che ha rigettato l’appello da essi proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 103/5/11 depositata il 14.10.2011, che aveva rigettato i ricorsi separatamente proposti avverso gli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti dall’Agenzia delle entrate di Brescia per maggiori imposte relativamente all’anno di imposta 2005 (Irpef, Iva e Irap). I ricorrenti chiedono cassarsi la decisione della Commissione tributaria regionale, con ogni conseguente provvedimento.

1.2- La sentenza impugnata rileva: -) la proposizione come motivi di appello delle medesime doglianze mosse in primo grado e non condivise dai primi giudici; -) la legittimità del metodo di accertamento utilizzato dall’Ente impositore, in conformità al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; -) l’inattendibilità della contabilità aziendale, che aveva registrato un incasso di Euro 99.704,71 nella sola giornata del 31 dicembre 2005.

1.3- L’Agenzia delle entrate si costituisce in giudizio con controricorso e chiede rigettarsi il ricorso perché inammissibile e/o infondato.

1.4- I ricorrenti depositano memoria ex art. 378 c.p.c. con cui illustrano ulteriormente i motivi di ricorso proposti; osservano che il reddito tassato non è stato accertato, ma letteralmente “inventato” dall’Amministrazione finanziaria e riportano giurisprudenza della Corte sul vizio di omessa motivazione.

CONSIDERATO

CHE:

2.- Il primo motivo di ricorso denunzia la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4: vizio di assoluta omissione della concisa esposizione dello svolgimento del processo.

2.1- L’Agenzia delle entrate contrasta questo motivo di ricorso, rilevandone l’infondatezza in fatto (perché a suo dire non sussiste l’omissione lamentata ex adverso) e in diritto (richiamando le sentenze di questa Corte n. 6683 del 19 marzo 2009, 22845 del 10 novembre 2010 ed altre più risalenti).

3.- Il secondo motivo denunzia la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in relazione alt’ art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4: vizio di assoluta assenza di motivazione. Richiama a sostegno precedenti sentenze di questa Corte (n. 2711/90, n. 3636/2007 ed altre più risalenti).

3.1- L’Agenzia delle entrate osserva, in contrario, che il motivo è inammissibile perché attinente al merito e non alla legittimità, e comunque infondato.

4- Il terzo motivo di ricorso denunzia la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4: vizio di omesso esame delle censure dedotte dal contribuente nel giudizio di appello.

4.1- L’Agenzia delle entrate oppone che trattasi di censura di merito, inammissibile in questa sede, e riporta giurisprudenza di questa Corte sulla valenza dimostrativa della chiusura del conto di cassa (n. 11988 del 31 maggio 2011) e sul riparto dell’onere della prova (n. 3580/2009).

5.- Il quarto motivo di ricorso denunzia la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1974, art. 39, comma 2: vizio di congruità e coerenza della motivazione, perché le argomentazioni difensive e le prove offerte non avrebbero costituito oggetto di valutazione da parte del giudice di secondo grado.

5.1- L’Agenzia delle entrate eccepisce, in contrario, l’inammissibilità del motivo perché diretto a censurare una valutazione di merito.

6.- I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, dato che tutti lamentano, apparentemente sotto diversi aspetti, vizi della sentenza impugnata riconducibili tutti alla fragilità dell’apparato motivazionale, che avrebbe omesso di valutare gli argomenti e gli elementi di prova forniti dai ricorrenti.

6.1- E’ preliminare la valutazione di ammissibilità del ricorso, che risulta sfavorevole ai ricorrenti, i quali, sotto l’aspetto del vizio di nullità e/o di motivazione, contrastano in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, e mirano ad una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, inammissibile in sede di legittimità.

6.2- In disparte la censura di inammissibilità del ricorso, comunque, con riferimento alla sua fondatezza è opportuno premettere che il vizio di motivazione rilevante come motivo di cassazione è stato oggetto di un considerevole ridimensionamento a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis al ricorso qui in esame). La norma “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053). Quanto poi alla c.d. “motivazione apparente” che costituisce il vizio invocato dalle parti con maggiore frequenza statistica, esso trova un’ applicazione limitata ai casi in cui “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).

6.3- Tanto premesso, rileva la Corte che la sentenza impugnata indica, sia pure in maniera succinta, qual è l’oggetto del contendere (avviso di accertamento anno 2005), quale l’esito del giudizio di primo grado (rigetto del ricorso), quali le richieste formulate nel giudizio di appello (integrale riforma della sentenza di primo grado). La sentenza non può dirsi pertanto che non contenga una concisa esposizione dello svolgimento del processo, requisito per altro che va inteso nel senso di minimo necessario per consentire l’intellegibilità della decisione (Cass. 20/01/2015, n. 920 del 20/01/2015).

6.4- Per quanto attiene, poi, al contenuto decisorio della sentenza impugnata, osserva la Corte che la motivazione, ancorché succinta, non può ritenersi inesistente o meramente apparente, come lamentano i ricorrenti, sotto diversi aspetti, con i motivi di ricorso proposti. Essa infatti, dopo aver rilevato che con l’appello sono state riproposte le medesime doglianze esposte in prima istanza e non condivise dai primi giudici e che nessun nuovo elemento è stato portato a giustificazione dei rilievi contestati, ritiene legittimo il metodo di accertamento utilizzato e privo di giustificazione il movimento di cassa registrato il 31 dicembre 2005. Risultano pertanto illustrati i motivi di merito che hanno determinato la decisione, dopo aver valutato, ritenendole infondate, le questioni proposte dagli appellanti.

6.5- La mancanza di una specifica motivazione in ordine a tutte le argomentazioni ed a tutte le prove indicate dalla parte soccombente non costituisce vizio di nullità né vizio di motivazione rilevabile in cassazione. Infatti, “secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (Cass. 23 gennaio 2020 n. 2153; cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583)”.

7- In conclusione, pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali, come appresso liquidate, seguono alla soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600 (cinquemila seicento) complessive; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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