Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24868 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7196-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE NATOLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1803/2014 della COMM.TRIB.REG.PUGLIA SEZ.DIST.

di LECCE, depositata il 15/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

RITENUTO

che:

Il contribuente B.A. impugnava due avvisi di accertamento con i quali veniva determinato maggior reddito, con metodo sintetico, rispettivamente per l’anno 2003 e 2004, sulla base del possesso di un’autovettura ed un motociclo e di spese per incrementi patrimoniali, rappresentati dall’acquisto di un fabbricato e di un’autovettura.

Deduceva, in particolare, la mancanza di contraddittorio nella determinazione del maggior reddito e la mancanza di motivazione degli avvisi.

La CTP di Brindisi accoglieva entrambi i ricorsi per mancanza di motivazione degli avvisi in merito alla ritenuta non congruità del reddito dichiarato.

L’ufficio proponeva appelli contro entrambe le sentenze e la CTR della Puglia, previa riunione, li dichiarava inammissibili per mancanza di specificità, ritenendo che gli stessi non fossero centrati sulla decisione di primo grado in merito alla mancanza di motivazione sui presupposti dell’accertamento sintetico, ma riproponessero le stesse argomentazioni del giudizio di primo grado.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre l’ufficio sulla base di due motivi.

Resiste il contribuente con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 53, e artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La CTR avrebbe errato nel ritenere che gli appelli dell’ufficio non contenessero motivi specifici di censura.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 60 del 1973, artt. 38 e 41, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR avrebbe errato nel non riconoscere i presupposti per l’accertamento sintetico.

Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.

La sentenza impugnata ritiene che l’appello dell’ufficio non abbia affrontato e contraddetto i punti della sentenza di primo grado.

A fronte delle conclusioni della sentenza di primo grado, secondo cui non era provato lo scostamento tra reddito dichiarato ed accertato per due periodi di imposta, con violazione del presupposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e la ripartizione degli incrementi nell’anno in cui sono stati affrontati e nei quattro precedenti, e secondo cui vi sarebbe stato anche difetto di motivazione sul calcolo della nuova pretesa, l’ufficio, secondo la sentenza di appello, avrebbe presentato un appello non focalizzato su questi aspetti della decisione.

Nel ricorso per cassazione l’ufficio sottolinea che nell’appello per entrambi gli anni aveva evidenziato che il reddito dichiarato di discostava da quello dell’anno accertato e dai due precedenti e che non vi era prova che la provvista per le spese provenisse dai genitori, che erano titolari di un reddito non elevato e non proporzionato per giustificarle.

Il ricorso riporta anche la sintesi del contenuto degli appelli in cui l’ufficio svolgeva la suddette censure.

Ora, ritiene il collegio che la soluzione adottata dalla CTR per definire la controversia sia eccessivamente rigorosa e formale, e questa Corte (sez. V, n. 707 del 2019, Rv. 652186-01) ha affermato che, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione.

Nel caso di specie, dal ricorso emerge, infatti, che negli atti di appello erano presenti censure precise attinenti al thema decidendum, tra l’altro anche rivolte specificamente alle sentenze di primo grado come quando, a proposito dell’appello contro la sentenza della CTP n. 14/01/10, l’ufficio riporta in ricorso di avere affermato “la Commissione Tributaria Provinciale ha emesso una decisione censurabile non solo per la mancata attenzione prestata alle deduzioni dell’ufficio ma altresì per la disattenzione dimostrata nei confronti delle sentenze emesse al riguardo dalla Suprema Corte….”, dimostrando così di voler, anche formalmente, indirizzare l’appello in maniera mirata contro le statuizioni della sentenza di primo grado.

Ancora, si è affermato (sez. V, ord. n. 15519 del 2020) che la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.

Ed, infine, si è ritenuto (sez. I, n. 2814 del 2016) che, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.

Nel caso di specie, se, come afferma la sentenza impugnata, i temi oggetto di causa, in virtù del ricorso del contribuente, riguardavano la motivazione degli avvisi e la ripartizione negli anni dell’incremento patrimoniale, nonché lo scostamento tra reddito accertato e dichiarato per più di due anni, le questioni proposte dall’ufficio negli atti d’appello attengono ad essi, e si risolvono, certamente implicitamente se non anche esplicitamente, in censure alla decisione impugnata.

Questione diversa e’, invece, la fondatezza dei motivi di appello, che dovrà essere valutata nel merito, ma la sentenza impugnata dichiara inammissibile il gravame per difetto di specificità, e quindi per un requisito formale, e sotto questo profilo la stessa deve essere annullata, con rinvio della causa alla CTR della Puglia per l’esame del merito della causa, nonché per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Puglia per il prosieguo, nonché per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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