Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24906 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 1161 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

AGRUMI – GEL S.r.l., (C.F.: *****), in persona dell’amministratore unico, legale rappresentante pro tempore, G.G., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Sebastiano Fazio, (C.F.: FZA SST 59R05 A638M);

– ricorrente –

nei confronti di:

GENERALI ITALIA S.p.A., (C.F.: *****), in persona dei rappresentanti per procura P.P. e Po.Ma.

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato Francesca d’Orsi (C.F.: DRS FNC 69L54 L6820);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Messina n. 804/2018, pubblicata in data 18 settembre 2018 (che si assume notificata in data 22 ottobre 2018);

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 3 marzo 2021 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

La Agrumi Gel S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti di Ina Assitalia Assicurazioni S.p.A. (nelle cui posizioni soggettive è

poi subentrata Generali Italia S.p.A.) per ottenere il pagamento dell’indennizzo relativo al furto di alcuni macchinari industriali che deteneva in leasing, sulla base di una polizza di assicurazione stipulata con la stessa.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.

La Corte di Appello di Messina ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre Agrumi Gel S.r.l., sulla base di tre motivi, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Resiste con controricorso Generali Italia S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Con il secondo motivo si denunzia “violazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ex art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti”.

Con il terzo motivo si denunzia “violazione art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa valutazione ed esame di tutti gli indizi ai fini di una valida prova presuntiva”.

I tre motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno ritenuto non sufficientemente provato l’evento stesso che avrebbe determinato il diritto all’indennizzo, cioè la rapina di cui sarebbe stato vittima l’autista dell’autocarro che stava trasportando i macchinari assicurati per consegnarli alla società attrice.

In particolare, per quanto emerge dagli atti, con l’atto di appello l’attrice aveva contestato la mancata ammissione delle prove per testi che aveva articolato, l’utilizzabilità di alcuni documenti prodotti dalla società assicuratrice convenuta, nonché l’erronea valutazione delle prove che avrebbero dimostrato la rapina subita.

La corte di appello ha ritenuto oggetto di preclusione il rigetto delle istanze istruttorie dell’attrice, in mancanza di una contestazione da questa operata sul punto in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, mentre ha ritenuto irrilevante la questione dell’utilizzabilità dei documenti prodotti dalla società convenuta, essendo stata la domanda rigettata per l’insufficienza della prova, a carico di parte attrice, della dedotta rapina.

Con riguardo a tali punti della sentenza di secondo grado il ricorso non contiene censure sufficientemente specifiche.

Le censure avanzate nel ricorso risultano in realtà avere ad oggetto, nella sostanza, la decisione sul terzo motivo dell’appello, relativo alla valutazione delle prove, il quale viene anche riprodotto integralmente nell’ambito del primo motivo di ricorso.

Secondo la società ricorrente, la corte di appello: non avrebbe fornito un’adeguata motivazione a sostegno delle ragioni per cui ha ritenuto non sufficiente la prova della rapina (primo motivo, erroneamente rubricato come violazione dell’art. 112 c.p.c., ma con il quale non si deduce in realtà una omessa pronuncia, bensì una omessa o apparente motivazione); non avrebbe adeguatamente preso in esame le prove prodotte a sostegno della domanda (secondo motivo); comunque, non avrebbe adeguatamente valutato, ai sensi dell’art. 2729 c.c., gli indizi emergenti da dette prove, che a suo dire dimostravano la sussistenza del diritto (terzo motivo).

Le esposte censure sono inammissibili e/o comunque manifestamente infondate.

Esse non colgono, in primo luogo, l’effettiva ratio decidendi della pronunzia impugnata (e sono pertanto inammissibili), nella parte in cui hanno ad oggetto la sussistenza del rapporto contrattuale, laddove la domanda è stata rigettata esclusivamente per difetto di prova della rapina.

Sono inammissibili anche nella parte in cui si contesta la valutazione delle prove, insindacabilmente operata dal giudice del merito, nonché nella parte in cui è denunziato un insussistente difetto di motivazione.

In ogni caso, nella decisione impugnata, con riguardo all’unica questione effettivamente rilevante ai fini della decisione, e cioè la sussistenza della prova della dedotta rapina dei macchinari assicurati, vengono presi in esame i fatti rilevanti emergenti dall’istruttoria e vengono valutate prudentemente le prove, sulla base di una motivazione non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

Tutte le censure di cui ai motivi del ricorso si risolvono dunque, in definitiva, nella contestazione di tali accertamenti, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 8.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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