LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6525/2016 proposto da:
TERMOIDRAULICA B. DI B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 79 H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NICOLETTA GABARDINI;
– ricorrente –
contro
VAR.COS S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 140, presso lo studio dell’avv. ANNA MARIA FERRETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. MASSIMO BERTON;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1330/2015 del TRIBUNALE di VARESE, depositata il 10/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;
letta la relazione del Procuratore Generale in persona del Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del primo motivo e l’accoglimento del secondo (previa verifica della procedibilità del ricorso).
RITENUTO
che:
– il Tribunale di Varese ha riformato la sentenza del Giudice di pace di Luino, il quale aveva accolto la domanda di pagamento avanzata da B.G. nei confronti di Var.Cos S.r.l. nell’ambito di un contratto d’appalto;
– il Tribunale ha riconosciuto che la sentenza era affetta da vizio di ultra-petizione;
– la domanda del B. aveva quale fatto costitutivo l’esistenza di un accordo fra le parti in causa, mentre il primo giudice aveva riconosciuto un diverso meccanismo di perfezionamento del contratto, in effetti concluso tramite un falsus procurator, individuato nell’impresa Failla, subappaltatore della Var.Cos;
-il Tribunale ha perciò ritenuto assorbiti gli altri motivi di gravame;
– per la cassazione della sentenza Termoidraulica ha proposto ricorso affidato a due motivi;
– il primo motivo denuncia nullità della sentenza di primo grado, in quanto motivata, verosimilmente per un improprio uso della tecnica del copia e incolla, con argomentazioni prive di attinenza con la fattispecie;
– il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.;
– il Giudice di pace aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto autonomo fra le parti in causa, presentando l’intervento del falsus procurator solo quale pura eventualità;
– Var.Cos. S.r.l. ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
– il ricorso è improcedibile per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata è stata notificata al difensore costituito “a mezzo PEC, ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 53 del 1994, in data 18.01.2016" (pag. 1 e pag. 14 del ricorso), non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione, avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello, come risulta dalla nota di deposito e come verificato dal Collegio tramite la consultazione dei fascicolo, senza però che sia stata versata in atti anche la relata di notifica, ed in particolare il messaggio di avvenuta ricezione con relativa attestazione di conformità;
– a tal fine va richiamato l’orientamento di questa Corte per il quale, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente della L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte (Cass. n. 24442/2017; Cass. n. 17450/2017; Cass. n. 6657/2017);
– trattasi peraltro di orientamento che è stato di recente ribadito da questa Sezione con l’ordinanza n. 30765/2017, che dando conto della necessità di contemperare i principi del processo telematico con le peculiarità del giudizio di cassazione, ha ribadito che se il destinatario della notifica del provvedimento impugnato intende proporre ricorso per cassazione, dovrà depositare nella cancelleria della Corte copia analogica del messaggio di posta elettronica ricevuto e dei relativi allegati, atto impugnato e relazione di notifica, e dovrà attestare la conformità di tali documenti cartacei agli originali digitali;
– nella controversia inoltre deve ritenersi che non possa spiegare efficacia quanto al rilievo dell’improcedibilità, quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019;
– infatti, tale decisione, riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, come nel caso in esame, ha avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2) che ai fini della procedibilità del ricorso si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio Pec con annesse ricevute, ancorché prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità del messaggi cartacei;
– la copia autentica della sentenza impugnata, con la relazione di notificazione, non è stata prodotta neanche dalla parte resistente (Cass., S.U., n. 10648/2017); né il ricorso risulta comunque tempestivo in rapporto alla data di pubblicazione della sentenza: questa infatti è stata pubblicata il 10 dicembre 2015, mentre il ricorso è stato notificato il 14 marzo 2016, decorsi oltre sessanta giorni dalla pubblicazione;
– non è quindi applicabile il principio secondo cui pur in difetto della produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima, prescritta dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza indicata nel ricorso e quella della notificazione del ricorso, emergente dalla relata di notificazione dello stesso, assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (Cass. n. 11386/2019; n. 17066/2013);
– è stato anche chiarito che il deposito deve avvenire entro il termine perentorio di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 21386/2917), essendo consentito al ricorrente, il quale abbia allegato l’avvenuta notificazione ma abbia poi prodotto la sola copia autentica della sentenza, di integrare la produzione in un secondo tempo ex art. 372 c.p.c. (applicabile estensivamente), “purché entro il termine, di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 15232/2008; n. 25070/2010; n. 1443/2015);
– si ricorda ancora per completezza di esame il principio, pacifico in materia, secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, quando la sentenza impugnata sia stata notificata e il ricorrente abbia depositato la sola copia autentica della stessa priva della relata di notifica, deve applicarsi la sanzione dell’improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, a nulla rilevando che il ricorso sia stato notificato nel termine breve decorrente dalla data di notificazione della sentenza, ponendosi la procedibilità come verifica preliminare rispetto alla stessa ammissibilità” (Cass. n. 21386/2017);
– discende dalle considerazioni che precedono l’improcedibilità del ricorso, con addebito di spese;
– ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.
PQM
dichiara improcedibile il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 1.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021