LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16593/2015 proposto da:
COMUNE DI CARRARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO IARIA, (STUDIO LEGALE LESSONA) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.S., L.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che le rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 537/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 23/12/2014 R.G.N. 448/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 537/2014, decidendo sull’impugnazione proposta dal Comune di Carrara nei confronti di L.A. e di G.S., in riforma della pronuncia di prime cure n. 128/2014 (relativa alla L.), dichiarava illegittimi i contratti a termine successivi al 6/10/2003, confermando nel resto detta pronuncia e confermava la sentenza n. 129/2014 (relativa alla G.).
2. Il Tribunale aveva ritenuto generico il richiamo per relationem alle determinazioni amministrative che avevano disposto le assunzioni a termine e, esclusa la conversione dei rapporti, aveva condannato il Comune al pagamento del risarcimento del danno quantificato in 20 mensilità, in applicazione traslata dei criteri di cui all’art. 18.
3. La Corte d’appello di Genova, respinta l’eccezione di decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, ed anche quella relativa al superamento di 270 giorni per l’impugnativa giudiziale, riteneva fondati i rilievi del Comune solo con riguardo alla posizione della L. ed ai rapporti di lavoro con quest’ultima intercorsi tra il 2.9.2002 e il 29.5.2003, evidenziando che per tali contratti risultassero dimostrate le finalità sostitutive di personale assente.
Per tutto il resto confermava la decisione di prime cure relativa alla L. rilevando che le ulteriori assunzioni della stessa per l’assistenza nello Scuolabus e quella per l’adibizione alla biglietteria della piscina comunale e relativa proroga non fossero supportate da esigenze realmente temporanee.
Confermava, altresì, in toto, la pronuncia relativa alla G., evidenziando anche con riferimento alle assunzioni della predetta (sia per l’assistenza nello Scuolabus sia per l’adibizione alla biglietteria della piscina comunale) le medesime carenze rilevate nei contratti relativi alla L..
Quanto al risarcimento del danno, riteneva che lo stesso fosse giustificato e che il criterio liquidatorio delle venti mensilità L. n. 300 del 1970, ex art. 18, fosse del tutto congruo.
Respingeva, da ultimo, l’eccezione di prescrizione formulata dal Comune, ritenendo che – contrariamente a quanto preteso dal Comune – non si vertesse in ambito di responsabilità contrattuale.
3. Per la cassazione della sentenza il Comune di Carrara ha proposto ricorso con quattro motivi.
4. L.A. e G.S. hanno resistito con controricorso.
5. Il Collegio ha proceduto in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.
6. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e per il rigetto dei primi tre.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e degli artt. 1442 e 2947 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Il ricorrente si duole della ritenuta non fondatezza dell’eccezione di intervenuta prescrizione quinquennale formulata dal Comune in relazione alle richieste risarcitorie della L. e della G. e rileva che, contrariamente a quanto affermato, la fondatezza della stessa deriva dalla natura extracontrattuale (melius contrattuale) della responsabilità.
2. Il motivo non merita accoglimento.
Come da questa Corte affermato, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ha origine contrattuale e il relativo diritto è pertanto assoggettato all’ordinario termine di prescrizione decennale (v. Cass. 3 marzo 2020, n. 5740; Cass. 12 aprile 2017, n. 9402, in motivazione; Cass. 7 settembre 2012, n. 14996; Cass. 17 ottobre 20122, n. 12697).
3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e segg., dell’art. 7 del c.c.n.l. del 14 settembre 2000, Comparto Regioni ed Enti locali, degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).
Il Comune sostiene la legittimità del termine apposto ai contratti per cui è causa affermando che le ragioni sottese alle disposizioni di legge e della contrattazione collettiva oggetto di denuncia erano proprio quelle di evitare che le pp.aa., al fine di garantire l’espletamento dei servizi aventi natura straordinaria o occasionale, si trovassero in organico, una volta esaurite le esigenze comportanti tali assunzioni, uno o più lavoratori privi di concrete mansioni, in violazione delle regole più elementari di buon andamento dell’Amministrazione.
Rileva che i documenti prodotti dal Comune, pretermessi dalla Corte territoriale, ed in particolare le determinazioni del Dirigente Settore Organizzazione e personale, comprovassero le esigenze temporanee ed occasionali che avevano determinato la stipula dei contratti a termine in questione e rendessero legittimi tali contratti anche sotto il profilo formale, considerato che tali determinazioni erano richiamate nei contratti.
4. Il motivo, oltre a presentare profili di inammissibilità, non è fondato.
4.1. Innanzitutto, in violazione del principio di specificità del ricorso per cassazione i contratti non sono riportati nel loro contenuto e così anche le determinazioni che si assume siano state richiamate per relationem.
4.2. In ogni caso, come questa Corte ha già affermato (v., Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016, n. 4911; Cass. 15 gennaio 2019, n. 840), se è vero che (v. Cass. 26 agosto 2015, n. 17155) la specificazione delle ragioni giustificatrici del termine del D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, può risultare “per relationem” anche da altri testi richiamati nel contratto di lavoro, tuttavia l’indicazione deve essere circostanziata e puntuale e deve trattarsi di documenti agevolmente accessibili al lavoratore. Ciò, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (Cass. 12 agosto 2019, n. 21320).
Nella specie, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e, con accertamento di merito che si sottrae a censure, ha rilevato che, pur tenendo conto delle determinazioni dell’Ufficio Personale, le ragioni giustificatrici delle assunzione a tempo determinato delle lavoratrici non fossero state espresse in modo valido, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo ad esigenze “insorte soprattutto con l’effettivo inizio dell’anno scolastico e difficilmente programmabili”.
5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, sotto il profilo della sussistenza del diritto al risarcimento del danno (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).
Il Comune rileva che la Corte d’appello ha riconosciuto alle lavoratrici il diritto al risarcimento del danno malgrado l’assenza di prove a riguardo, pure soltanto presuntive. Ciò contrasterebbe con la disciplina nazionale e con quella comunitaria.
6. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nell’arresto del 15 marzo 2016, n. 5072, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno enunciato il principio secondo cui nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’esistenza del danno.
Dando, poi, atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari), le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.
Questa Corte in epoca successiva al suddetto arresto ha precisato (v. Cass. 2 marzo 2017, n. 5319; Cass. 20 luglio 2018, n. 19454) che nel lavoro pubblico contrattualizzato il ricorso alla disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, al fine di agevolare l’onere probatorio del danno conseguente all’illegittima reiterazione di rapporti a termine, si giustifica con la necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro, allegato alla direttiva 1999/70/CE, che concerne la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine e che, pertanto, la presunzione non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui l’illegittimità concerna l’apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro (non prorogato: v. Cass. 28 febbraio 2017, n. 5229; Cass. 13 marzo 2017, n. 6413; Cass. 2 ottobre 2018, n. 23945).
Nel caso in esame quelli stipulati tra le parti sono stati più contratti a termine dichiarati illegittimi.
Si ricadeva, pertanto, nell’ipotesi di agevolazione probatoria e di operatività della presunzione di legge circa l’ammontare del danno.
7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta (ex art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36,L. n. 300 del 1970, art. 18,L. n. 183 del 2010, art. 32, sotto il profilo della quantificazione del danno. Espone il Comune che, anche qualora si ritenesse sussistere il diritto delle lavoratrici al risarcimento del danno, erroneamente la sentenza di appello lo avrebbe quantificato in un importo pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, mentre avrebbe potuto essere ristorato facendo riferimento, come parametro tendenziale, alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.
8. Il motivo è fondato.
Come già evidenziato ai punti che precedono, il criterio di liquidazione del danno, come affermato nella citata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072/2016, non può essere quello dell’art. 18 St. lav. bensì quello della L. n. 183 del 2010, art. 32.
10. Da tanto consegue che va accolto il quarto motivo di ricorso e vanno rigettati gli altri.
11. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Genova che, in diversa composizione, procederà ad una nuova quantificazione del risarcimento del danno tenendo conto del principio sopra richiamato e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
12. Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021
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