LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25918-2019 proposto da:
COMUNE di IRGOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BENEDETTO ARRU;
– ricorrente –
contro
G. DI VIETO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FRONTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE ABENAVOLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3390/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO MARULLI.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in eprigrafe la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’impugnazione del Comune di Irgoli avverso il lodo arbitrale che su istanza della G.Di Vieto, affidataria dei lavori per la costruzione di una piscina, aveva dichiarato la risoluzione del contratto, divisandone l’inammissibilità in quanto non erano specificati “i canoni in concreto violati” e non era stata censurata “da ratio decidendi degli arbitri”, ed, insieme, l’infondatezza risultando irrilevante la tempestività delle riserve ogni qualvolta si faccia “questione di invalidità del contratto” come appunto nel caso in cui se ne eccepisca la risoluzione.
La cassazione di detta sentenza è reclamata dal Comune di Irgoli sulla base di due motivi ai quali replica l’intimata con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il primo motivo di ricorso, merce’ il quale il Comune lamenta un vizio di omessa pronuncia in quanto la Corte d’Appello non avrebbe disaminato l’eccezione di erroneità del lodo per aver ritenuto esso deducente responsabile di gravi inadempienze contrattuali, è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.
Esso, per vero, sviluppando una censura di contenuto meritale, non si accorda con la natura del giudizio di impugnazione arbitrale, che è un giudizio a critica vincolata postulante la confluenza delle ragioni di doglianza in uno dei casi di nullità indicati dall’art. 829 c.p.c. e la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte (Cass., Sez. I, 18/09/2020, n. 19602).
Non si allinea poi al contenuto decisorio della sentenza impugnata giacché interloquendo solo su un piano di merito, nessuna delle ratio decidendi ivi enunciate, intese a rimarcare natura e limiti del giudizio di impugnazione arbitrale ed, insieme, l’infondatezza del gravame, è fatta oggetto di specifica e puntuale critica idonea a giustificare il richiesto scrutinio di legittimità.
In disparte anche da ciò, la declinata censura, volta a contestare la decisione impugnata per aver addebitato alle gravi inadempienze del deducente le ragioni di risoluzione del contratto, risulta palesemente estranea all’assunto fatto proprio dal decidente, dell’avviso evidententemente formulato per incidens alla luce delle viste premesse di rito – che in materia di appalto pubblico non si ponga la questione della tempestività delle riserve ove si agisca per la risoluzione del contratto.
3. Il secondo motivo di ricorso, che lamenta la violazione dell’art. 829 c.p.c., è inammissibile per difetto di specificità, poiché, al di là della rubrica e della riproduzione di una massima di questa Corte, difetta manifestamente di contenuto espositivo limitandosi a rivendicare una pretesa violazione di norme di diritto da parte degli arbitri che, ove dovesse essere intesa come riferita al tema della tempestività delle riserve, è fugata dal contrario principio affermato dal giudice del gravame.
4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Spese alla soccombenza e doppio contributo ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 8100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021