Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25023 del 16/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1245/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** SRL (C.F. *****), in persona del curatore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria itegionale dell’Emilia-Romagna, n. 1005/02/14, depositata in data 21 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno 2021 dal Consigliere Relatore Dott. D’Aquino Filippo;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale BASILE TOMMASO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RILEVATO

CHE:

La società contribuente ***** SRL, successivamente dichiarata fallita, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2004" emesso a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1 e art. 41-bis, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54. L’atto impugnato aveva ad oggetto un contratto di affitto di azienda, di durata pari a trentasei mesi, stipulato nel dicembre 2003 e relativo ai periodi di imposta 2004 – 2006 e rinviava a un precedente avviso di accertamento in tema di imposta di registro, successivamente definito. Quest’ultimo atto impositivo, emesso a termini del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, si fondava sulla reciproca sproporzione del canone di affitto, pari ad Euro 186.000,00 annui (al quale si aggiungeva il canone di locazione dell’immobile), rispetto al prezzo di riscatto, pari ad Euro 78.000,00, sproporzione sulla base della quale il contratto di affitto di azienda veniva riqualificato come contratto di compravendita con pagamento frazionato del prezzo. Con l’atto impositivo qui impugnato l’Ufficio recuperava a tassazione, in relazione al periodo di imposta in oggetto, le imposte dovute per effetto delle minori componenti negative di reddito riconosciute (i canoni di locazione, qualificati quali acconti prezzo) ai fini IRES, IRAP e IVA. La società contribuente ha contestato la violazione sia della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, sia della disciplina antielusiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis e ha invocato, nel merito, la sussistenza di valide ragioni economiche.

La CTP di Ravenna ha accolto il ricorso, ritenendo non rispettate le procedure di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 4. La CTR dell’Emilia-Romagna, con sentenza in data 21 maggio 2014, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha rilevato la CTR che l’avviso è stato messo a termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e non anche a termini del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, osservando che non vi era stata contestazione della veridicità dei dati contabili. Ha ritenuto la CTR che l’atto impositivo si basava sull’abuso del diritto, il quale non costituisce principio generale dell’ordinamento in quanto privo di norme cogenti idonee a fornirgli copertura normativa, risultando all’uopo insufficiente il principio costituzionale di capacità contributiva, in quanto non cogente. Ha, poi, ritenuto la CTR che l’Ufficio non ha rispettato né la disciplina di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, né quella di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, il che ha precluso al contribuente la predisposizione di una congrua difesa, con conseguente nullità dell’atto impugnato.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a tre motivi; il fallimento intimato non si è costituito in giudizio.

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo del ricorso – a sua volta articolato in due diversi profili – si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 41-bis, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’Ufficio avrebbe fatto erronea applicazione del principio generale dell’abuso del diritto. Deduce il ricorrente che nella specie non sarebbe stata fatta applicazione della disposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis; l’Ufficio avrebbe, invero, proceduto a riqualificare il precedente contratto di affitto di azienda quale contratto di cessione di azienda, con conseguente rideterminazione dei canoni di affitto quali acconti prezzo, previo accertamento a termini del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 che si trattasse di una cessione di azienda. Osserva il ricorrente che l’adozione della forma del contratto di affitto di azienda avrebbe consentito alla società contribuente dii fruire di un indebito vantaggio fiscale, assoggettando l’operazione a IVA anziché a registro e contabilizzando i canoni di affitto quali componenti negative di reddito, evidenziando come il richiamo all’abuso del diritto sarebbe stato introdotto “solo per completezza difensiva”. Il ricorrente introduce, in via subordinata, la censura relativa alla violazione del principio del divieto di abuso del diritto, laddove la CTR ha ritenuto che non si tratti di principio cogente dell’ordinamento, osservando che il divieto trovi fondamento nel principio di capacità contributiva.

1.2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 2, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto nullo l’avviso per mancato rispetto delle forme di cui alla citata disposizione normativa. Il ricorrente riproduce il ricorso introduttivo, ove la società contribuente si doleva della mancanza nell’atto impugnato delle indicazioni contenute nella L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, osservando come la mancanza di tali indicazioni non comporterebbe la nullità dell’atto impugnato.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, commi 4 e 5, nella parte in cui la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto delle disposizioni procedimentali; ribadisce il ricorrente che non è stata fatta applicazione della disposizione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, peraltro non applicabile ai fini IVA, deducendo che alla società contribuente sarebbe stato inviato un questionario e che sarebbe stata la contribuente a sottrarsi al contraddittorio.

2. Il primo motivo è fondato per quanto di ragione. Emerge per tabulas (come accertato dalla sentenza impugnata) che l’Ufficio ha contestato alla società contribuente, successivamente dichiarata fallita, con metodo analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, maggiori redditi in relazione al contratto di affitto di azienda stipulato nel 2003 (limitatamente ai redditi prodotti nell’esercizio 2004), sulla base dell’elemento indiziario costituito dalla sproporzione tra canone di locazione e prezzo di riscatto, così recependo l’atto impugnato, come il ricorrente evidenzia nella narrativa del ricorso, gli accertamenti compiuti in relazione a un precedente avviso di accertamento in materia di imposta di registro (contenzioso successivamente definito). Tale elemento è stato ritenuto sufficiente al fine di indurre la presunzione che i canoni di locazione fossero dissimulati acconti prezzo, con conseguente riqualificazione del contratto di affitto come contratto di compravendita con pagamento frazionato del prezzo e disconoscimento dei canoni di affitto quali costi (trattandosi di acconti prezzo) e recupero di imposte dirette e IRAP, nonché con recupero della relativa IVA (pagg. 7, 13 ricorso). Il che è conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui l’Ufficio può completare gli elementi indicati dal contribuente ricorrendo, ai fini del disconoscimento di specifiche poste attive o passive, a presunzioni semplici dotate di pregnanza indiziaria (Cass., 4 giugno 2020, n. 10571; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33604; Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27804; Cass., Sez. V, 21 marzo 2018, n. 7025). Il riferimento all’abuso del diritto e all’inesistenza di valide ragioni economiche (contenuto, peraltro, nel precedente avviso in tema di imposta di registro poi definito) appare, come evidenzia il ricorrente, ultroneo. La sentenza impugnata non ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

3. Occorre, in ogni caso, evidenziare – in relazione al subordinato profilo concernente l’abuso del diritto – che l’atto impugnato riguarda anche la materia dell’IVA (“maggiore IVA aliquota 20% sui minori costi”: pagg. 7 e 13 ricorso), in relazione alla quale l’abuso del diritto o elusione trova il suo fondamento normativo diretto nell’ordinamento unionale e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo la quale i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (Corte di Giustizia UE 21 febbraio 2006, C-255/02, Halifax, punti 68 e 69; Corte di Giustizia UE 13 marzo 2014, C-155/13, SICES, punti 29 e 30; Corte di Giustizia UE 22 novembre 2017, C-251/16, Cunnigs, punti 30-33); detto principio opera ove emerga, sul piano oggettivo, l’esistenza di una costruzione di artificio e, sul piano soggettivo, ove sussistano circostanze atte a evidenziare come lo scopo essenziale delle operazioni controverse fosse quello di ottenere un vantaggio indebito (ex multis Cass., Sez. V, 23 giugno 2021, n. 17907; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33593; Cass., Sez. V, 31 dicembre 2019, n. 34750).

4. Il secondo motivo è fondato. La sentenza impugnata si limita ad accertare “che l’agenzia non ha rispettato le norme afferenti la L. n. 212 del 2000, art. 7”, così “non ponendo il contribuente nelle condizioni di poter attivare una adeguata difesa”” concludendo che in relazione a “detta mancanza la normativa in vigore la sanziona con la nullità dell’atto stesso”. Tale accertamento va ricondotto alla difesa di parte contribuente (proposta sin dal primo grado), ove aveva dedotto (come trascritto nel motivo di ricorso) che difettassero nell’atto impugnato le indicazioni relative all’Ufficio e al responsabile del procedimento, nonché all’autorità cui rivolgersi per l’esercizio dell’autotutela e al termine per ricorrere, in spregio del “principio di chiarezza degli atti amministrativi” (pag. 17 ricorso). Diversamente, questa Corte ritiene che l’omessa indicazione, nell’atto impositivo, delle informazioni relative all’autorità cui proporre ricorso e del termine entro cui il destinatario può impugnare, non determina l’invalidità del provvedimento, ma comporta eventualmente sul piano processuale la scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, da esaminarsi caso per caso, con conseguente possibilità di remissione in termini (Cass., Sez. V, 17 giugno 2021); principio coerente con l’orientamento secondo cui la citata L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, pur qualificando come tassative tali indicazioni, non prevede la sanzione della nullità in caso di violazione di tali obblighi; né potrebbe rendersi applicabile la disposizione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, operante in tema di cartelle di pagamento riferite a ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (Cass., Sez. U., 14 maggio 2010, n. 11722; Cass., Sez. V; 27 ottobre 2017, n. 25667; Cass., Sez. V, 14 novembre 2018, n. 29309).

5. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai primi due motivi, nei termini di cui in motivazione, con assorbimento del terzo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo per quanto in motivazione, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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