LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 2854/2013, proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Società Cooperativa “8 marzo”, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Riccardi, presso il quale e’ elettivamente domiciliata in Napoli, Corso A. Lucci. n. 137, giusta procura a margine del controricorso.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 300/48/11 depositata in data 2 dicembre 2011 della Commissione tributaria regionale della Campania non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 giugno 2021 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza n. 300/48/2011 dell1/07/2010, depositata in data 02/12/2011, la Commissione tributaria Regionale della Campania (di seguito, CTR), respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio Napoli 2, avverso la decisione n. 521/41/2008 della Commissione tributaria (provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso proposto dalla Società Cooperativa “8 marzo”, contro il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso, previo riconoscimento del diritto a fruire, per gli anni 20032006 (in relazione alle nuove assunzioni effettuate in tali anni e per la parte eccedente la somma limite di Euro 100.000,00) dell’ulteriore credito di imposta, a fronte di un incremento dell’occupazione, ai sensi della L. n. 388 del 2000.
2. La CTR respingeva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che – stando al tenore letterale di quanto previsto dal Regolamento CE n. 2204/2002, nonché di quanto espresso dal legislatore nazionale con l’o.d.g. del 14 giugno 2005 della Camera dei Deputati – alla richiesta di riconoscimento dell’ulteriore credito di imposta non si applica la disciplina degli “aiuti di stato”, siccome trattasi di semplici misure di carattere generale, volte a promuovere l’occupazione, che non falsano né minacciano la concorrenza, sicché il contributo spetta senza i limiti della regola comunitaria “de minimis”.
3. Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo quattro motivi.
3.1. Con il primo, censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1, per non aver la CTR esaminato la questione, dedotta nell’atto di appello, relativa all’indebita compensazione, per indebita utilizzazione, di crediti non ancora maturati.
3.2. Con il secondo mezzo, solleva D’eccezione di giudicato esterno “formatosi dopo la pubblicazione della sentenza della CTR qui impugnata, per effetto della sentenza n. 17441/12 emessa inter partes nella parallela causa avverso il silenzio-rifiuto dell’Ufficio sull’istanza di attribuzione del credito in misura piena”.
3.3. Col terzo mezzo, deduce per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 38 del 2000, art. 7, comma 10, e alla L. n. 289 del 2002, art. 63 per aver la CTR escluso che, ai fini della determinazione dell’importo massimo del credito d’imposta di cui all’art. 7, comma 10 (la regola c.d. de minimis) si debba tener conto anche del credito d’imposta per nuovi investimenti ottenuto ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 8.
3.4. Con il quarto, ribadisce l’erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 38 del 2000, art. 7, comma 10, alla L. n. 289 del 2002, art. 63 al Regolamento CE n. 69 del 2001 ed al Regolamento UE n. 2204/2002 per non aver la CTR considerato che il nuovo Regolamento n. 2204/2002 non ha modificato in alcun modo la disciplina dei benefici concessi ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 63, né ha modificato la regola cd. de minimis che continua ad applicarsi ai fini della determinazione dell’importo massimo del credito d’imposta.
4. La società contribuente, ha resistito con controricorso, rilevando, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1), nel merito, la totale infondatezza delle doglianze della Amministrazione ricorrente.
La società contribuente ha presentato memoria telematica, ex art. 380 bis-1 c.p.c..
RITENUTO
che:
1. L’eccezione d’inammissibilità del ricorso è priva di pregio.
1.1. Come da principi consolidati di questa Corte (Sez. U, 21/03/2017, n. 7155; Sez. U., 28/10/2020 n. 23745; id., ex pluribus, Cass., 02/03/2018, n. 5001), in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere correlato al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, di talché risulta ammissibile il ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto raffronti in maniera chiara ed intellegibile la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con i principi di diritto nazionali (nella specie l’Agenzia delle entrate deduce la violazione della cd. regola de minimis ai fini della determinazione dell’importo massimo del credito d’imposta ottenuto dalle imprese ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 8) e sovranazionali (Regolamento CE n. 69 del 2001 e il Regolamento UE n. 2204 del 2002), e deduca il perché la sentenza gravata non risulti conforme a tali principi. Peraltro, la funzione di filtro della disposizione di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 1) consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità (v., Sez. U n. 7155 del 2017 cit.), sempre che, ovviamente, la sentenza gravata abbia correttamente applicato i principi di diritto e non, invece, quando, come nella specie, non sia stato fatto buon governo dei principi e delle norme che regolano la materia.
2. Passando all’esame dei motivi di ricorso e delibando prioritariamente sul secondo mezzo, va rilevata l’efficacia espansiva del giudicato esterno di cui alla sentenza di questa Corte di Cassazione del 12 ottobre 2012 n. 17441. E’ ius receptum che il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, evitando il bis in idem e quindi che una questione, sorta tra determinati soggetti, una volta definita da un giudice con una sentenza, possa essere riproposta altre volte. Ne consegue che ove, come nel caso in esame, il giudicato esterno si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo da eventuali allegazioni operate in tal senso delle parti (le quali, del resto, sono a conoscenza della formazione del precedente giudicato) e facendo ricorso, se necessario, agli strumenti informatici ed alle banche dati elettroniche (cfr. Cass. Sez. 5, 15/04/2011, n. 8614; Cass. Sez. 5, 15/06/2007, n. 14014; Cass. Sez. 5, 24/01/2007, n. 1564, tutte richiamate da Cass., Sez. 2, 30/12/2020 n. 29923).
2.1. Dalla verifica di questa Corte del giudicato eccepito dall’Amministrazione ricorrente risulta che la sentenza n. 17442 del 12 ottobre 2012 riguarda controversia tra le stesse parti e afferente al medesimo rapporto giuridico, derivante dal silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso della Società Coop. “8 marzo” dell’ulteriore credito di imposta, in relazione alle nuove assunzioni effettuate per l’anno 2003 e per la parte eccedente la somma limite di Euro 100.000,00.
Nel giudizio all’esame, è pacifico che le istanze di rimborso della società contribuente riguardino non solo l’ulteriore credito di imposta per l’anno 2003, ma anche i contributi per incremento occupazionale per gli ulteriori anni dal 2004 al 2006 (2003-2006).
2.2. E’ evidente dunque che, con riguardo all’annualità 2003 opera, sul presente giudizio, l’effetto espansivo del giudicato di cui alla sentenza n. 17441 del 2012. Con tale decisione questa Corte ha ritenuto manifestamente fondato il ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR della Campania n. 227/48/2009 depositata il 02/11/2009 (che aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate ritenendo che il contributo di cui alla L. n. 388 del 2000 andasse riconosciuto senza i limiti della regola comunitaria “de minimis”), affermando che: “Non vi è ragione per ritenere che la disciplina in questione (n.d.r.: L. n. 388 del 2000, comma 10, art. 7) sia da disapplicarsi nella specie di causa, non ravvisandosi alcun contrasto con la disciplina comunitaria, che non impone al legislatore nazionale di escludere limiti alla concessione del beneficio, siccome è stato appunto previsto con la norma sopra trascritta, nell’esercizio della legittima discrezionalità che compete al legislatore italiano. Nel medesimo senso si è di recente pronunciata la sezione quinta di questa Corte (Cass. Sentenza n. 21797 del 20/10/2011) che, nel fare applicazione della disciplina di proroga della predetta previsione di legge, ha ritenuto che: “In tema di agevolazioni fiscali, è illegittima la disapplicazione da parte del giudice nazionale della norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, comma 1, nella parte in cui, rinnovando il regime di incentivi alle assunzioni, mantiene ferma la disposizione di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10, che circoscrive il riconoscimento del credito di imposta nei limiti della regola “de minimis” – e cioè nell’importo di L. 100.000 nel triennio, quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di stato non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87) del Trattato CE – sul presupposto che il beneficio in questione non configuri un aiuto di Stato, in quanto incorre nella violazione della normativa comunitaria il legislatore soltanto se concede aiuti di Stato in misura eccedente alla regola “de minimis” e non se circoscrive, nell’ambito dei suoi legittimi poteri discrezionali, benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate “per relationem” rispetto a norme dell’ordinamento comunitario”. La Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha deciso nel merito, respingendo il ricorso introduttivo della società contribuente riguardante il contributo occupazionale per l’anno 2003.
3. Acclarata, dunque, l’efficacia espansiva esterna del giudicato per l’annualità 2003, per le altre annualità (2004-2006), il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto per quanto di seguito esposto.
4. Il primo mezzo – con il quale l’Amministrazione ricorrente deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto (indebita utilizzazione di crediti non ancora maturati, per un importo di Euro 41.800,29) e pronunciato (utilizzo del credito di imposta senza il rispetto della regola de minimis) – è inammissibile, in quanto non risulta supportato dall’allegazione e/o trascrizione delle deduzioni difensive dei precedenti gradi con le quali la relativa domanda sarebbe stata proposta (a pagina 8 del ricorso è riportato soltanto uno stralcio dell’atto di appello secondo cui: “le compensazioni che hanno comportato un impiego superiore a quanto realmente utilizzabile – già specificamente nell’avviso di accertamento – sono ricavabili dai mod. F24”), né dall’allegazione e/o trascrizione dell’avviso di accertamento, soltanto richiamato in ricorso (pag. 7 del ricorso: “L’accertamento dell’ufficio si articolata su due rilievi: a) l’utilizzazione del credito d’imposta oltre il limite del cosiddetto de minimis per un importo di Euro 57.530,34 complessivi nel triennio; b) indebita utilizzazione di crediti non ancora maturati, per un importo di Euro 41.800,29”).
4.1. E’ principio consolidato di questa Corte che il ricorso debba essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice”, anche con specifica localizzazione delle allegazioni difensive dei precedenti gradi, sì da rendere intellegibili le questioni giuridiche prospettate, nonché di individuare, in relazione a tali profili, le ragioni critiche nell’ambito dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c.. Quando il ricorso è carente di tale contenuto (cd. minimo) esso non supera la soglia di ammissibilità in quanto rende pressocché impossibile il sindacato di legittimità (cfr. Sez. 5, 30/04/2020, n. 8425; Sez. U., 28/10/2020 n. 23745).
4.2. Inoltre, sul principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, (art. 112 c.p.c.) questa Corte ha chiarito che tale principio non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il “petitum” (richiesta di pagamento del crediti d’imposta ai sensi della L. n. 388 del 2000) e la “causa petendi” (il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (cfr., Cass., 04/02/2016, n. 2209; id. Cass., 11/05/2018, n. 11498).
5. Il terzo ed il quarto mezzo – che si esaminano congiuntamente riguardando connessione di censure – sono fondati.
5.1. Il legislatore nazionale, alla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 10, disciplinante gli incentivi concessi, in forma di credito d’imposta, ai datori di lavoro che incrementano la base occupazionale, ha previsto che: “Per i datori di lavoro che nel periodo compreso tra il i gennaio 2001 e il 31 dicembre 2003 effettuano nuove assunzioni di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato da destinare a unità produttive ubicate nei territori individuati nel citato art. 4 e nelle aree di cui all’obiettivo I del Regolamento CE n. 1260 del 1999, del Consiglio, del 21 giugno 1999, nonché in quelle delle regioni Abruzzo e Molise, spetta un ulteriore credito d’imposta. L’ulteriore credito d’imposta, che è pari a L. 400.000 per ciascun nuovo dipendente, compete secondo la disciplina di cui al presente articolo. All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purché non venga superato il limite massimo di L. 180 milioni nel triennio”.
5.2. La Commissione CE già nel 1992 (e, successivamente, nel 1996) aveva introdotto, con una propria Comunicazione, la regola “de minimis” per la quale gli aiuti di esigua entità (aiuti appunto “de minimis”) non rientrano nel campo d’applicazione dell’art. 87, par. 1, del Trattato, perché, concretamente, non hanno effetti sulla concorrenza e sugli scambi ed, in quanto tali, non sono soggetti all’obbligo di previa notifica alla Commissione (ex art. 88, par. 3 del Trattato). Per la Commissione, infatti, gli aiuti che non superano l’importo di 100.000 ECU (circa L. 200 milioni) in tre anni non rientrano nel campo d’applicazione dell’art. 92 del Trattato, in quanto non produrrebbero degli effetti percettibili sugli scambi e sulla concorrenza (Comunicazione della Commissione relativa agli aiuti de minimis, in GUCE C 68 del 6 marzo 1996, p. 9).
5.3. Da tali disposizioni si ricava che il legislatore nazionale ha inteso riconoscere il beneficio dell’ulteriore credito d’imposta in esame, in misura limitata e non in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti, facendo proprio, in via di rinvio alla relativa fonte normativa, il criterio comunitario c.d. “de minimis” (cfr., ex plurimis, Cass., 20/10/2011, n. 21797; Cass. 17440- 17441 del 2012, Cass. 12869/2012 e Cass. 12635 del 2012; Cass., 15/07/2014, n. 16178; Cass., 23/10/2015, n. 21594; Cass., 23/06/2017, n. 15688).
5.4. Il legislatore nazionale, nel suo legittimo potere discrezionale, ha dunque ben individuato la portata della regola “de minimis”, prevista per le agevolazioni fiscali (di modesta entità) ivi prescritte, limitandola alla condizione di non superamento, per i benefici fruiti ai sensi dell’art. 7, del limite massimo “di L. 80.000.000 nel triennio” (Euro 100.000,00).
5.5. In tal senso, la giurisprudenza di questa Corte ha soggiunto che il credito di imposta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10, riconosciuto ai datori di lavoro a fronte di un incremento dell’occupazione per gli anni dal 2001 al 2003, facendo proprio, mediante rinvio alla relativa fonte normativa, il criterio comunitario cd. de minimis (per il quale gli aiuti di Stato di esigua entità esulano dal campo di applicazione dell’art. 87, parag. 1, del Trattato CE), è cumulabile anche con altri benefici eventualmente concessi, nei limiti in cui non venga superato, per le agevolazioni fruite ai sensi della citata norma e nel triennio considerato, il tetto massimo di Euro 100.000, alla cui determinazione complessiva potendo concorrere il diverso credito di imposta per nuovi investimenti disciplinato dall’art. 8 della medesima legge (Cass., 04/09/2013, n. 20245; Cass., 23/10/2015, n. 21605).
6. Il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con rigetto del ricorso proposto dalla parte contribuente.
7. Le spese dei giudizi di merito, in considerazione della natura della controversia, vengono interamente compensate tar le parti. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario della società contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Condanna la società controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021