Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25085 del 16/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

J.K., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro Borsieri, n. 12, presso lo studio dell’avv. Angelo Averni, rappresentato e difeso dall’avv. Augusto Sebastio;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, elettivamente domiciliato ex lege presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 20/02/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 20 febbraio 2019 il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso proposto da J.K., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il decreto con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

Il richiedente ha dichiarato di essere nato nel villaggio di *****, di avere un basso livello di istruzione e di avere lasciato il suo Paese perché il fratello aveva picchiato con una catena la sua fidanzata e il ragazzo con cui questa si trovava. Ha aggiunto che i familiari del ragazzo, deceduto dopo essere stato picchiato, avevano deciso di vendicare la morte, uccidendo lui al posto del fratello.

Il Tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente e i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.

Avverso il descritto decreto J.K. ricorre per cassazione affidandosi a un motivo, mentre il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2, 3 e art. 27, comma 1 bis e del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e dell’art. 16 della Direttiva 2013/32 UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g, artt. 5 e 14 e dell’art. 15 della direttiva 2011/95 UE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3. Premessi i principi enucleati in tema di attenuazione dell’onere della prova e di valutazione della credibilità del richiedente, il ricorrente ha dedotto che il Tribunale avrebbe sia erroneamente disatteso l’istanza di audizione e i criteri volti a stabilire la credibilità di esso instante sia omesso di esercitare il suo potere/dovere di approfondimento di tutti gli aspetti salienti della questione, così come avrebbe omesso qualsiasi verifica sulla situazione generale del Paese di origine.

2. Le doglianze sono infondate.

2.1 Quanto alla domanda tesa ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria per la sussistenza del rischio di un danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il Tribunale pugliese ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale e pertanto – anche ove veritieri – non integrerebbero gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato”.

Il menzionato Tribunale ha aggiunto che il racconto del richiedente non era credibile, non avendo egli spiegato perché dovrebbe essere ucciso lui al posto del fratello, nonostante non fosse presente al momento dell’evento e avesse saputo del fatto da un amico del fratello. Il ricorrente poi non aveva spiegato perché non si fosse rivolto alla polizia.

A fronte di siffatte argomentazioni deve rilevarsi che il Tribunale pugliese ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta di un accertamento di fatto che, come già puntualizzato da questa Corte (cfr. Cass. n. 387 del 2019, in motivazione; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. n. 27438 del 2016; Cass. n. 21668 del 2015), non può essere messo in discussione con il ricorso per cassazione, se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, che, nella specie, non è stato censurato.

Deve poi ricordarsi che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, in tema di riconoscimento dello status di rifugiato o della sussistenza del rischio di un danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794).

Nella specie, le allegazioni del ricorrente non delineano situazioni integranti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria e inoltre il racconto è stato ritenuto non credibile, sicché nessun dovere istruttorio officioso incombeva in capo al giudice di merito.

Giova aggiungere che questa Corte, in materia di obbligo di audizione del richiedente, alla luce della normativa e della giurisprudenza Eurounitaria, ha stabilito che nei giudizi di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione ma non anche quello di disporre l’audizione del ricorrente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

Nella specie il ricorrente non indica quali fatti nuovi, allegati al ricorso, rendevano necessario il suo ascolto, sicché sul punto la censura è inammissibile (Sez. I, Sent. n. 21584 del 2020).

2.2 Quanto alla domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Tribunale, sulla base di fonti aggiornate, è pervenuto alla conclusione che non può predicarsi – con riferimento alla regione di provenienza del richiedente – la sussistenza di un conflitto armato interno contrassegnato da un’estensione territoriale e da un livello di violenza indiscriminato, tale da porre a rischio l’incolumità personale del richiedente medesimo.

Siffatto accertamento costituisce un’indagine di fatto che può essere censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è avvenuto, sicché l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.

2.3 Anche i rilievi in ordine al mancato accoglimento dell’istanza di protezione umanitaria sono infondati.

Il Tribunale leccese, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo rimarcato, tra l’altro, che il richiedente non ha neanche raggiunto uno stabile inserimento familiare, sociale e lavorativo in Italia.

3. Il ricorso, dunque, va rigettato e le spese vanno compensate, essendo le deduzioni formulate nel controricorso non pertinenti al caso in esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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