LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
K.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro Borsieri, n. 12, presso lo studio dell’avv. Angelo Averni, rappresentato e difeso dall’avv. Augusto Sebastio;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’Interno, elettivamente domiciliato ex lege presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 20/03/2019;
udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 20 marzo 2019 il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso di K.D., nativo del *****, avverso il decreto con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
Il richiedente ha dichiarato di essere nato nel villaggio *****, di essere di fede islamica, di avere un basso livello di istruzione e di avere lasciato il suo Paese perché in contrasto con suo zio, a cui aveva dichiarato di volere sposare una ragazza di fede cristiana. Ha aggiunto di temere di essere ucciso dallo zio, in caos di rientro nel suo paese.
Il Tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente e i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.
Avverso il descritto decreto K.D. ricorre per cassazione affidandosi a un motivo, mentre il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2, 3 e art. 27, comma 1 bis e del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e dell’art. 16 della Direttiva 2013/32UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g, artt. 5 e 14 e dell’art. 15 della direttiva 2011/95 UE, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.. Premessi i principi enucleati in tema di attenuazione dell’onere della prova e di valutazione della credibilità del richiedente, il ricorrente ha dedotto che il Tribunale avrebbe sia erroneamente disatteso l’istanza di audizione e i criteri volti a stabilire la credibilità di esso instante sia omesso di esercitare il suo potere/dovere di approfondimento di tutti gli aspetti salienti della questione, come indicati alle pagine 4, 5 e 6 del ricorso, così come avrebbe omesso qualsiasi verifica sulla situazione generale del Paese di origine.
2. Le doglianze sono inammissibili.
2.1 Quanto alla domanda tesa ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria per la sussistenza del rischio di un danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il Tribunale pugliese ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale ma a una situazione ostativa interna alla propria famiglia”. Il menzionato Tribunale ha aggiunto che il timore del ricorrente era rimasto privo di riscontri, considerato che il matrimonio con la ragazza non era stato celebrato e il ricorrente non aveva mantenuto contatti con la predetta, da cui non aveva ricevuto notizie da gennaio 2013.
A fronte di siffatte argomentazioni deve ricordarsi che, in tema di riconoscimento dello status di rifugiato o della sussistenza del rischio di un danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria attraverso – in primis l’allegazione di situazioni sussumibili in quelle previste dalla normativa in tema di protezione internazionale (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794).
Nella specie, le allegazioni del ricorrente non delineano situazioni integranti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria e inoltre il racconto è stato ritenuto non credibile, sicché nessun dovere istruttorio officioso incombeva in capo al giudice di merito.
Giova aggiungere che questa Corte, in materia di obbligo di audizione del richiedente, alla luce della normativa e della giurisprudenza Eurounitaria, ha stabilito che nei giudizi di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione ma non anche quello di disporre l’audizione del ricorrente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.
Nella specie il ricorrente non indica quali fatti nuovi, allegati al ricorso, rendevano necessario il suo ascolto, sicché sul punto la censura è inammissibile (Sez. I, Sent. n. 21584 del 2020).
2.2 Quanto alla domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Tribunale di Lecce, sulla base di fonti aggiornate, è pervenuto alla conclusione che non può predicarsi – con riferimento alla regione di provenienza del richiedente – la sussistenza di un conflitto armato interno, contrassegnato da un’estensione territoriale e da un livello di violenza indiscriminato tale da porre a rischio l’incolumità personale del richiedente medesimo.
Siffatto accertamento costituisce un’indagine di fatto che può essere censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è avvenuto, sicché l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.
2.3 Anche i rilievi in ordine al mancato accoglimento dell’istanza di protezione umanitaria sono inammissibili.
Il Tribunale leccese, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo rimarcato, tra l’altro, che il richiedente non ha neanche raggiunto uno stabile inserimento familiare, sociale e lavorativo in Italia.
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile e le spese vanno compensate, essendo il controricorso incentrato essenzialmente sulla riproduzione dei principi regolanti la materia e contenendo solo generici riferimenti alle doglianze del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021