LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
S.T., elettivamente domiciliato in Roma, Via Padre Semeria, n. 68, presso lo studio dell’avv. Stefania Maria Luce Stasi, rappresentato e difeso dall’avv. Ubaldo Macrì;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 12/04/2019;
udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 12 aprile 2019 il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso di S.T., nativo del *****, avverso il decreto con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
Il richiedente ha dichiarato di essere nato a *****, di avere un basso livello di istruzione, di essere di fede musulmana e di avere lasciato il suo Paese in quanto era stato prescelto all’età di 14 anni dal capo del villaggio come vittima di un sacrificio umano al fiume *****.
Il Tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente e i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.
Avverso il descritto decreto S.T. ricorre per cassazione affidandosi a quattro motivi, mentre il Ministero dell’Interno non resiste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente ha dedotto: (i) con il primo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto il Tribunale avrebbe violato l’obbligo di cooperazione istruttoria; (ii) con il secondo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10, 11, per non essere stata disposta l’udienza di comparizione delle parti, in difetto della videoregistrazione del colloquio del ricorrente; (iii) con il terzo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e vizi della motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; (iv) con il quarto motivo, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e vizi della motivazione in ordine alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Le doglianze sono inammissibili.
Quanto al primo e al terzo motivo, deve rilevarsi che il Tribunale pugliese ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale e pertanto anche qualora veritieri – non integrerebbero gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato”. Il menzionato Tribunale ha aggiunto che il racconto del ricorrente era apparso vago e inattendibile, così da non potere ritenersi esistente il pericolo di un grave danno come definito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b).
A fronte di siffatte argomentazioni deve ricordarsi che, in tema di riconoscimento dello status di rifugiato o della sussistenza del rischio di un danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in base a un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria attraverso – in primis l’allegazione di situazioni sussumibili in quelle previste dalla normativa in tema di protezione internazionale (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794).
Nella specie, il timore del ricorrente concretizza una vicenda assolutamente non inquadrabile nel concetto di persecuzione per i motivi di cui si è detto e il suo racconto è stato motivatamente ritenuto inattendibile, sicché nessun dovere istruttorio officioso incombeva in capo al giudice di merito.
2.1 Quanto alla domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Tribunale, sulla base di fonti aggiornate, è pervenuto alla conclusione che non può predicarsi – con riferimento alla regione di provenienza del richiedente – la sussistenza di un conflitto armato interno contrassegnato da un’estensione territoriale e da un livello di violenza indiscriminato tale da porre a rischio l’incolumità personale del richiedente medesimo.
Siffatto accertamento costituisce un’indagine di fatto che può essere censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è avvenuto, sicché l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.
3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Questa Corte, in materia di obbligo di audizione del richiedente, alla luce della normativa e della giurisprudenza Eurounitaria, ha stabilito che nei giudizi di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione ma non anche quello di disporre l’audizione del ricorrente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.
Nella specie risulta dal provvedimento impugnato che l’udienza è stata fissata mentre il ricorrente non indica quali fatti nuovi, allegati al ricorso, rendevano necessario il suo ascolto, sicché sul punto la censura è inammissibile (Sez. I, Sent. n. 21584 del 2020).
4. Anche i rilievi in ordine al mancato accoglimento dell’istanza di protezione umanitaria sono inammissibili.
Il Tribunale leccese, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo rimarcato, tra l’altro, che il richiedente non ha neanche raggiunto uno stabile inserimento familiare, sociale e lavorativo in Italia.
5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021