LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13295/2020 proposto da:
E.E., elettivamente domiciliato in Fermignano, via R.
Ruggeri 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende in virtù di nomina e procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 04/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/05/2021 da Dott. MACRI’ BALDA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di E.E., originario di *****, di riconoscimento della protezione internazionale, così confermando il provvedimento della Commissione territoriale di Ancona notificato in data 15 febbraio 2019. In particolare, ha ritenuto credibili le dichiarazioni del richiedente asilo che aveva riferito di essere fuggito perché temeva le conseguenze della diserzione dalla polizia, ma ha negato che l’omessa partecipazione alla pericolosa missione contro ***** potesse qualificarsi come un caso di diserzione, siccome si trovava in ospedale al momento della chiamata. Ha escluso, sulla base delle fonti internazionali, che i territori posti a sud della Nigeria fossero interessati da un conflitto armato tale da comportare per i civili il concreto rischio della vita o dell’incolumità personale. Infatti, le violenze erano causate dalle rivendicazioni della popolazione locale per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi e si concretizzavano in sabotaggi, rapimenti di personalità pubbliche e aggressioni contro le forze di polizia. Ha aggiunto che il ricorrente non aveva dedotto elementi funzionali al riconoscimento dello status di rifugiato né alla protezione sussidiaria e che non era possibile formulare un giudizio prognostico di elevata vulnerabilità in caso di rimpatrio.
Il ricorrente presenta quattro motivi di censura.
Con il primo eccepisce la nullità del provvedimento impugnato perché il Tribunale aveva travisato il contenuto delle dichiarazioni. Ricorda che aveva affermato che aveva presentato domanda di esonero dal servizio perché doveva curarsi in ospedale, ma questa domanda non era stata accolta, sicché aveva paura quando stava in ospedale, perché il fatto era considerato reato in Nigeria. Lamenta che il Tribunale non aveva contemplato l’ipotesi che il processo poteva svolgersi in contumacia, dopo la fuga, e che non aveva esercitato i suoi poteri istruttori officiosi, una volta ritenuta credibile la vicenda. Nel complesso ritiene la motivazione omessa, apparente o incoerente.
Con il secondo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, e cioè la specifica condizione della Nigeria e la capacità dello Stato di offrire un’idonea ed effettiva protezione rispetto alla vicenda narrata.
Con il terzo denuncia l’omessa attivazione dei poteri di cooperazione istruttoria.
Con il quarto deduce la violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.
Il Ministero dell’Interno è rimasto contumace.
Il ricorso è nel complesso infondato.
Il Tribunale ha ritenuto credibile il racconto del richiedente la protezione internazionale, ma ha tratto la conclusione che non aveva subito alcuna conseguenza dalla presunta diserzione. Innanzi tutto, era stato autorizzato a curarsi dai vertici della polizia; in secondo luogo, alla specifica domanda, aveva risposto che, dopo il ricovero e durante la permanenza di un anno in Nigeria, prima della fuga, non era stato cercato dai suoi superiori e non c’erano state conseguenze. Il Tribunale ha considerato che, sulla base del decreto sulle Forze armate del 1993, le sanzioni per la diserzione erano inflitte da un Tribunale marziale e consistevano nella condanna ad una pena non superiore a due anni o a qualsiasi pena minore. Il ricorrente non aveva menzionato né la condanna né il processo a suo carico. Con motivazione non manifestamente illogica, i Giudici hanno quindi ritenuto impossibile qualificare il suo comportamento come diserzione visto che era maturato in un contesto di ospedalizzazione di cui i superiori erano al corrente. La difesa del ricorrente non si è confrontata con tale decisione, ma si è limitata a sostenere che non era possibile escludere la celebrazione di un processo in contumacia. Tuttavia, non solo non ha chiarito per quale ragione, per un anno, il ricorrente non avesse avuto problemi, ma non ha spiegato neanche il presupposto della diserzione; inoltre, non ha contestato la ricostruzione del sistema penale militare come effettuato dal Tribunale né ha indicato elementi concreti giustificanti le richieste tutele.
In definitiva, a fronte di una motivazione ampia, diffusa e informata, il ricorrente ha svolto delle deduzioni meramente congetturali. Del tutto inconsistente il quarto motivo che è stato formulato utilizzando clausole di stile.
Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Interno. Sussistono invece, nella specie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021