LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14681/2020 proposto da:
M.I., elettivamente domiciliato in Fermignano, via R.
Ruggeri 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende in virtù di nomina e procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 20/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/05/2021 da Dott. MACRI’ BALDA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di M.I., originario di *****, di riconoscimento della protezione internazionale, così confermando il provvedimento della Commissione territoriale di Ancona notificato in data 10 agosto 2018. In particolare, ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del richiedente la protezione, il quale aveva riferito di essere perseguitato per motivi religiosi perché da sunnita aveva aderito al gruppo sciita, aveva avvisato i suoi di un imminente attacco organizzato dal padre, segretario generale dell'*****, era fuggito per evitare la fatwa di morte del leader sunnita contro di lui. Ha osservato che il ricorrente non era stato in grado di circostanziare la vicenda, né di rendere precisazioni sui fatti determinanti l’espatrio; non aveva reso conto della conversione maturata nel corso di poche ore né aveva dato informazioni sui capi del gruppo sunnita, sul gruppo ***** e sui presunti agenti persecutori; i fatti raccontati non erano idonei a giustificare un’accusa di blasfemia o una fatwa e d’altra parte non era giustificabile l’omessa attivazione della rete di protezione locale, nella parte in cui, a suo avviso, la blasfemia prevedeva la morte senza processo; era incomprensibile che il padre non l’avesse inserito nel gruppo sunnita, a differenza del fratello; non conosceva l’identità del sicario; era implausibile che il padre e i mullah avessero preso la decisione della sua morte per strada e un amico avesse sentito causalmente. Dopo aver esaminato la situazione del Pakistan, sulla base delle fonti internazionali, e concluso per la bassa incidenza terroristica, ha ritenuto insussistenti i presupposti delle tutele richieste, ivi compresa quella relativa al rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari, dal momento che non erano stati allegati fatti nuovi rispetto alla domanda già rigettata dalla Germania.
Il ricorrente presenta quattro motivi di censura.
Con il primo lamenta che era stato sentito dal giudice onorario di Tribunale anziché dal Collegio con conseguente nullità della decisione. Contesta la motivazione, in particolare per il giudizio di inattendibilità del dichiarante e per la superficiale valutazione dei documenti prodotti ritenuti apoditticamente falsi, sebbene relativi alla vicenda in esame, e inintelligibili, problema che avrebbe potuto essere risolto con una traduzione.
Con il secondo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, perché erano stati ritenuti falsi i documenti prodotti e non era stato compiuto l’esame comparativo effettivo di tutti gli elementi di vulnerabilità.
Con il terzo eccepisce l’assenza della videoregistrazione e la mancata audizione diretta da parte del Collegio, che peraltro non aveva esercitato i poteri officiosi di cooperazione istruttoria.
Con il quarto deduce la violazione degli art. 6 e 13 della Convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.
Il Ministero dell’Interno non si è costituito.
Il ricorso è infondato.
Vanno innanzi tutto disattesi i motivi processuali: l’audizione è stata eseguita dal Giudice onorario di Tribunale legittimamente secondo la sentenza a Sezioni Unite n. 5425 del 2021, Rv. 660688-01, che ha affermato che non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta.
Nel merito, il Tribunale ha reso una motivazione ampia e diffusa in ordine all’inattendibilità intrinseca del dichiarante con argomenti non specificamente contestati e il cui esame è precluso in sede di legittimità. La decisione è in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui ai fini della valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, il giudizio sulla valutazione di credibilità del racconto del richiedente che sia ben circostanziato ma inverosimile, può essere espresso solo all’esito dell’acquisizione di pertinenti informazioni sul suo paese di origine e delle sue condizioni personali, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di racconto intrinsecamente inattendibile alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva, in cui essendo il racconto affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, la ricerca delle Coi è inutile, perché manca alla base una storia individuale rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la plausibilità ed il livello di rischio (Cass., Sez. 1, ord. n. 6738 del 2021, Rv. 660736-01). Nello specifico, si tratta di un racconto intrinsecamente inattendibile. Ciò nondimeno, il Tribunale ha considerato anche la situazione specifica del Pakistan non rilevando elementi di particolare criticità.
Il ricorrente ha documentato il suo narrato con un articolo di giornale relativo ad un omicidio per motivi religiosi, ma il Tribunale ha risposto che sulla base delle informazioni reperite il documento poteva considerarsi falso, non essendo infrequente il confezionamento di articoli giornalistici falsi in Pakistan. Sul punto, si rileva che il ricorrente non ha allegato la stretta pertinenza dell’articolo rispetto alla sua vicenda personale che comunque non è stata creduta.
Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Interno che non si è costituito.
Sussistono invece, nella specie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021