LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14165/2020 proposto da:
A.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Nanula Valentina, giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 182/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 182/2020 depositata il 13-2-2020, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da A.D., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese perché non era un posto sicuro in quanto alcuni militari erano entrati nel bar gestito da sua madre ed avevano iniziato a sparare, uccidendo tutte le persone presenti nel locale, mentre il richiedente si era salvato perché si era sdraiato a terra; successivamente era fuggito in Niger e poi in Libia tramite un suo amico poliziotto. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della Nigeria – Edo State, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, a cui ha allegato documentazione di lavoro.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per avere la Corte d’appello affermato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Nigeria, tranne che nella zona Nord, senza citare fonti a suffragio dell’assunto, mentre dal rapporto di Amnesty International 2017-2018, che riporta in ampio stralcio nel ricorso, risultano arbitrari arresti dell’esercito, condizioni di detenzione disumane, delinquenza, corruzione delle Autorità statali, inefficienza del sistema giudiziario e gravi comportamenti violenti della polizia, che usa indiscriminatamente armi mortali. Richiama diffusamente pronunce di merito con le quali è stata riconosciuta la protezione sussidiaria a cittadini dell’Edo State; (ii) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per non avere la Corte territoriale riconosciuto al ricorrente la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, tenendo conto della sua positiva integrazione in Italia, raggiunta tramite attività sociali e di volontariato e attività di lavoro espletata fino all’emergenza Covid 19, nonché della sua conoscenza della lingua iltaliana e del lungo tempo trascorso dalla partenza dal suo Paese, da cui era fuggito in una situazione di indigenza ed era rimasto senza casa e lavoro.
2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Le censure difettano di specificità e sollecitano una rivisitazione del merito. Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi in ordine alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), svolge argomentazioni generiche, non correlate alle ragioni della decisione (cfr. pag. 4 della sentenza in cui sono indicate le fonti di conoscenza), e riporta in ricorso informazioni, sulla corruzione e violenza della polizia, sul sistema giudiziario e carcerario, che non si riferiscono specificamente a situazioni di rilevanza ai sensi del citato art. 14, lett. c). Secondo il costante orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018), e nella specie il suddetto vizio non può ritenersi ritualmente denunciato, per quanto si è detto.
3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
3.1. Circa la domanda di protezione umanitaria, occorre precisare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).
3.2. Ciò posto, il ricorrente, nel dolersi della mancanza di valutazione del suo spiccato e qualificato impegno in attività sociali e di volontariato e dei contratti di lavoro, sollecita un improprio riesame del merito, avendo la Corte d’appello dato conto del percorso d’integrazione nella comparazione con la situazione del Paese d’origine. Il ricorrente neppure afferma di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). In particolare il ricorrente non precisa sulla base di quali elementi concreti, allegati nel giudizio di merito, sia configurabile la sua dedotta spiccata integrazione nel territorio italiano, con quali modalità sia avvenuta l’integrazione lavorativa e quali i dati specifici da cui risulti un suo effettivo radicamento nel territorio nazionale ex art. 8 CEDU. La produzione della documentazione di lavoro allegata alla memoria illustrativa è inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non concernendo alcuna delle ipotesi previste da detta ultima norma.
4. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021