Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25109 del 16/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23728/2020 proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Rosaria Tassinari, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2127/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2127/2020 depositata il 23-7-2020, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da B.S., cittadino del Senegal, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese in quanto temeva di essere arrestato a causa del proprio orientamento omosessuale, scoperto dai suoi fratellastri e denunciato all’iman del villaggio e alla polizia. La Corte territoriale, condividendo il giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione del Senegal, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza. Quanto al diniego della protezione umanitaria, la Corte di merito ha affermato che l’appello era generico sul punto e che, in ogni caso, non fossero ravvisabili elementi di estrema vulnerabilità, idonei a pregiudicare l’esercizio di diritti fondamentali, non essendo all’uopo sufficiente una difficile condizione economica, specie in un contesto di progressivo miglioramento quale era quello del Senegal, e che non fosse pertanto rilevante il grado di radicamento del richiedente in Italia, riconducibile all’attività di addetto alla lavanderia presso la Cooperativa in cui egli era ospitato.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello assolto all’onere di cooperazione istruttoria al fine di verificare la verosimiglianza della vicenda personale narrata e le persecuzioni e pene detentive previste dalla legislazione del suo Paese per il suo orientamento sessuale, nonché lamentando la violazione del principio dell’onere probatorio attenuato e l’errata valutazione dei parametri di credibilità, essendo comprensibili, anche in relazione al livello di cultura del richiedente, le lacune del suo racconto, per essere egli arrivato in Italia dopo un lungo viaggio in luoghi pericolosi e “in mano a trafficanti”; (ii) con il secondo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere verificato la Corte d’appello la sussistenza nel suo Paese e nella regione del Casamance di una situazione di violenza indiscriminata mediante concreta ed attuale indagine, richiamando quanto risulta dal sito viaggiare sicuri della Farnesina pubblicato nel 2015, nonché pronunce di questa Corte e di merito; (iii) con il terzo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, tenendo conto della suo comportamento irreprensibile e della sua positiva integrazione in Italia, raggiunta tramite svariate attività di lavoro espletate continuativamente dal 2017, come da contratti, CUD 2020 (reddito annuale di circa Euro 15.000), e buste paga prodotti in allegato al ricorso (doc. n. 5 e 6).

2.1 motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché difettano di specificità, non si confrontano con le ragioni della decisione e sollecitano una rivisitazione del merito.

2.1. Il giudizio di non credibilità è stato espresso, con motivazione adeguata, dalla Corte d’appello, che, in applicazione dei parametri di legge, ha evidenziato in dettaglio le plurime discrepanze e contraddittorietà del racconto del richiedente (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza impugnata), effettuando un accertamento di fatto non efficacemente sindacato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018; Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. 9 sentenza Country Report Human Rights Practices 2019; US department 11-3-2020; Amnesty International 8-4-2020), ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, il quale si imita a richiamare diffusamente pronunce di merito e di questa Corte o una fonte di data anteriore (pag. n. 10 ricorso), ancora una volta svolgendo considerazioni prive di specifica attinenza alla decisione impugnata.

2.3. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, afferma genericamente di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019), nonché sollecitando un improprio riesame del merito. La Corte d’appello ha affermato che non fosse rilevante il grado di integrazione del richiedente in Italia, all’esito della comparazione con la situazione del Paese di origine in caso di rimpatrio, facendo applicazione dei principi di cui alla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2019.

Il ricorrente non censura specificamente dette argomentazioni ed afferma di svolgere attività di lavoro come da documenti che allega al ricorso per cassazione, senza specificare se li ha allegati nel giudizio in appello, senza descriverne precisamente il contenuto ed invero senza neppure dolersi di omesso esame di fatti decisivi.

La produzione della documentazione di lavoro allegata al ricorso e’, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non rientrando in alcune delle ipotesi previste da detta ultima norma.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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