LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23765/2020 proposto da:
I.N., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Macaluso, con studio in Caltanissetta Corso Sicilia 105, elegge domicilio presso l’indirizzo di posta elettronica certificata antonella.macaluso.avvocaticl. legalmail.it;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (*****), in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 758/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 05/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino pakistano, ha narrato di avere lasciato il suo paese per ragioni economiche, poiché l’attività lavorativa che i svolgeva in patria, vendendo frutta, gli consentiva appena di sopravvivere.
Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Caltanissetta che ha confermato il giudizio della Commissione.
La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente escludendo il rischio di danno grave alla persona e in particolare il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando che, secondo le informazioni tratte dal report EASO 2018 nel paese di provenienza del ricorrente (Punjab) non si rileva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. La Corte ha inoltre escluso il diritto riconoscimento della protezione umanitaria rilevando che le mere difficoltà economiche prospettate dal soggetto non sono a tal fine sufficienti.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi.
Il Ministero non costituito tempestivamente ha depositato istanza per la partecipazione all’eventuale discussione orale.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 maggio 2021.
RITENUTO
Che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si menta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente deduce di avere contratto un grosso debito al fine di poter intraprendere il viaggio, che ancora oggi non è in grado di saldare e pertanto è esposto al rischio di trattamenti inumani e degradanti; inoltre che ha errato la Corte, fondandosi sul Report 2018 dell’EASO, a non considerare che nella regione di provenienza ricorrente perdura una violenza indiscriminata, omettendo di compiere un esame comparativo tra le informazioni provenienti dal ricorrente e la situazione nelle aree da esso indicate, da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione incombenti sull’autorità giurisdizionale. Deduce che il rapporto di Amnesty International dà una visione generale di come tale conflitto armato persiste; diverse fonti riferiscono di esplosioni con morti e feriti, scontri tra polizia e talebani e attentati suicida. Da ciò emerge una situazione di instabilità nel Punjab, come nel resto del Pakistan, che rende fondato il rischio che il ricorrente possa rimanere vittima di azioni contrarie ai diritti umani fondamentali.
2.1. Il motivo è infondato.
Il rischio di trattamenti inumani e degradanti conseguenti al mancato pagamento del debito è stato soltanto genericamente enunciato nel ricorso per cassazione e non si espone che in tali termini la questione è stata sottoposta – e se è stata sottoposta – al giudice d’appello, che nella sentenza tratta solo delle ragioni di disagio economico ma non anche del presunto pericolo persecutorio da parte dei creditori. In difetto di maggiori specificazioni deve quindi considerarsi questione nuova inammissibile in cassazione.
Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni sul paese di origine e specificamente sul Punjab zona di provenienza del ricorrente, da una fonte attendibile ed aggiornata (Report EASO 2018) che è stata esplicitamente menzionata in sentenza (Cass. n. 22527/2020). Le informazioni sono state assunte sul rischio specifico di cui all’art. 14, lett. c) e cioè il rischio di danno grave da violenza indiscriminata derivante da conflitto, escludendo che nella zona sia in corso un conflitto che genera violenza indiscriminata, e non con riferimento ad altri rischi non dedotti, quale il rischio di restare vittima occasionale di un attentato terroristico.
Nel fare riferimento a fonte informative sugli attentati terroristici, la difesa prospetta una nozione di violenza indiscriminata da conflitto armato che non collima affatto con quella rigorosa data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakite’ C- 285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte.
La determinazione del significato e della portata del concetto di conflitto armato va stabilita sulla base del significato abituale nel linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in materia di protezione internazionale (Diakite’, cit. p.27) e quindi “senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione” (Diakite’, cit. p.35).
Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.
Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). La Corte Europea ha infatti precisato che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Elgafaji, cit., p. 39). Con la conseguenza, a contrario, che se il riscontro individuale, come nel caso di specie, è del tutto assente, per beneficiare della protezione ex art. 14, lett. c), è richiesto l’accertamento di un grado molto elevato di violenza indiscriminata.
La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle limitazione delle libertà individuali, dalle tensioni sociali ed economiche, dalla povertà, dalla diffusione della criminalità comune e dal rischio di attacchi terroristici, di cui riferiscono le fonti citate dal ricorrente.
3.- Con il terzo motivo del ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; deduce che ha errato la Corte a non riconoscere la protezione umanitaria, perché l’affrancamento dalla condizione di povertà è un diritto inviolabile e la solidarietà sociale ed economica un obbligo costituzionale ed internazionale.
Il motivo è infondato, in quanto con esso non si prospetta una situazione di radicamento in Italia, né lo svolgimento di attività lavorativa, ma soltanto l’aspirazione a sottrarsi alla condizione di povertà dedotta dal richiedente, il quale ha rappresentato che in patri guadagnava solo ciò che era sufficiente “per mangiare”.
La Corte d’appello, nel ritenere che la mera difficoltà economica non costituisca ragione sufficiente della protezione umanitaria, si è attenuta ai principi più volte enunciati da questa Corte, secondo i quali le ragioni economiche rilevano se relative a una condizione di assoluta ed inemendabile povertà, tale da potersi ritenere la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale (Cass. 16119/2020; Cass. n. 12418/2021Cass. n. 1745/2021).
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Nulla sulle spese il difetto di regolare costituzione della parte intimata.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021