Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25122 del 16/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24413/2020 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Muzio Clementi 51, presso lo studio dell’avvocato Santagata Valerio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Miraglia Raffaele;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (*****) in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 89/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino nigeriano proveniente dall’Edo State, Benin City, ha chiesto la protezione internazionale, narrando di avere lasciato il suo paese per timore dei membri del culto segreto *****, e per le minacce subite dopo la scomparsa del fratello che era stato affiliato alla setta.

Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Caltanissetta che ha confermato il giudizio della Commissione.

La Corte d’appello di Bologna ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente rilevando che il racconto è privo di dettagli e comunque non compatibile con le informazioni assunte sulla setta tramite il sito *****. Escluso il rischio individuale per la inattendibilità della storia, la Corte ha valutato il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), escludendolo, poiché sulla base delle informazioni tratte rapporto UDOS del Dipartimento degli Stati Uniti 2019 il conflitto sollevato dai militanti di Boko ***** riguarda il nord est della Nigeria e non l’Edo State. Ha escluso infine la protezione umanitaria ritenendo insussistente una condizione di vulnerabilità in quanto al ricorrente, pur soffrendo di disturbi psicologici post traumatici, non è stata diagnosticata una vera e propria patologia, né si prospetta, in relazione alla situazione in cui si troverebbe a seguito di rimpatrio nel paese di origine, un rischio di lesione dei diritti fondamentali.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a cinque motivi.

Il Ministero, non costituito tempestivamente ha depositato istanza per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 maggio 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 11 e 32, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione agli artt. 24,111 Cost. e art. 6 CEDU, per omesso approfondimento istruttorio sulle dichiarazioni asseritamente confuse ed incoerenti del ricorrente, e la illogicità della motivazione sul punto, in violazione del principio del contraddittorio e della parità delle armi.

Deduce che non possono essere assunte a motivo principale del giudizio negativo di credibilità affermazioni contraddittorie o circostanze sulle quali non è stato dato modo al richiedente di interloquire, in violazione del principio di parità delle armi e del contraddittorio. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto inconferente in quanto si limita a richiamare fonti di carattere generale e lontane nel tempo rispetto ad informazioni più specifiche sulla zona di provenienza, riportate dal ricorrente nell’appello e nella memoria conclusiva. La Corte avrebbe quindi omesso di adempiere all’obbligo di cooperazione istruttoria.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Deduce il vizio di motivazione della sentenza per avere la Corte d’appello escluso la protezione sussidiaria sulla base della sola credibilità soggettiva del ricorrente.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

1.1.- La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi di quanto narrato dal richiedente, ma secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (v. Cass. 26921/2017, Cass. n. 08282/2013; Cass. n. 24064/2013) Per la valutazione di credibilità del racconto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, indica quattro principali criteri di valutazione e cioè: a) la coerenza interna, che riguarda le eventuali incongruenze, discrepanze o omissioni presenti nelle dichiarazioni, rilevabili direttamente dal racconto; b) la coerenza esterna, che si riferisce alla coerenza tra il resoconto del richiedente e prove di altro tipo ottenute dalle autorità competenti, comprese le informazioni sul paese di origine, c) la sufficienza dei dettagli, poiché di regola il dettaglio è indicativo di una vicenda effettivamente vissuta; d) la plausibilità o verosimiglianza, e cioè che si tratti di un fatto possibile, nonché apparentemente ragionevole, verosimile o probabile. La norma deve poi essere integrata con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il quale prevede che ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalle apposite agenzie internazionali.

Ciò posto deve osservarsi che la Corte d’appello ha correttamente seguito la procedura di cui all’art. 3, poiché le dichiarazioni del richiedente, che è stato ascoltato in Commissione, sono state vagliate e ritenute non circostanziate; la Corte osserva inoltre che che non sono state spiegate, neppure nel ricorso in appello, le incongruenze e le lacune già rilevate in Commissione.

Non può dirsi pertanto che alla parte sia mancata la possibilità di difendersi, contestare la decisione e spiegare le incongruenze in cui è incorsa, perché già la Commissione territoriale aveva esplicitato le ragioni del giudizio negativo e avverso detta decisione è stato riproposto ricorso in Tribunale e di seguito appello, e pertanto la parte ha avuto ogni possibilità di interloquire sul punto.

Il dovere di cooperazione non comporta alcun obbligo di comunicare al richiedente un preavviso di rigetto della domanda, né di indicargli anticipatamente gli argomenti sui quali l’autorità decidente intende basare il rigetto così da consentire al richiedente di far valere il suo punto di vista a proposito (CGUE, M.M. c. Irlanda 22.11.2012, causa 277/11).

1.2.- Inoltre, la Corte ha assolto il dovere di cooperazione istruttoria, valutando anche la coerenza esterna del racconto, e rilevando che le dichiarazioni del ricorrente non collimano con le informazioni assunte sul modus operandi della setta, informazioni tratte da fonte che viene citata in sentenza, con la relativa data ed indicata anche con il collegamento ipertestuale (Cass. n. 22527/2020).

Si deve quindi rilevare il corretto svolgimento della attività di cooperazione istruttoria presuppone che tutti i soggetti coinvolti assolvano i propri compiti, poiché anche il richiedente asilo ha il dovere di cooperare per una corretta istruzione della domanda compiendo ogni ragionevole sforzo per motivarla e circostanziarla (art. 13 Direttiva 2013/32/UE e art. Direttiva 2011/95/UE) mentre il compito del giudicante si esplica in termini di integrazione istruttoria (Cass. n. 16411/2019), trattandosi di cooperazione con la parte e non sostituzione ad essa, sicché le relative modalità di svolgimento devono essere improntate a criteri di trasparenza, di modo che la terzietà dell’organo giudicante non ne risulti compromessa (Cass. 29056/2019); il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020).

Il ricorrente deduce che la Corte avrebbe dovuto assumere informazioni più aggiornate e che egli stesso avrebbe offerto nel giudizio di merito una “mole” di informazioni, ma non esplicita quale contenuto diverso -in ipotesi- avrebbero dette informazioni sulle questioni pertinenti e per quale ragione esse sarebbero decisive.

1.3.- Il motivo è peraltro carente anche sotto il profilo della rappresentazione del rischio, poiché la persecuzione da agente privato rileva solo nel caso in cui l’organizzazione statale non sia in grado di proteggere il suo cittadino, punto che nel ricorso non è specificamente affrontato, non riferendosi neppure se il richiedente ha chiesto la protezione delle autorità, e se questa gli è stata in concreto negata, limitandosi ad affermare che egli non ha fiducia nelle autorità “notoriamente colluse con il gruppo criminale”.

Nel processo di protezione internazionale, tuttavia, qualora sia evidenziato il rischio di persecuzione o danno grave da agente privato, il giudice non deve valutare in astratto l’efficienza dei sistemi giudiziari dei paesi terzi, né fare riferimento a presunti “fatti notori” apoditticamente affermati, bensì verificare se in concreto e in quella specifica situazione la protezione dello Stato si è rivelata o potrebbe rivelarsi inefficiente, indagine che il giudice non può compiere se il richiedente non illustra i dettagli della propria vicenda individuale anche su questo punto.

2.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonché l’omessa valutazione di un fatto decisivo con riferimento alla situazione socio politica attuale di Edo State. Il ricorrente deduce che è stata esclusa la situazione di violenza indiscriminata senza citare fonti nuove rispetto a quelle richiamate dalla Commissione e per smentire le fonti e la giurisprudenza di merito citate dall’attore in corso di giudizio; la situazione del paese d’origine quindi non è stata valutata in modo non aggiornato.

Il motivo è infondato.

2.1- Nella sentenza impugnata, che è stata pronunciata in data 8 ottobre 2019, si fa riferimento ad un rapporto del Dipartimento degli Stati Uniti pubblicato in data 13 marzo 2019, indicandone anche il collegamento ipertestuale; sulla base delle informazioni contenute in questo rapporto si è esclusa la sussistenza di un conflitto armato nella zona di provenienza del ricorrente, conflitto localizzato invece nella zona nord-est della Nigeria. La Corte ha poi evidenziato che la situazione nell’Edo State non è mutata rispetto a quanto riportato nelle informazioni assunte dalla Commissione territoriale.

In assenza di un conflitto armato nella zona di effettiva provenienza eventuali criticità di diversa natura (criminalità comune, discriminazioni sociali, povertà) non rilevano ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), posto che il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019).

3.- Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria ovvero al riconoscimento di asilo costituzionale.

La parte deduce che la Corte avrebbe violato i parametri delineati dal legislatore nell’esame delle dichiarazioni del richiedente asilo e di non aver contestualizzato le dichiarazioni nella cornice delle fonti di informazione relativa al paese di origine. In particolare in Edo State le violazioni del diritti umani sono di entità tale da configurare un grave motivo umanitario e le persone di religione cristiana come il ricorrente sono esposte alle persecuzioni settarie.

Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per non avere la Corte tenuto in considerazione i traumi subiti in Libia dal ricorrente.

I motivi sono entrambi infondati.

3.1.- Esclusa, come sopra si è detto, la credibilità del ricorrente, ai fini della protezione umanitaria possono rilevare non già i fatti ritenuti non veritieri, ma solo eventuali fatti diversi ad esempio le condizioni di vulnerabilità sorte dopo la fuga dal paese, se ed in quanto vengano positivamente accertati; la necessità

dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass. 29624/2020).

Le ragioni di asserita persecuzione in patria non possono pertanto essere riproposte ai fini del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Inoltre, quanto alle esperienze vissute nei paesi di transito, non risponde a verità che la Corte non abbia valutato i traumi subiti in Libia dal ricorrente e la sua attuale condizione di salute.

La valutazione è stata operata, sulla base dei documenti versati in atti, e si è esclusa con giudizio di fatto, di cui in questa sede non si può sollecitare la revisione, la condizione di vulnerabilità.

Ne consegue il rigetto del ricorso; nulla sulle spese il difetto di regolare costituzione della parte intimata.

PQM

Rigetta il ricorso Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472