LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26135/2020 proposto da:
E.S., elettivamente domiciliato in elettivamente domiciliato in Bozzolo (Milano) via Poerio 12, presso l’avv. Paolo Novellini, del Foro di Milano che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (*****), in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1804/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 17/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino nigeriano originario dell’Edo State ha dichiarato di essere fuggito dal suo paese a seguito di una lite per un terreno conteso; i suoi contendenti hanno cercato di ucciderlo con un machete procurandogli una ferita al braccio; non si è rivolto alla polizia perché solo le persone abbienti ottengono giustizia ed è fuggito. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Brescia, che ha confermato il giudizio della Commissione.
La Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente rilevando che i fatti descritti negli atti difensivi e cioè nel ricorso di primo grado e nell’atto d’appello trovano riscontro solo parziale nel verbale di audizione personale e quindi il racconto è stato ritenuto non plausibile. Si esclude poi la situazione di conflitto armato sulla base del rapporto EASO 2019. La Corte esclude anche la protezione umanitaria rilevando che non sono state allegate condizioni di vulnerabilità soggettiva e oggettiva e che il racconto è stato considerato inattendibile.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.
Il Ministero, non costituito tempestivamente, ha depositato istanza per la partecipazione all’eventuale discussione orale.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 maggio 2021.
RITENUTO
Che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis. Il ricorrente deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice d’appello che non ha reiterato l’audizione del richiedente e non ha approfondito la situazione di diffusa violenza indiscriminata perpetrata da numerosi gruppi terroristici di matrice islamica né acquisito informazioni sulla capacità della polizia di proteggere il richiedente in relazione alle minacce ricevute; il ricorrente contrariamente a quanto esposto in sentenza non poteva fare affidamento sulla polizia, notoriamente corrotta come si evince dal Rapporto 2014 di Transaparency International.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha assunto informazioni pertinenti sulla non sussistenza di un conflitto armato nella zona di provenienza, da fonte qualificata, che ha citato in sentenza, e cioè il report EASO 2019 (Cass. n. 22527/2020). In particolare la Corte ha rilevato che la zona di provenienza del ricorrente non è interessata da attacchi terroristici e comunque essi non hanno collegamento ai fatti narrati.
Quanto alla attendibilità del racconto, la Corte, come già il giudice di primo grado, ha rilevato la presenza di incongruenze e lacune, nonché la prospettazione degli atti difensivi di circostanze che non trovano riscontro nelle dichiarazioni rese dall’interessato.
Questa Corte, in più occasioni, ha escluso che il giudice, ritenuto inattendibile intrinsecamente il racconto, debba anche assume informazioni (COI) sul paese di origine (Cass. n. 28862/2018; Cass. n. 33858/2019; Cass. n. 08367/2020).
Se il racconto è affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, la ricerca delle COI è inutile perché manca alla base una storia individuale attendibile rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la plausibilità ed il livello di rischio; il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020).
Anche il profilo di rischio individuale non è adeguatamente esposto in ricorso, poiché la valutazione del profilo di rischio individuale deve farsi in concreto e non in astratto, e non è possibile valutarlo se la parte non richiede la protezione della autorità e non spiega per quale ragione ciò non è stato possibile, se non con una generica attestazione di sfiducia nelle forze dell’ordine, perché “notoriamente corrotte”.
Nel processo di protezione internazionale, qualora sia evidenziato il rischio di persecuzione o danno grave da agente privato, il giudice non deve valutare in astratto l’efficienza dei sistemi giudiziari dei paesi terzi, bensì verificare se in concreto e in quella specifica situazione la protezione dello Stato si è rivelata o potrebbe rivelarsi inefficiente, indagine che il giudice non può compiere se il richiedente non illustra i dettagli che della propria vicenda individuale anche su questo punto.
2.- Con il secondo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e art. 14, lett. c).
Deduce che ha errato la corte d’appello a non dare alcun rilievo alla situazione di violenza e instabilità del paese d’origine attestata anche da diversa giurisprudenza di merito, che mette in rilievo la grave violazione dei diritti umani in Nigeria.
Il motivo è infondato. A fronte di una specifica ricerca eseguita dalla Corte sulla situazione nel paese di origine di richiedente (Edo State), la difesa tratta genericamente di violazione di diritti umani in Nigeria.
Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C, la Corte ha quindi assolto al dovere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni sul paese di origine e sulla zona di provenienza del ricorrente, da una fonte attendibile ed aggiornata (Report EASO 2019) che è stata esplicitamente menzionata in sentenza (Cass. n. 22527/2020). Le informazioni sono state assunte sul rischio specifico di cui all’art. 14, lett. c) e cioè il rischio di danno grave da violenza indiscriminata derivante da conflitto, escludendo che nella zona sia in corso un conflitto che genera violenza indiscriminata, e non con riferimento ad altri rischi non dedotti, quale il rischio di violazioni di diritti umani non meglio specificati e di instabilità politica.
La difesa prospetta una nozione di violenza indiscriminata da conflitto armato che non collima affatto con quella rigorosa data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakite’ C- 285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte.
La determinazione del significato e della portata del concetto di conflitto armato va stabilita sulla base del significato abituale nel linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in materia di protezione internazionale (Diakite’, cit. p.27) e quindi “senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione” (Diakite’, cit. p.35).
Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.
Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). La Corte Europea ha infatti precisato che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Elgafaji, cit., p. 39).
La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle limitazione delle libertà individuali, dalle tensioni sociali ed economiche, dalla povertà, dalla diffusione della criminalità comune, dalla vendetta mirata e dal rischio di attacchi terroristici.
3.- Con il terzo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Deduce che la condizione del ricorrente è di oggettiva e soggettiva vulnerabilità per l’estrema situazione di povertà e l’assenza di riferimenti sociali nel paese d’origine, per il grave episodio di aggressione già subito, nonché per la pandemia in corso.
Il motivo è inammissibile.
La parte si limita genericamente a denunciare una serie di criticità che riguardano il suo paese di origine – e non soltanto il suo paese d’origine, poiché la pandemia riguarda il mondo intero – senza specificare come refluiscono sulla sua situazione individuale e ciò a fronte di un giudizio di fatto reso dalla Corte, sull’assenza di condizioni di vulnerabilità, del quale non può sollecitarsi la revisione in questa sede.
Ne consegue il rigetto del ricorso; nulla sulle spese il difetto di regolare costituzione della parte intimata.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021