Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25129 del 16/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27610/2020 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Macaluso, con studio in Caltanissetta Corso Sicilia 105, elegge domicilio presso l’indirizzo di posta elettronica certificata antonella.macaluso.avvocaticl.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (*****), in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 17/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere relatore Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino pakistano, ha narrato di avere lasciato il suo paese temendo di essere ucciso dai membri del partito *****, poiché ha causato in modo accidentale la morte di due iscritti. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Caltanissetta che ha ritenuto la storia poco credibile e confermato il giudizio della Commissione.

La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente rilevando che l’appello riguarda soltanto la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Corte rileva che secondo quanto risulta dal rapporto EASO 2018/2019 e altre fonti nel paese dl provenienza del ricorrente (Punjab) non si rileva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. La Corte ha infine escluso il diritto al riconoscimento della protezione umanitaria dando atto che pur se il soggetto è integrato ed ha un rapporto di lavoro a tempo determinato la inverosimiglianza del racconto non dà contezza delle ragioni di uno sradicamento dal territorio di origine ed egli ha in ogni caso la possibilità di reintegrarsi nel suo paese di origine perché colà vivono i suoi familiari e potrà riprendere il precedente percorso di vita.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi.

Il Ministero, non costituito tempestivamente, ha depositato istanza per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 maggio 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta si lamenta la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

Il ricorrente deduce che ha errato la Corte a non considerare il rischio di trattamenti inumani degradanti non avendo inquadrato la storia del ricorrente nel contesto delle condizioni socio economiche della zona di provenienza dove imperversa la violenza di gruppi politici. Ha inoltre errato la Corte – fondandosi sul Report 2018/2019 dell’EASO – a non considerare che nella regione di provenienza del ricorrente perdura la violenza indiscriminata, omettendo di compiere un esame comparativo tra le informazioni provenienti dal ricorrente e la situazione nelle aree da esso indicate, da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione incombenti sull’autorità giurisdizionale. Deduce che il rapporto di Amnesty International dà una visione generale di come tale conflitto armato persiste; diverse fonti riferiscono di esplosioni con morti e feriti, scontri tra polizia e talebani e attentati suicida. Da ciò emerge una situazione di instabilità nel Punjab, come nel resto del Pakistan, che rende fondato il rischio che il ricorrente possa rimanere vittima di azioni contrarie ai diritti umani fondamentali.

2.1. Il motivo è infondato.

Per quanto riguarda il rischio individuale si osserva che detto rischio è già stato escluso dal giudice di primo grado e sul punto il ricorrente non ha proposto appello, poiché la Corte espressamente rileva che egli ha censurato la sentenza di primo grado lamentando il rischio di violenza indiscriminata sussistente nel paese di origine ai sensi dell’art. 14, lett. c). Sono pertanto inconferenti nel motivo di ricorso i richiami alla storia individuale del ricorrente e deve considerarsi censura nuova l’ipotesi della minaccia grave e individuale alla sua sicurezza.

Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), si osserva che la Corte ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni sul paese di origine e specificamente sul Punjab, zona di provenienza del ricorrente, da una fonte attendibile ed aggiornata (Report EASO 2018/2019) che è stata esplicitamente menzionata in sentenza (Cass. n. 22527/2020). Le informazioni sono state assunte sul rischio specifico di cui all’art. 14, lett. c) e cioè il rischio di danno grave da violenza indiscriminata derivante da conflitto, escludendo che nella zona sia in corso un conflitto che genera violenza indiscriminata, e non con riferimento ad altri rischi non dedotti, quale il rischio di restare vittima occasionale di un attentato terroristico.

Nel fare riferimento a fonti informative sugli attentati terroristici, la difesa prospetta una nozione di violenza indiscriminata da conflitto armato che non collima affatto con quella rigorosa data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Eigafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakite’ C-285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte. La determinazione del significato e della portata del concetto di conflitto armato va stabilita sulla base del significato abituale nel linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in materia di protezione internazionale (Diakite’, cit. p.27) e quindi “senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione” (Diakite’, cit. p.35).

Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.

Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per a sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). La Corte Europea ha infatti precisato che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Elgafaji, cit., p. 39). Con la conseguenza, a contrario, che se il riscontro individuale, come nel caso di specie, è del tutto assente, per beneficiare della protezione ex art. 14, lett. c), è richiesto l’accertamento di un grado molto elevato di violenza indiscriminata. La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle limitazione delle libertà individuali, dalle tensioni sociali ed economiche, dalla povertà, dalla diffusione della criminalità comune e dal rischio di attacchi terroristici, di cui riferiscono le fonti citate dal ricorrente.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; deduce che ha errato la Corte a non riconoscere la protezione umanitaria, in relazione alla situazione di generale insicurezza del suo paese per la violazione dei diritti umani che in esso costantemente avvengono. Il motivo è inammissibile in quanto con esso si sollecita la revisione del giudizio di fatto operato dalla Corte, la quale ha ritenuto che il richiedente non è esposto in caso di rimpatrio a rischio di lesione dei diritti fondamentali.

Il motivo di ricorso è peraltro generico e si limita a una dissertazione di massima sui presupposti della protezione umanitaria ma senza specifici riferimenti a come le dedotte criticità del paese di origine inciderebbero sulla posizione individuale.

Ne consegue il rigetto del ricorso; nulla sulle spese il difetto di regolare costituzione della parte intimata.

PQM

Rigetta il ricorso Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472