LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1336/2017 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Chiara Correnti, rappresentato e difeso dagli avvocati Giada Ferrara, Francesco Patti;
– ricorrente –
contro
C.F., D.F.C.C., elettivamente domiciliati in Roma, Via G. Pisanelli 2, presso lo studio dell’avvocato Francesca Romana Fuselli, rappresentati e difesi dall’avvocato Luigi Bonanno Feldmann;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 874/2016 della Corte d’appello di Catania, depositata il 31/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/09/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– il sig. B.G., promittente venditore, impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Catania che in accoglimento dell’appello proposto da C.F. e D.F.C.C., promissari acquirenti, ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto preliminare da lui proposta con citazione notificata nel 1996;
– il B. aveva dedotto a fondamento della domanda di risoluzione del contratto preliminare di compravendita intervenuto fra le parti il 3 settembre 1985 ed avente ad oggetto un appartamento sito in *****, che erano rimasti insoluti alcuni effetti cambiari rilasciati in pagamento del corrispettivo;
– l’adito Tribunale di Catania aveva accolto la domanda attorea ed i convenuti soccombenti appellavano la statuizione deducendo l’erroneità del rigetto dell’eccezione di prescrizione decennale dell’azione di risoluzione per inadempimento, l’erroneo rigetto delle istanze istruttorie volte ad accertare l’avvenuto pagamento a mezzo compensazione in virtù di accordo stipulato fra le parti ed avente ad oggetto l’esecuzione da parte del C. di lavori di muratura in due appartamenti, posti all’ultimo piano del medesimo edificio ove si trova quello oggetto del preliminare, su incarico della sig.ra M. e del suo procuratore generale B.G.;
– gli appellanti deducevano, altresì, l’erroneità del rigetto della domanda di usucapione per non avere la corte d’appello rilevato l’interversio possessionis;
– la Corte d’appello di Catania ha ritenuto fondato il secondo motivo di gravame riguardante l’allegata compensazione volontaria ex art. 1252 c.c. e, alla stregua dell’istruttoria testimoniale svolta in appello, ha ravvisato la prova dell’effettiva esecuzione dei lavori, che non furono mai pagati, e dell’accordo intervenuto fra le parti per la reciproca elisione delle rispettive ragioni di credito;
– la corte territoriale ha riformato quindi la sentenza del primo giudice e accolto la domanda riconvenzionale di trasferimento coattivo del bene ex art. 2932 c.c.;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dal B. con ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, cui resistono i controricorrenti.
CONSIDERATO
che:
– con l’unico motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione di legge con inesatta applicazione della giurisprudenza della Corte nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti;
– assume il ricorrente di avere sempre contestato il credito invocato in compensazione da parte dei promissari acquirenti;
– afferma in proposito il ricorrente che tale contestazione sarebbe contenuta nelle note di udienza autorizzate e depositate in Corte d’appello all’udienza del 14/3/2011 ed in comparsa conclusionale, sempre nell’ambito del giudizio di appello;
– il ricorrente deduce, inoltre, l’illogicità della sentenza che non aveva valorizzato la circostanza della mancata richiesta di restituzione degli effetti insoluti e la valutazione delle prove testimoniai;
– il motivo è inammissibile;
– come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 23745/2020 in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa;
– ebbene, nel caso di specie, il motivo non specifica la norma violata ma contesta la decisione con argomenti inidonei ad inficiare la pronuncia sia con riguardo alla violazione di legge che con riguardo alla motivazione non essendo indicato il fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti e non esaminato dalla corte di merito;
– il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;
– rileva il collegio l’insussistenza dei presupposti per la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti e liquidate in Euro 2300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge; respinge la domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021