Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25344 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristian – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15273/18 proposto da:

-) R.P., E.F., E.P., E.L., E.A.M., E.G., E.A., elettivamente domiciliati a *****, difesi dagli avvocati Rodolfo Crisci, e Fabrizio Crisci, in virtù di procura speciale apposta in margine al ricorso;

– ricorrenti –

contro

-) Unicredit S.p.A., volontariamente rappresentata da doBank S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, via Vittorio Veneto n. 108, difeso dall’avvocato Roberto Malizia, in virtù di procura generale alle liti;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Benevento 14 marzo 2018 n. 485;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2007 la società Unicredit Banca s.p.a. (che successivamente sarà incorporata dalla società Unicredit s.p.a.) iniziò l’esecuzione forzata nei confronti di sette suoi debitori, odierni ricorrenti.

Il titolo esecutivo posto a fondamento dell’esecuzione era rappresentato da un contratto di mutuo stipulato per atto pubblico l’8 giugno 2004.

2. Dopo sei anni dall’inizio dell’esecuzione, il giudice dell’esecuzione ordinò alla società creditrice il deposito di copia autentica del titolo, fissando a tal fine l’udienza del 24 ottobre 2013.

All’udienza del 24 ottobre 2013 il giudice dell’esecuzione, ritenendo che la società creditrice avesse depositato in giudizio una copia del titolo esecutivo, ma non l’originale, rinviò la causa ad una successiva udienza, affinché fosse depositato l’originale del titolo.

Alla successiva udienza il giudice dell’esecuzione con ordinanza 26 novembre 2014 dichiarò improcedibile la procedura esecutiva, ritenendo che l’ordine di deposito del titolo in originale fosse rimasto inevaso.

3. Avverso tale ultima ordinanza la Unicredit propose opposizione agli atti esecutivi, che venne accolta dal Tribunale di Benevento con sentenza 14 marzo 2018 n. 485.

A fondamento della decisione il Tribunale ritenne che:

-) la Unicredit, in quanto successore per incorporazione della Unicredit Banca, fosse legittimata a proporre l’opposizione agli atti esecutivi;

-) l’opposizione agli atti era tempestiva, in quanto proposta avverso l’ordinanza del 26 novembre 2014, vale a dire il provvedimento con cui era stata dichiarata l’improcedibilità dell’esecuzione; non aveva invece la Unicredit alcun onere di proporre opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza – definita dal Tribunale “interlocutoria” – del 24 ottobre 2013, in quanto tale provvedimento non aveva contenuto decisorio;

-) nel fascicolo dell’esecuzione era presente un sottofascicolo formato dal creditore procedente, nel quale era contenuto il contratto di mutuo in originale, nonché una copia conforme all’originale del contratto di mutuo, con apposizione della formula esecutiva in originale;

-) tali atti, secondo il Tribunale, dovevano ritenersi essere quelli depositati all’udienza del 24 ottobre 2013;

-) i suddetti atti soddisfacevano i requisiti di forma richiesti dagli artt. 474 e 475 c.c.

4. La sentenza suddetta è stata impugnata dai debitori esecutati con ricorso fondato su sei motivi.

Ha resistito con controricorso la Unicredit, per il tramite della propria mandataria doBank S.p.A.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nella intitolazione – del primo motivo i ricorrenti dichiarano di voler prospettare il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Nella illustrazione del motivo essi prospettano una tesi così riassumibile:

-) l’opposizione agli atti esecutivi era stata proposta dalla società Unicredit Gestione Crediti s.p.a., in seguito trasformata nella società Unicredit Credit Management Bank, nella veste di mandataria della Unicredit Banca;

-) anche la Unicredit Banca, tuttavia, si era fusa per incorporazione nella Unicredit;

-) l’estinzione sia della società rappresentata, sia della società rappresentante, aveva comportato l’insussistenza di qualsiasi potere rappresentativo in capo alla Unicredit Credit Management, la quale pertanto non poteva proporre l’opposizione all’esecuzione;

-) tale eccezione, ritualmente sollevata, non era stata esaminata dalla Corte d’appello.

1.1. Non è del tutto chiaro se col motivo in esame, ad onta della sua intitolazione, i ricorrenti abbiano inteso prospettare il vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di inesistenza del potere rappresentativo, oppure quello di violazione di legge (segnatamente, dell’art. 1722 c.c.).

In ogni caso nessuno dei suddetti vizi sussisterebbe.

1.2. Il vizio di omessa pronuncia non sussiste, in quanto la questione della legittimazione ad processum della società opponente è stata espressamente esaminata e decisa dal Tribunale (p. 3, ultimo capoverso, della sentenza impugnata).

1.2. Neanche sussiste il secondo dei vizi denunciati dai ricorrenti col primo motivo di ricorso; e per due indipendenti ragioni.

La prima ragione è che il mandato avente ad oggetto il recupero di crediti, conferito da un istituto di credito ad una società per azioni (a fortiori se appartenente alla medesima holding) rappresenta un mandato conferito per l’esercizio di atti relativi all’impresa; ed il mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa non si estingue per la morte del mandante; né per la morte del mandatario, se l’esercizio dell’impresa è continuato (art. 1722 c.c., n. 4).

La seconda ragione è che qualsiasi difetto di potere rappresentativo in capo alla società Unicredit Credit Management Bank sarebbe stato comunque sanato per facta concludentia dalla condotta della mandante Unicredit, la quale, resistendo nella presente sede al ricorso, mostra di volere ratificare l’operato della Unicredit Credit Management Bank.

2. Col secondo motivo i ricorrenti prospettano sia il vizio di violazione di legge, sia la nullità processuale, sia l’omesso esame d’un fatto decisivo.

Deducono che il Tribunale ha erroneamente accolto una opposizione che si sarebbe piuttosto dovuta dichiarare inammissibile, sia per mancanza di interesse, sia perché formulata in modo generico.

Chiariscono che l’opposizione si sarebbe dovuta dichiarare generica perché la società opponente si era limitata con essa ad eccepire di avere ritualmente depositato nel fascicolo della procedura esecutiva il titolo esecutivo munito di formula, ma “senza alcuna censura avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione”.

2.1. Il motivo è infondato.

Quanto alla dedotta carenza di interesse a proporre l’opposizione, rileva la Corte come nel caso di specie il giudice dell’esecuzione aveva pronunciato un’ordinanza di improcedibilità dell’esecuzione: con l’ovvia conseguenza che il creditore procedente aveva tutto l’interesse a rimuovere tale ordinanza dal mondo giuridico.

Nella parte, invece, in cui si sostiene che l’atto introduttivo del giudizio di opposizione fosse generico e privo di contenuto censorio, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che i ricorrenti non riassumono, né trascrivono, il contenuto di quell’atto.

3. Col terzo motivo i ricorrenti prospettano un ulteriore error in procedendo, sostenendo nella illustrazione del motivo una tesi così riassumibile:

-) il giudice dell’esecuzione con ordinanza pronunciata nell’udienza del 24 ottobre 2013 aveva ritenuto che la società creditrice non avesse depositato il titolo esecutivo e l’aveva invitata a farlo;

-) se la società procedente avesse ritenuto erronea tale ordinanza, era contro quest’ultima che avrebbe dovuto proporre l’opposizione agli atti esecutivi; la Unicredit, invece, non si dolse di tale ordinanza, e soltanto quando, oltre un anno dopo, il giudice dell’esecuzione dichiarò improcedibile l’esecuzione per omesso deposito del titolo esecutivo (26 novembre 2014), propose opposizione agli atti esecutivi contro questa seconda ordinanza, tardivamente.

3.1. Il motivo è infondato.

L’ordinanza del 24 ottobre 2013, trascritta dallo stesso ricorrente, contiene un giudizio e un ordine.

Il giudizio consiste nell’affermazione secondo cui la Unicredit non aveva depositato gli originali del titolo esecutivo munito di formula esecutiva, ma solo delle copie; l’ordine è quello di invitare “il procedente a depositare in originale gli atti oggi prodotti”.

Si tratta, dunque, di null’altro che un provvedimento ordinatorio di direzione del processo, ma non decisorio. E’, infatti, solo con il provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità dell’esecuzione che, in tesi, la procedura esecutiva ha deviato dal suo modello legale- e non certo con l’ordinanza con cui il giudice, sia pure per errore, inviti una delle parti a depositare un documento in tesi già in atti.

4. Il quarto ed il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente.

Con essi i ricorrenti prospettano il vizio di nullità della sentenza e quello di omessa pronuncia.

Deducono che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto:

a) che nel fascicolo dell’esecuzione fosse stata prodotta la copia del contratto di mutuo con l’apposizione in originale della formula esecutiva;

b) che tali atti fossero stati prodotti all’udienza del 24 ottobre 2013.

4.1. Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili, perché censurano un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, quale è lo stabilire se una documento sia o non sia allegato agli atti processuali, e se costituisca l’originale o una copia.

5. Il sesto motivo, col quale i ricorrenti si dolgono della mancata compensazione delle spese da parte del giudice di merito, è manifestamente inammissibile. La compensazione delle spese, infatti, costituisce una valutazione discrezionale riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

Nel caso di specie peraltro, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..

6. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, in quanto il controricorso della doBank (nella qualità) va dichiarato inammissibile per difetto di procura.

La suddetta società, infatti, ha conferito al proprio difensore una procura generale ad lites per atto pubblico, nella quale però non è contenuto alcun riferimento al presente giudizio, e per di più è stata rilasciata non solo prima della notifica del ricorso, ma addirittura prima ancora della pubblicazione della sentenza impugnata nella presente sede.

Essa è dunque nulla per difetto di specificità, come correttamente osservato dai ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. Questa Corte, infatti, ha già stabilito essere inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto da un avvocato munito di una procura notarile di carattere generale, priva di ogni riferimento alla sentenza impugnata e all’impugnazione da proporsi (ex multis, Sez. U -, Sentenza n. 10266 del 27/04/2018, Rv. 648132 – 03; Sez. 2, Sentenza n. 7611 del 14/08/1997, Rv. 506780 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6022 del 29/05/1995, Rv. 492545 – 01). Segue il c.d. raddoppio del contributo unificato.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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