LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18122/2019 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38 presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****;
– intimato –
avverso il decreto n. 3794/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 19/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.
Ritenuto che:
Il Tribunale di Milano rigettava la domanda presentata da G.A. diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.
Il primo Giudice rilevava che il racconto offerto dal richiedente non poteva ritenersi credibile anche tenendo conto della mancata scolarizzazione dello stesso apparendo generico e vago con riferimento alle modalità dell’aggressione relativa ai suoi genitori e contraddittorio con riferimento ad alcuni elementi fattuali del narrato per i quali non era plausibile per una persona analfabeta che potessero essere oggetto di versione diverse.
Osservava che il paventato pericolo di vita non poteva ritenersi attuale risalendo i fatti all’anno 2015.
Il Tribunale considerava pertanto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato non ravvisando alcuna delle condizioni previste dalla legge.
Escludeva poi per il richiedente provenisse dalla località del ***** sottolineando che lo stesso non era stato in grado di descrivere in alcun modo tale area. Osservava che le dichiarazioni rese avanti alla Commissione territoriale inducevano a ritenere che il ricorrente fosse nato a ***** così come i suoi familiari e che il profilo linguistico ed etnico rendeva credibile tale provenienza. Rilevava che non erano invece motivate le ragioni del trasferimento del ricorrente e di tutta la sua famiglia nella regione dove si trova la località di ***** tanto più non plausibile in ragione del fatto che la famiglia fosse dedita all’allevamento e quindi ad un radicamento sul territorio generalmente stanziale o comunque collocabile in un area territoriale genericamente circoscritta.
Sottolineava che la zona di provenienza del ricorrente appariva estranea alle condizioni di criticità e di violenza generalizzata.
Con riguardo alla protezione umanitaria evidenziava che il rientro nella zona di *****’ non avrebbe determinato per il ricorrente l’esposizione ai paventati pericoli a ciò doveva aggiungersi che non erano state allegate e dimostrate ragioni di vulnerabilità quanto alla persona del richiedente trattandosi di persona adulta, non affetta da patologie significative o necessitanti di specifiche cure non reperibili in Italia e che mancava anche la prova di un effettivo radicamento nel nostro territorio.
G.A. propone ricorso per cassazione affidato a 4 motivi.
Il Ministero è rimasto intimato.
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 35 bis, comma 8 e ss. che rende obbligatoria l’audizione del ricorrente in assenza della video registrazione.
Si lamenta che il Tribunale non avrebbe potuto limitarsi a ritenere che l’audizione dinnanzi alla Commissione era stata condotta in maniera esaustiva per negare il diritto del ricorrente ad essere ascoltato direttamente o anche in video sottolineando che in assenza di tale incombente non può ritenere non credibile il racconto come è avvenuto nella specie ove il primo Giudice si è limitato a prendere atto di quanto già riferito in precedenza avanti alla commissione.
Con un secondo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 il non corretto esame delle dichiarazioni rese avanti alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione personale del ricorrente.
Si contesta la valutazione espressa dal Tribunale in merito alla non credibilità del racconto sostenendo che il ricorrente avrebbe fornito un racconto dettagliato precisando le ragioni che lo avevano indotto alla fuga legata all’impossibilità di vedere garantiti i propri legittimi diritti in un ambiente ed in una situazione che di fatto declinano quel concetto di violenza generalizzata che ben può derivare dallo Stato o dalla sua assenza.
Si osserva che qualora le dichiarazioni rese dal richiedente risultano di incerta valutazione sussiste l’obbligo del giudice di attivarsi disponendo eventualmente l’audizione del richiedente per colmare le lacune probatorie o chiarire il contenuto delle sue dichiarazioni.
Si rileva infine come del tutto assente è poi la considerazione dell’integrazione sociale in Italia sottolineando che in funzione del tempo trascorso in Italia il richiedente avrebbe meritato la protezione sussidiaria ricorrendo i presupposti di legge.
Con il terzo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in ragione delle condizioni socio politiche del Paese d’origine; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 omessa applicazione dell’art. 10 Cost. contraddittorietà fra le fonti citate il loro contenuto e le conclusioni raggiunte nonché si deduce la motivazione apparente.
Si critica altresì la decisione nella parte in cui ha ritenuto non sussistente una situazione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del *****.
Si osserva che il Tribunale avrebbe posto a fondamento della sua decisione una motivazione che pur apparentemente esistente si doveva considerare assente dal punto di vita logico-funzionale essendo giunta ad esporre un ragionamento che esprime grandi perplessità e che risulta obbiettivamente incomprensibile. Con il quarto motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno per motivi umanitari nonché la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese d’origine e che ivi possa correre gravi rischi anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 alla L. n. 110 del 2017 che ha introdotto il reato di tortura e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e dell’art. 3CEDU.
Si sostiene che nel caso di specie si sarebbero dovuti ritenere soddisfatti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria essendosi accertate le gravissime condizioni socio-politiche attualmente esistenti in *****. Il primo motivo è infondato.
Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero” (Cass. 5973/2019); si tratta di adempimento dunque non strettamente necessario, “a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 21584/2020);
Nel motivo, invece, non è dato superare il principio per cui, proprio nel solco di quanto affermato da Cass. 21584/2020, “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza” (Cass. 25312/2020); va pertanto ribadito che il principio “equivale a costruire l’audizione pur sempre come oggetto di una facoltà, non di un obbligo; sebbene di una facoltà che, laddove esercitata in un senso o nell’altro, presupponga (come ovvio) l’esplicitazione dei motivi della afferente decisione”.
Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, al diritto di essere sentito e alla violazione del diritto di difesa, senza indicare i fatti che avrebbero dovuto essere oggetto di chiarimento e senza spiegare neppure l’incidenza degli stessi nel caso in esame. Questa Corte, di recente, ha affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).
Ed ancora più di recente, nel solco di quanto affermato dalla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 21584/2020, è stato precisato che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass., 1:1 novembre 2020, n. 25312; 2021 nr 11572).
Tale onere, nella specie, come già detto, non risulta essere stato adempiuto.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).
Il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.
Nella fattispecie il giudice di merito ha motivatamente escluso, la attendibilità del racconto, per cui non aveva alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.
Il decreto impugnato infatti ha messo in evidenza numerose contraddizioni riguardanti aspetti non secondari del racconto del richiedente la protezione (pag 5 e 6) e ha valutato la sostanziale “coerenza” e “plausibilità” del racconto, con un apprezzamento di fatto, peraltro, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass., 5 febbraio 2019, 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).
Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.
Il terzo motivo è infondato.
La motivazione del decreto impugnato, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, è tale da integrare pienamente il c.d. “minimo costituzionale della motivazione” – che solo consente di ritenere il provvedimento giurisdizionale legittimo ai sensi del combinato disposto dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., S.U., n. 8053/2014) -, giacché presenta un apparato argomentativo sufficiente, adeguato e coerente, mettendo in evidenza le ragioni per le quali l’area di provenienza del richiedente non sia interessata da una violenza generalizzata.
Il Tribunale ha infatti messo in luce, all’esito del giudizio di non credibilità reso sulle dichiarazioni del ricorrente e dell’esame delle fonti internazionali reperite, che il richiedente avesse indicato la sua effettiva zona di provenienza dal ***** e che nel Paese di origine del migrante ricorresse la situazione di violenza indiscriminata e diffusa, necessaria per riconoscere tale forma di protezione.
Ha chiarito che la situazione di insicurezza fosse localizzata in altre aree del Paese, precisamente nelle regioni settentrionali e centrali del ***** che avevano comportato un altissimo numero di sfollati proprio nella località di *****.
Inoltre, l’accertamento del ricorrere di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, compiuta a norma D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018); a fronte di tali accertamenti che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).
Relativamente alla domanda di protezione umanitaria il motivo si rivela inammissibile, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal primo Giudice in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede. Il ricorrente, peraltro, svolge doglianze totalmente generiche e, non curandosi nemmeno della specifica ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata (costituita dalla non credibilità del racconto), sollecita un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto con specifico riferimento alla situazione del paese di provenienza, effettuata dal Tribunale, che ha, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva.
In tale contesto non utile si mostra nella specie il riferimento al principio di non refoulement di cui all’art. 3 CEDU atteso che il pericolo per il richiedente di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti nel suo paese di origine è stato escluso dal giudice di merito.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021