Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25377 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27001/2020 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, e rappresentato e difeso dall’avvocato Assunta Fico;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1099/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 29/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2021 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 1099/2020 depositata in data 29/7/2020, ha respinto l’impugnazione di O.S., cittadino *****, avverso ordinanza del Tribunale che aveva respinto la sua richiesta, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello, ritenuta preliminarmente non necessaria una nuova audizione del richiedente, hanno sostenuto che: il racconto del richiedente (essere scappato dal Paese d’origine, per il timore di subire ritorsioni, essedo stato sequestrato e tenuto prigioniero per quindici giorni in un capannone, per avere rifiutato un impiego che gli aveva offerto il suo datore cli lavoro, senza specificare di cosa si trattasse) era non credibile, per genericità ed incoerenza, e, in ogni caso, doveva essere confermato il giudizio del Tribunale sull’insussistenza dei presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; in ordine alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il motivo era infondato perché non sussisteva nel Sud della ***** una situazione di violenza indiscriminata (sulla base dei più accreditati siti di informazione: EASO 2017, Amnesty International, *****, *****, sito Ministero degli Esteri); neppure ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, non essendo sufficiente la mera aspirazione a condizioni di vita migliori ed in difetto di condizioni dii vulnerabilità.

Avverso la suddetta pronuncia, O.S. propone ricorso per cassazione, notificato il 13/10/2020, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e art. 46, comma 3, Direttiva n. 2013/32 in punto di mancata audizione personale del richiedente, che avrebbe potuto, invero, fugare i dubbi concernenti le contestazioni avanzate in fase amministrativa e dal giudice di primo grado e determinare una decisione differente in punto di credibilità; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,5,6 e 14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8-27, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, malgrado il timore di ritorsioni, allegato, e la situazione di violenza diffusa, violazione dei diritti umani, corruzione, modestia del sistema giudiziario, precaria condizione di sicurezza esistente nel Paese d’origine; c) con il terzo motivo la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5,D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, in relazione alla mancata comparazione tra l’integrazione sociale e la situazione personale del richiedente, ben integrato in Italia, ove svolge attività lavorativa ed ha contratto di comodato con residenza stabile.

2. Le prime due censure sono in parte infondate, in parte inammissibili.

La doglianza è inammissibile, in relazione alla situazione del Paese d’origine, perché mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

Quanto alla mancata audizione del richiedente, la doglianza è infondata.

Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorché non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 cono. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

Questa Corte ancora da ultimo (Cass. 21584/20) ha chiarito che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.

Nella specie, la Corte di merito ha rilevato che non erano stati allegati fatti nuovi in ricorso, con conseguente non necessità di nuova audizione.

Quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, il disposto del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicché anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

Nel caso di specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, ha ritenuto che i molteplici aspetti di genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni del migrante pregiudicassero l’accoglimento della domanda di protezione internazionale presentata e, in questo modo, ha attribuito alla inverosimiglianza del racconto carattere determinante.

Inoltre, si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicché “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio, riformandosi, con ampia motivazione, il giudizio di attendibilità espresso in primo grado.

3. L’ultimo motivo è inammissibile.

Vero è che il giudice del merito era chiamato a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019), la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018).

Il che tuttavia presupponeva che il migrante allegasse e dimostrasse le ragioni che l’avevano spinto ad allontanarsi dal paese di origine e la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018).

Invero, sebbene, da ultimo, si sia affermato un orientamento di questo giudice di legittimità per cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevino ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. 10922/2019, Cass. 2960/2020, Cass. 8020/2020), tuttavia le ulteriori rationes decidendi adottate sul punto risultano in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che, ai fini della protezione umanitaria – ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – richiede comunque “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, Cass. 1040/2020), escludendo il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018).

In concreto la Corte d’appello, in relazione alla necessaria valutazione comparativa, ha dato atto dell’assenza di specifici profili di vulnerabilità, valutazioni, queste, che ancora una volta integrano apprezzamenti di fatto non adeguatamente censurati per le ragioni sopra esposte.

Peraltro, in ordine all’integrazione in Italia ed alla situazione lavorativa, il ricorso è del tutto generico.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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