LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28228/2020 proposto da:
A.U., elettivamente domiciliato in Forlì viale Matteotti 115, presso lo studio dell’avv. Rosaria Tassinari, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (*****), in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 09/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/06/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino nigeriano (Edo State) ha fatto domanda di protezione internazionale dichiarando di avere lasciato il suo paese perché che durante una discussione ereditaria, dopo la morte del padre, il fratellastro gli ha intimato di aderire al culto *****, diversamente non si sarebbe proceduto ad alcuna divisione dei beni; egli ha rifiutato e quindi il suo fratellastro ha mandato alcune persone per ucciderlo; gli hanno sparato ed è rimasto ferito, ma non si è rivolto alla polizia perché il suo fratellastro era un uomo politico del villaggio e quindi le autorità sarebbero rimaste inerti.
La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale di Bologna, adito dal ricorrente, previo rinnovo dell’audizione, ha escluso il profilo di rischio individuale e l’attendibilità del racconto evidenziandone la genericità sui punti salienti, le contraddizioni tra le dichiarazioni e le allegazioni difensive e la non accertabile pertinenza della documentazione sanitaria prodotta con le vicende narrate; ha escluso altresì la sussistenza del rischio di violenza indiscriminata derivante dal conflitto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha escluso, infine, la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, rilevando che il recente svolgimento di attività di lavoro, considerato anche che il richiedente non conosce ancora la lingua italiana, non riflettono un processo di integrazione completo e che non vi sono condizioni ostative al rimpatrio. Avverso il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi. L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 giugno 2021.
RITENUTO
Che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il Tribunale applicato il principio dell’onere della prova attenuato e per non avere valutato la credibilità alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nonché il difetto di motivazione.
Il ricorrente afferma che il racconto è lineare e privo di contraddizioni rappresentando una realtà dei fatti del tutto verosimile, supportata dalle fonti internazionali e che non emergono contraddizioni avendo il ricorrente fatto il massimo sforzo per dettagliare i fatti. Il Tribunale non ha considerato che i dubbi solo ipotetici ma tali da non inficiare irrimediabilmente l’attendibilità del racconto non giustificano il rigetto della domanda e che in ogni caso ove vi fossero dubbi il giudicante avrebbe dovuto riconvocare il richiedente e porgli altre domande; infine aggiunge che la mancanza di riscontri non equivale all’insussistenza dei fatti narrati.
Il motivo è infondato 1.2- Secondo quanto dispone del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, l’esame della domanda avviene su base individuale e il punto di partenza sono le dichiarazioni rese dal richiedente asilo di cui il giudice è tenuto a vagliare la credibilità, secondo la procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (v. Cass. 26921/2017, Cass. n. 08282/2013; Cass. n. 24064/2013; Cass. n. 16202/2012) Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, indica quattro principali criteri di valutazione e cioè: a) la coerenza interna, che riguarda le eventuali incongruenze, discrepanze o omissioni presenti nelle dichiarazioni, rilevabili direttamente dal racconto; b) la coerenza esterna, che si riferisce alla coerenza tra il resoconto del richiedente e prove di altro tipo ottenute dalle autorità competenti, comprese le informazioni sul paese di origine; c) la sufficienza dei dettagli, poiché di regola il dettaglio è indicativo di una vicenda effettivamente vissuta; d) la plausibilità o verosimiglianza, e cioè che si tratti di un fatto possibile, nonché apparentemente ragionevole, verosimile o probabile.
La norma, in deroga all’ordinario principio dispositivo proprio del processo civile, è fondata sul principio di cooperazione, in attuazione della Direttiva 2004/83/CE, ove ancora più esplicitamente è detto (art. 4) che “lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda”.
Il corretto svolgimento della attività di cooperazione istruttoria presuppone, tuttavia, che tutti i soggetti coinvolti assolvano i propri compiti, posto che anche il richiedente asilo ha il dovere di cooperare per una corretta istruzione della domanda compiendo ogni ragionevole sforzo per motivarla e circostanziarla (art. 13 Direttiva 2013/32/UE e art. Direttiva 2011/95/UE) mentre il compito del giudicante si esplica in termini di integrazione istruttoria (Cass. n. 16411/2019), trattandosi appunto di cooperazione con la parte e non sostituzione ad essa, sicché le relative modalità di svolgimento devono essere improntate a criteri di trasparenza, di modo che la terzietà dell’organo giudicante non ne risulti compromessa (Cass. 29056/2019). Il ricorrente è quindi ad allegare in modo chiaro e completo i fatti costitutivi della pretesa (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020). Il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020), posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C-146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020).
Ciò premesso si osserva che il Tribunale ha correttamente seguito le regole poste dall’art. 3, comma 5 cit., nella valutazione delle dichiarazioni del ricorrente.
Il Collegio bolognese ha rilevato contraddizioni e divergenze tra le dichiarazioni e le allegazioni difensive nonché la mancanza di dettegli sulle circostanze rilevanti ed ha altresì valutato la documentazione sanitaria a supporto ritenendola non decisiva. Sono stati quindi correttamente utilizzati i criteri della valutazione dell’attendibilità intrinseca, della carenza di dettagli e di giustificazioni sull’assenza di elementi di riscontro e, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca (Cass. n. 24575/2020).
Verificato il rispetto dei criteri procedimentali di cui all’art. 3 cit., la valutazione resa costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 14674/2020) tantomeno con la mera apodittica affermazione che la storia è credibile e circostanziata.
3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perché il giudice non avrebbe tenuto conto di quanto emerge dal sito della Farnesina e altre fonti in ordine alle condizioni di insicurezza della Nigeria ove vi sono una pluralità di zone o regioni critiche.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale, muovendo dal dato di fatto che il richiedente non proviene dai paesi del nord est della Nigeria ma da Edo State ha tratto le informazioni sul paese di origine, (Country of origin information, in acronimo COI) dai Report di affidabili agenzie internazionali che si occupano di diritti umani, quali EASO; Human Rights Watch, debitamente citandole e riportando anche nel provvedimento il collegamento ipertestuale. Sono stati analizzati Report degli anni 2018 e 2019, escludendo la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata da conflitto sulla base di una ricerca completa ed anche aggiornata.
Questa affermazione è stata censurata affermando che in Nigeria vi sono diverse zone critiche e descrivendo diffusamente le violenze perpetrate dal gruppo nel nord-est del paese.
Tuttavia la Corte ha bene evidenziato che in Edo State zona di dichiarata provenienza del ricorrente (sud della Nigeria) non ricorre la predetta situazione di violenza indiscriminata.
Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva infatti se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019).
4.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente deduce che il Tribunale non ha compiutamente esaminato la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale e internazionale di fornire protezione per le persone che fuggono da paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire la vita senza pericoli per la propria incolumità, in relazione alle condizioni di violenza diffusa e indiscriminata sussistente nel paese.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che il Tribunale ha escluso la sussistenza di violenza indiscriminata da conflitto che quindi non può invocarsi ai fini della protezione umanitaria, si tratta di censure estremamente generiche non correlate alla vicenda individuale se non nella parte in cui si chiede una revisione del giudizio di fatto operato dal Tribunale affermando che il richiedente si è integrato nel territorio attraverso l’attività lavorativa e il volontariato; la circostanza è stata tuttavia considerata e valutata dal Tribunale che ha ritenuto insufficiente integrare gli estremi di un radicamento del ricorrente sul territorio la sola recente attività lavorativa, rilevando anche che il richiedente non conosce ancora la lingua italiana. Del tutto inconferente è poi il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 4890/2019 sulla irretroattività delle disposizioni del D.L. n. 113 del 2018, posto che esplicitamente il Tribunale ha fatto riferimento alla disciplina previgente che prevedeva il rilascio di permesso di soggiorno per seri motivi di carattere umanitario non tipizzati o predeterminati dal legislatore.
Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021