Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25426 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.S., rappr. e dif. dall’avv. Francesco Perone, perone.francesco.cert.ordineavvocatipotenza.it, come da procura allegata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Potenza 12.5.2020, n. 279, in R.G. 203/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 15.9.2021.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.S. impugna la sentenza App. Potenza 12.5.2020, n. 279, in R.G. 203/2019 di inammissibilità dell’appello avverso l’ordinanza Trib. Potenza 9.12.2018 a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte, per quanto qui di interesse, ha dato atto che l’appello era inammissibile, in quanto tardivo rispetto alla comunicazione di cancelleria del provvedimento impugnato, avvenuta in via telematica ma senza esito positivo e però per ragioni di malfunzionamento della casella elettronica riferibile al destinatario – cioè, nel caso, al difensore del ricorrente – secondo la dicitura di messaggistica “casella inibita alla ricezione”;

3. il ricorrente propone un unico motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. si deduce la erroneità della sentenza, anche in punto di motivazione, avendo trascurato la corte la considerazione delle note integrative dell’AGID utili a giustificare la tempestività dell’impugnazione, conseguente alla non imputabilità al destinatario della mancata consegna del messaggio nella propria casella PEC;

2. il motivo è infondato; appare circostanza pacifica che la comunicazione di cancelleria al difensore del ricorrente, avente per oggetto la ordinanza del tribunale, sia stata esperita – come prescritto dall’art. 136 c.p.c. – a mezzo posta elettronica certificata, con esito negativo ed in particolare rifiuto del messaggio da parte del gestore della PEC del destinatario e susseguente deposito nell’ufficio; la causale del citato insuccesso “errore 5.2.1. – InfoCert s.p.a. – casella inibita alla ricezione” è stata ritenuta dalla corte ascrivibile a fatto imputabile all’avvocato stesso, mentre la presente impugnazione, nella sostanza, insieme alla censura per omessa valutazione di un documento esplicativo dell’AGID, avversa che quella condizione tecnica di impossibilità fosse riferibile al destinatario;

3. ritiene il Collegio che la causale così riportata, limitandosi a registrare la mera impossibilità per il gestore della posta in ricezione di completare la consegna per difetto di abilitazione alla ricezione stessa, confermi per un verso che la casella PEC esisteva (unica condizione di controllo cui era tenuto l’ufficio giudiziario), mentre in fatto nessuna contestazione emerge circa la esattezza del dato soggettivo di riferimento (cioè, l’utilizzo corretto dell’indirizzo PEC e, soprattutto e pertanto, la sua titolarità in capo al difensore destinatario, oltre ovviamente alla regolarità della procura con cui la parte stava in giudizio a mezzo di avvocato);

4. anche l’esame delle specifiche tecniche AGID, dettate in via generale (e dal ricorrente riportate in modo del tutto generico e non altrimenti argomentato), nulla comunque aggiunge alla riportata, autoesplicativa, dicitura, la quale dà conto di un’attività di messaggistica del gestore e cioè con riguardo “all’invio di un messaggio verso un indirizzo per il quale il Gestore ricevente non completa la consegna poiché la casella, che esiste, non è abilitata alla ricezione”, tant’e’ che il codice assomma due eventi, ritenuti equipollenti e nessuno dei quali, tra l’altro, meglio specificato dal ricorrente, vale a dire “5.Casella esistente ma temporaneamente disattivata” e “6. Casella non in grado di accettare messaggi” (nota AGID 5.10.2015, Nota 12); la causa di non abilitazione alla ricezione non è altrimenti definibile e può pertanto dipendere, dal lato del suo titolare, da blocchi amministrativi discrezionali o involontari o differenti impedimenti (come il mancato pagamento degli oneri di abbonamento o altra sospensione del servizio), senza che di per sé vi sia alcuna dimostrazione di una ragione tecnica imputabile a terzi e tale da scriminare, rendendola irrilevante o escludendola, la non diligenza del titolare della PEC stessa;

5. vale dunque il principio, già presente nella giurisprudenza di legittimità, per cui – al pari della saturazione della casella di posta, di cui la circostanza in esame condivide il presupposto tecnico, cioè l’esistenza della casella stessa, riconosciuta dal gestore – si è di fronte ad evento imputabile al titolare-destinatario o, comunque, alla deduzione di una causale che, nei termini di siffatta descritta e generica riferibilità, non consente di affermare di quest’ultimo la dovuta prestata diligenza; “di conseguenza, è legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, conv. in L. n. 221 del 2012, come modificato del D.L. n. 90 del 2014, art. 47, conv. in L. n. 114 del 2014” (Cass. 13532/2019), al pari di ogni rifiuto tecnico della casella PEC del destinatario (Cass. 4920/2021);

6. si può peraltro ripetere, nel solco di Cass. 5646/2021, che il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale (nel precedente, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario), legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, conv. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, conv. in L. n. 114 del 2014; nonostante la mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito; infatti, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 16, comma 4, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’art. 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”; da tale disposizione si evince pure che, in caso “di mancata consegna”, la “comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario” è generata automaticamente, conformemente alle previsioni del D.G.S.I.A., altrimenti l'”avviso” pubblicato “nel portale dei servizi telematici” non potrebbe dare per “avvenuta” detta comunicazione o notificazione;

7. ne consegue che appare corretta la condotta della cancelleria del tribunale che ha eseguito la notifica, di seguito al non raggiungimento del titolare della PEC, mediante il deposito dell’atto presso l’ufficio, evento dalla cui data occorre computare il termine per l’introduzione dell’appello, nella specie già spirato il 23.4.2019, perché successivo ai 30 giorni dell’art. 702 quater c.p.c., rispetto all’adempimento citato, avvenuto il 10.12.2018, come rilevato dalla corte, ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 6, nel testo ratione temporis vigente;

8. il ricorso è dunque infondato; sussistono i presupposti per la condanna al cd. doppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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